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Rassegna del 6 Febbraio, 2020
    

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India: le storie dell’emergenza climatica al più grande festival di letteratura del mondo


India: le storie dell’emergenza climatica al più grande festival di letteratura del mondo

A Jaipur si è parlato di come i libri e la cultura possono aiutare a combattere i cambiamenti climatici.

Al 13esimo Jaipur Literature Festival, tenutosi del 23 al 27 gennaio nella “città rosa” dell’India, hanno partecipato molti famosi scrittori e poeti indiani, tra cui il premio Nobel Abhijit Banerjee, il premio Pulitzer Forrest Gander, la giornalista Christina Lamb, la giornalista newyorkese Dexter Filkins, la vincitrice del premio Man Booker Howard Jacobson, Elizabeth Gilbert e scrittori di best sellers come Shashi Tharoor e Javed Akhtar. Definito il “più grande spettacolo letterario sulla Terra”, il Jaipur Literature Festival in 5 giorni attrae nella capitale dello Stato indiano del Rajasthan più di 400.000 lettori, scrittori ed editori e ospita più di 200 eventi ai quali partecipano circa 2.000 relatori e autori di 20 Paesi diversi che discutono di libri scritti in più di 24 lingue. Una boccata di cosmopolitismo e libertà nell’india sempre più soffocante e tradizionalista del governo induista di destra del premier Narendra Damodardas Modi.

 

Un festival pieno di idee, dibattiti e dialoghi che ha organizzato anche una sessione dedicata all’emergenza climatica durante la quale si è parlato delle condizioni meteorologiche che minacciano la produzione alimentare, dell’innalzamento del livello del mare che aumenta il rischio di inondazioni catastrofiche, degli impatti dei cambiamenti climatici che sono di portata globale e hanno anche in India dimensioni senza precedenti. L’Onu ricorda che «Se non cambiamo rotta adesso, si stima che oltre 600 milioni di indiani potrebbero essere influenzati negativamente dai cambiamenti climatici».

Rispondendo a una domanda sul fatto se le Nazioni Unite stiano facendo abbastanza per risolvere la crisi climatica, la coordinatrice residente dell’Onu in India, Renata Dessallien, ha scherzato sul fatto che «L’Onu non può agire come una forza di polizia globale. “Inoltre, non siamo un governo globale, quindi ci sono dei limiti per le cose di cui l’Onu è incaricata e per ciò che è in grado di fare. In realtà, stiamo spingendosi oltre i limiti su molti fronti. Il modo migliore per descrivere le Nazioni Unite è che noi siamo i “persuasori del mondo”: dobbiamo convincere le persone a fare ciò che è fondamentalmente giusto».

La Dessallien ha ricordato il ruolo pionieristico svolto dall’Onu per quanto riguarda la scienza climatica quando alla fine degli anni ’80, ha istituito l’Intergovernmental panel on climate change (IPCC) un panel sui cambiamenti climatici dalle Nazioni Unite che fornisce ai governi informazioni scientifiche attendibili che possono usare per sviluppare politiche climatiche: «Quindi la scienza è là fuori e come organo intergovernativo riuniamo gli Stati nazionali per affrontare il problema che ci sta guardando in faccia, convalidato dalla scienza».

Durante il meeting sono state raccontate alcune storie sorprendenti di persone gravemente colpite dalla crisi climatica che vivono nella regione del Ladakh in India, come Sonam Wangchuk, innovatore, educatore e direttore dell’Himalayan Institute of Alternatives, che ha raccontato: «Su nelle montagne, attraverso l’Himalaya, in particolare in Ladakh, i nostri ghiacciai si stanno sciogliendo e mentre abbiamo sempre avuto carenze d’acqua, ora stiamo vedendo la siccità nella stagione primaverile. Conosco almeno due villaggi in cui le persone hanno dovuto abbandonare l’intero villaggio a causa della penuria di acqua. Queste siccità vengono ora accompagnate da inondazioni improvvise in autunno». Nel 2006, mentre faceva volontariato in uno di questi villaggi che era stato spazzato via dalle inondazioni che avevano causato molti morti, Wangchuk aveva chiesto agli abitanti del villaggio quando si era verificata l’ultima inondazione improvvisa, «Ma non ne ricordavano una. Poi, lo stesso villaggio ha subito altre inondazioni nel 2010, nel 2015 e nel 2017. Quindi ora stanno diventando molto frequenti».

