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Rassegna del 3 Aprile, 2020
    

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Economia circolare e sostenibilità per salvare il clima. Il piano europeo - di Maurizio Bongioanni


Economia circolare e sostenibilità per salvare il clima. Il piano europeo - di Maurizio Bongioanni

La Commissione europea ha annunciato l’adozione di una nuova strategia finalizzata a ridurre rifiuti e uso di materie prime. Grazie all'economia circolare.

C’è un solo pianeta Terra. Eppure, entro il 2050, i nostri consumi aumenteranno come se di pianeti ce ne fossero tre. Non parliamo solamente di consumo energetico, di biomasse e di combustibili fossili, ma anche dell’impiego di metalli e minerali, che raddoppieranno nei prossimi quarant’anni, mentre la quantità di rifiuti generati dalla  popolazione mondiale  aumenterà del 70 per cento. È in questo contesto che lo scorso 11 marzo la Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen ha approvato un nuovo Circular economy action plan dedicato all’economia circolare.

Economia circolare è anche ecodesign contro monouso

Obiettivo dichiarato dal piano, che fa parte del più ampio Green New Deal, è quello di spingere l’acceleratore sull’ eco-progettazione  (o eco-design) dei materiali. E quindi su di una produzione più “circolare”, cioè in grado di riutilizzare le materie prime: al momento infatti  solo il 12 per cento  delle risorse impiegate trova una seconda vita. Aumentare il ciclo vita degli oggetti rappresenta l’unico modo per far sì che l’Europa raggiunga la  carbon neutrality entro il 2050. Per questo il piano si concentra su come contenere lo spreco di risorse, favorire il riuso, il riciclo e la riparazione degli oggetti e superare la logica del monouso.

Qualche esempio. Nel settore dell’elettronica i prodotti immessi sul mercato europeo, quali cellulari, tablet, laptop, dovranno essere  progettati per durare più a lungo  e per essere riciclati più facilmente. Non solo, per i telefoni cellulari sarà necessario introdurre un  caricatore universale. Tema che si ricollega direttamente con lo smaltimento delle apparecchiature elettroniche (Raee): oltre a migliorarne la raccolta (limitando tra l’altro l’uso di sostanze pericolose), il piano prevede anche di mettere a punto un sistema di  restituzione dei dispositivi usati per consentire un corretto avvio al riciclo.

Economia circolare nel tessile e nell’edilizia

Parola d’ordine per migliorare il settore del tessile è  “innovazione”: dal momento che, secondo l’Unione europea,  meno dell’1 per cento di tutti i prodotti tessili del mondo sono riciclati, l’obiettivo del piano è incentivare  l’uso di materie prime secondarie  e rendere i capi d’abbigliamento più sostenibili (nonché privi di  sostanze tossiche). Responsabilità estesa del produttore e cooperazione internazionale (considerando che il 60 per cento della produzione è di origine extra-europea) vanno a completare il capitolo dedicato al settore tessile.

La metà delle risorse estratte viene impiegata poi nel settore delle costruzioni. Anche l’edilizia, infatti, può entrare nell’ottica di un’economia circolare: una maggiore efficienza dei materiali da costruzione farebbe risparmiare fino all’80 per cento delle emissioni di CO2. Di conseguenza, la strategia dell’Unione europea sarà quella di armonizzare l’intero ciclo di vita degli edifici nel rispetto del clima e quindi delle prestazioni energetiche, puntare sul riciclo dei rifiuti da demolizione rendendo più sostenibili e duraturi quelli per costruire, ridurre l’ impermeabilizzazione dei suoli  e promuovere la circolarità dei terreni compromessi.

