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Rassegna del 1 Giugno 2017
    

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La renting economy di Sharewood conquista Accenture


Ecologia, sostenibilità, sport e sharing economy. Sono queste le caratteristiche cardine di uno dei più innovativi progetti italiani capace di vincere proprio in questi giorni i Consumer Tech Award di Accenture all’interno della conferenza londinese Millennials 20/20.

La startup in questione si chiama Sharewood, ha sede a Milano ed è stata fondata poco più di un anno fa da un ragazzo barese di 24 anni. Piercarlo Mansueto. Un giovane imprenditore, proiettato verso il futuro che ci ha spiegato come si costruisce da zero la più grande community europea nata per condividere attrezzature sportive, con una particolare attenzione per il biking, gli sport invernali e quelli acquatici.

Mansueto, cosa si prova a essere gli unici italiani in mezzo a un roster di innovatori made in Usa?
«Sicuramente è una grande soddisfazione. Noi siamo giovani e abbiamo ancora molto da fare, ma questo premio ci fa capire che siamo sulla strada giusta e ora grazie al programma di tutoring di Accenture potremo sviluppare ancora di più il nostro business. Inoltre credo che questo dimostri una volta di più come non serve nascere in Silicon Valley per avere un’idea vincente».

 Anche perché lei la Silicon Valley, quella vera, l’ha rifiutata.
«Diciamo che ho preferito non aspettare e scommettere subito su di me. La mia storia è particolare. Dopo l’università avevo vinto una borsa di studio per San Francisco che mi avrebbe portato in giro per il mondo e probabilmente fatto diventare un ottimo manager, ma io volevo inseguire i miei sogni. Così dopo la triennale, nonostante questa opportunità, ho deciso di lasciare la carriera accademica e di puntare tutto sul mio progetto».

Com’è nata l’idea?
«Ero a Tarifa, in Spagna, proprio sulla punta dello Stretto di Gibilterra e volevo surfare, ma nella località dove mi trovavo non c’era nessuno che affittasse una tavola. Così dopo tre giorni passati a guardare gli altri, a un certo punto mi sono alzato e ho chiesto a un ragazzo che usciva dall’acqua quanto volesse per prestarmi il suo surf per un paio d’ore. Lui me lo lasciò gratuitamente e poi m’invitò a passare la serata con dei suoi amici, portandomi anche nei giorni successivi a visitare quella terra meravigliose tutti insieme. Fu un’esperienza indimenticabile che mi fece riflettere».

 Su cosa?
«Spesso quando andiamo in vacanza non possiamo portarci attrezzatura pesante o ingombrante per fare ciò che ci piace, un po’ per un fatto di comodità e un po’ per i costi che ne deriverebbero. Così ho pensato che se ci fosse stata la possibilità di incontrare persone del posto pronte non solo ad affittare ciò di cui avessimo avuto bisogno, ma anche a darci consigli su dove andare e come sfruttare al meglio il nostro tempo, questo sarebbe stato un enorme valore aggiunto al nostro viaggio».

 «Definire cosa siamo è decisamente difficile. C’è chi ci chiama social network, chi ci descrive come una piattaforma per traveller amanti dello sport e altro ancora. In realtà il nostro obiettivo è solo quello di risolvere un problema per chi ama stare a contatto con la natura facendo ciò che gli piace nel rispetto dell’ambiente, dal ciclismo al surf, dallo sci all’arrampicata».

Quello che è sicuro è che fate parte della sharing economy…
«Secondo me la sharing economy non esiste. Se vuoi fare business, soprattutto in Italia, devi puntare sulla renting economy al massimo. È proprio un’impostazione culturale, credo. Da noi i sistemi come Airbnb, Uber e Blablacar funzionano solo per uno stretto fattore di guadagno o risparmio. Noi italiani non abbiamo la logica della condivisione come esiste in Silicon Valley. Una volta capiro questo bisogna cercare di trasformare la propria impresa in un elemento utile all’economia delle persone se si vuole avere successo».

 Una visione molto concreta del mercato, ma lei non inseguiva i suoi sogni?
«Alcuni potrebbero definirla cinica, ma è la realtà dei fatti. In Italia realizzare un progetto di sharing economy, non è semplice. Le startup che hanno avuto successo nel settore si possono contare sul palmo di una mano. Siamo indietro rispetto al contesto europeo e americano ed è una situazione che non coinvolge solo la nostra penisola, ma tutto il sud dell’Europa. Il problema è l’approccio culturale probabilmente».

 In che senso?
«Il mondo digitale non è ancora così presente nel comportamento delle persone. La gente usa tutto l’ambiente online solo per trovare un risparmio economico e non invece per ottenere nuove opportunità. Per questo le cose non hanno un progresso fluido. Le startup, di qualunque tipo siano, inoltre, hanno bisogno di capitali per evolvere. Tanto più se sono realtà tecnologiche».

Cosa intende?
«Lo sviluppo di una piattaforma come la nostra, per esempio, che cerca di semplificare ogni processo, rendendo l’utente profagonista in maniera facile e veloce, richiede inevitabilmente un enorme lavoro di sviluppo, gestione e implementazione. Tutti passaggi che non possono essere presi sotto gamba o sui quali non è possibile risparmiare se si vuole realmente offrire un servizio performante. In Italia però questo è difficile spiegarlo e farlo capire».

Perché?
«Nel nostro paese non si ha una visione di rischio i capitali presenti vengono investiti solo in aziende che hanno fatturati importanti e già consolidati e che quindi possono sostenere autonomamente le spese di aggiornamento e sviluppo, ma per arrivare a questo livello ci vuole tempo e non si può pensare di saltare determinati step di crescita».

 Voi siete riusciti a farvi notare anche in campo internazionale, però, qual è oggi la vostra offerta?
«Attualmente la nostra community conta più di 13.500 utenti in tutta Europa di cui circa 12 mila in Italia, con una media di circa 3000 noleggi l’anno. L’altro grande mercato che puntiamo a consolidare è quello portoghese, dove abbiamo riscontrato un buon successo. Il funzionamento della piattaforma è semplice. Basta creare il proprio account, geolocalizzarsi e capire chi si ha intorno. Quindi si cerca l’attrezzatura di cui abbiamo bisogno e si crea il contatto con l’altra persona per organizzare la consegna e il ritiro. Una volta utilizzato lo strumento entrambi gli utenti potranno lasciare commenti, valutazioni e recensioni».

 Il rapporto e l’interazione tra gli utenti diventano essenziali quindi?
«Assolutamente. Sappiamo addirittura di un paio di ragazzi che si sono fidanzati dopo essersi scambiati la bici. Tutto viene fatto nella più totale trasparenza come su altre piattaforme come TripAdvisor o Booking. In questo modo cerchiamo anche di aumentare la sicurezza e la garanzia di qualità dei nostri servizi».

 Avete pensato anche a una copertura economica assicurativa?
«Ogni attrezzatura nel momento stesso in cui viene prestata riceve una copertura di cinque mila euro, per lo più però i danni eventuali sono di piccola portata».

Fonte: Bi-Mag, 11 maggio 2017




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