L’educatore del Lafakh ha fatto appello a che vive nelle pianure e nelle città perché siano responsabili e «vivano semplicemente in modo che il popolo delle montagne a sua volta possa semplicemente vivere».

La direttrice della rivista online PARI, Namita Waikar, che racconta per l’imminente UNDP Human Development Report le storie di come in tutta l’India siano le popolazioni vulnerabili quelle più colpite dai cambiamenti climatici, ha sottolineato come la vita delle persone comuni venga negativamente colpita nelle città costiere indiane: «Nelle aree rurali del Tamil Nadu, ci sono comunità nelle quali i coltivatori di alghe sono costretti a cambiare i mezzi di sussistenza a causa della rapida scomparsa delle alghe. Allo stesso modo, in luoghi come Delhi, le comunità di pescatori dell’entroterra stanno pescando pesci morti. Quello che mi hanno detto è stato straziante. Un pescatore mi ha detto che se calano la rete di notte, tutto ciò che catturano sono “pesci morti più freddi al mattino. Tenere le acque reflue e i rifiuti industriali fuori dai fiumi e dalle aree costiere è una priorità urgente. Un’altra pescatrice ha affermato che alcuni dei pesci che si pescavano prima ora si vedono solo su Discovery channel. Questo spiega chiaramente la gravità della situazione».

La scrittrice, educatrice e regista, Shubhangi Swarup, che sta inserendo l’ecologia nelle sue fiction, ha spiegato come sta integrando i temi del cambiamento climatico nel suo lavoro: «Le nostre storie sono sempre umano-centriche, siamo ossessionate da noi stesse e odiose. Nelle nostre storie non apprezziamo la natura e l’universo. Quindi, ho provato a scrivere un romanzo nel quale una linea di una faglia geologica è il filo conduttore della narrazione. Inizia con le Andamane, poi si va in Myanmar, poi in Nepal e termina nel Ladakh. Mentre raccontavo la storia, mi sono rea conto di quanto siano ridicoli i confini politici quando parliamo di risolvere i problemi locali».

Apoorva Oza, direttore esecutivo dell’Aga Khan Rural Support Programme, ha ribadito la necessità di prendere in considerazione il profitto quando si parla di cambiamenti climatici: «C’è un’attenzione eccessiva alla misurazione di tutto in termini economici. Quando scrivo una proposta, mi chiedono se raddoppierò il reddito degli agricoltori. Tutto quello che posso dire è che proteggeranno la natura, sosterranno l’ambiente, non sfrutteranno eccessivamente le acque sotterranee. Ma non posso garantire di poter raddoppiare il loro reddito. Posso solo garantire i loro progressi».

La svolta al dibattito è stata data da Dia Mirza, una famosa attrice di Bollywood e ambasciatrice dell’Onu per lo sviluppo sostenibile, che ha detto rivolta ai leader pitici e culturali: «Abbiamo tempo? Abbiamo solo un decennio. Ascoltate le donne, ascoltate le madri, ascoltate i bambini. E se non capite la scienza, osservate solo la natura». Un messaggio chiaro e drammatico rivolto anche al mondo degli artisti: siano tutti sono responsabili dell’emergenza climatica e tutti dobbiamo lavorare per la creazione di un mondo più ecosostenibile.

Il moderatore, Samir Saran, presidente dell’Observer Research Foundation, uno dei più influenti think tanks asiatici, ha concluso: «Dato che questo festival è frequentato dai letterati, da questi luoghi escono delle storie. Se il cambiamento climatico diventa parte di queste storie, saremo ispirati a prendere misure migliori per mitigare il cambiamento climatico. Le storie che raccontiamo di noi stessi definiscono le nostre azioni. E se le nostre storie sono verdi, probabilmente anche il nostro futuro sarà verde e prospero».

 




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