Ogni anno, produciamo 173 kg di imballaggi per abitante in Europa

Un altro problema centrale nell’ottica dell’economia circolare è rappresentato poi dagli  imballaggi. Sempre in costante aumento: nel solo 2017, in Europa, se ne sono prodotti 173 chilogrammi l’anno per abitante. Sul tema dei rifiuti il piano prevede che entro il 2030 gli imballaggi immessi nel mercato debbano essere  totalmente riutilizzabili  o riciclabili in modo sostenibile (riducendone quindi la complessità). Sempre entro tale data sarà necessario, secondo il piano, rivedere il quadro legislativo in materia di  riutilizzo. Ciò, da un lato, nell’ottica di sostituire imballaggi e oggetti monouso. Dall’altro, al fine di armonizzare il sistema delle etichettature, per rendere più semplice la  raccolta differenziata . Non a caso, il piano parla di riduzione e  prevenzione dei rifiuti  da imballaggio, tema fondamentale per ridurre l’impatto sulle materie prime e limitare gli sprechi di risorse.  

Un capitolo a parte merita la  plastica, “colpevole” di rappresentare il 20 per cento del consumo di petrolio. Cifra che, senza interventi, raddoppierà entro il 2050. Ecco allora che se da una parte sarà necessario ridurre la dipendenza dalle bottiglie di plastica rendendo l’acqua pubblica più accessibile. In particolare, tenendo conto degli impegni già adottati dalla Commissione nella  Circular plastic alliance, si dovranno  eliminare i prodotti monouso  e sostituirli con prodotti durevoli riutilizzabili e da bioplastiche biodegradabili o compostabili. Per quanto riguarda poi le  microplastiche, occorre limitarne l’aggiunta intenzionale, armonizzare i dati raccolti e aumentarne la “cattura” in tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti.

L’economia circolare può contribuire alla crescita e a creare posti di lavoro

Il piano considera infine  cibo, risorse idriche e veicoli. Per questi ultimi, nel caso di mezzi a trazione elettrica, particolare attenzione è dedicata al ciclo di vita delle  batterie, favorendo quelle ricaricabili e promuovendo un “fine-vita” più sostenibile. Attraverso una progettazione che consideri maggiormente i materiali riutilizzabili.

Contenuti a parte, tra il 2012 e il 2018 il numero di posti di lavoro collegati all’economia è cresciuto del 5 per cento: sono circa 4 milioni i posti di lavoro collegati a questo modello. Quindi, oltre a essere imprescindibile per raggiungere la  carbon neutrality, l’economia circolare può contribuire a far  crescere il Pil  dello 0,5 per cento, creando  700mila nuovi posti di lavoro. Il piano presentato dall’Ue è un’agenda di impegni, a cui deve però seguire un rinnovamento del quadro legislativo. Insomma, la linea politica è stata dettata: sarà in grado ora di metterla davvero in pratica e farla rispettare?

La voce critica delle accademie scientifiche

Intanto, la necessità di una transizione determinata verso l’economia circolare ha richiamato l’attenzione della European academies science advisory council (Easac), associazione che riunisce importanti istituti scientifici europei. Presentando, sempre l’11 marzo, il rapporto “Packaging plastics in a circular economy”, l’Easac ha avvertito che “gli attuali sforzi per risolvere la crisi della plastica sono inefficaci  e fuorvianti, poiché i potenziali conflitti devono essere affrontati nell’intero sistema, dalla produzione alla fine del ciclo di vita”.

Tra le raccomandazioni che l’Easac rivolge ai legislatori europei c’è l’introduzione del divieto di  esportare  rifiuti in plastica, che finiscono spesso in fabbriche illegali o vengono disperse nell’ambiente o negli oceani; adottare il target zero  rifiuti di plastica in discarica; introdurre una  regolamentazione dei prezzi  della plastica, che al momento sono troppo economici. “Non includere i costi ambientali è un fallimento del mercato e un ostacolo fondamentale a una maggiore domanda di materiali riciclati”, si legge nel rapporto. Quanto alla  plastica biodegradabile, allo stato attuale gli scienziati vedono un potenziale ridotto, perché pochi prodotti sono in grado di soddisfare i test di biodegradazione nell’ambiente marino, mantenendo la loro integrità per mesi.

 

 

 




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