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Cambierà il nostro tipo di sviluppo dopo la dura lezione del coronavirus? - di Edo Ronchi


Cambierà il nostro tipo di sviluppo dopo la dura lezione del coronavirus? - di Edo Ronchi

Mentre aspettiamo con ansia le notizie quotidiane sul numero dei contagiati e dei morti, migliora il nostro umore pensare che la dura lezione della pandemia da coronavirus ci renderà migliori e ci porterà a una riflessione critica sul nostro tipo di sviluppo, aumentando la spinta al suo cambiamento. Ma sarà veramente così? Gli spunti per una riflessione critica non mancherebbero.

Toccare con mano, nonostante la nostra superpotenza scientifica e tecnologica, nonostante livelli di crescita economica mai raggiunti nella storia, quanto siamo vulnerabili di fronte a un virus, dovrebbe farci riflettere sulle basi effimere di un pensiero, largamente diffuso, che ha alimentato l’illusione di poter dominare, senza limiti, la natura.

E non penso solo alla mancanza di precauzione che ha consentito a un virus che viveva in un animale selvatico che stava tranquillo in un suo ambiente naturale, di contagiare delle persone con conseguenze così devastanti. Penso, più in generale, alla visione che sta alla base di quella mancanza di precauzione: visione distorta dall’abitudine a usare altre specie senza alcun riguardo,  meccanicamente senza alcun timore degli effetti che possiamo generare.

Questa pandemia mostra quanto siamo vulnerabili e bisognosi di maggiore cooperazione internazionale. I Paesi più colpiti per primi hanno bisogno di aiuti e di supporto. Non solo i Paesi meno sviluppati: è tale e talmente rapido l’impatto di questa pandemia che, da soli, non ce la fanno nemmeno i Paesi più avanzati.

Questa pandemia si vince tutti insieme: finché ci saranno focolai in qualsiasi parte del mondo, nessuno si potrà sentire sicuro. Ci insegnerà che in un mondo globalizzato abbiamo un bisogno sempre più vitale di cooperazione fra i popoli e i governi?

Se il finanziamento ingente necessario per le misure di emergenza e di sostegno economico dovesse pesare solo sull’aumento, inevitabile, del debito pubblico italiano, senza tempestivi e consistenti interventi economici europei, l’uscita da questa crisi sarebbe per l’Italia più lunga, più difficile e ben più onerosa.

Questa situazione coinvolge anche altri Paesi europei più colpiti dal coronavirus come la Spagna. Un crollo dell’economia italiana genererebbe un effetto domino pericoloso per tutta l’Europa. Le istituzioni e i governi europei capiranno questa lezione e saranno in grado di fare di questa crisi l’occasione per un rilancio della credibilità e della forza del progetto europeo?

E anche in Italia ne faremo un’occasione per mettere a punto la nostra visione dell’Europa che non è una mensa che distribuisce pasti gratis, ma una casa comune che, nei momenti difficili, deve chiedere a tutti maggiore impegno?

In questa crisi ci siamo misurati con un interessante confronto sulle produzioni essenziali da tenere aperte e su quelle da chiudere, temporaneamente, per limitare i rischi per la salute.

Abbiamo accettato la chiusura dei negozi – tranne gli alimentari, le farmacie e pochi altri – che ha comportato un taglio dei nostri consumi, temporaneo, ma comunque drastico.

Le auto, salvo poche eccezioni, sono rimaste ferme. I brevi spostamenti vicino a casa si fanno quasi tutti a piedi. La qualità dell’aria nelle città pare proprio migliorata. Tutte misure eccezionali, necessarie per rispondere a una crisi senza precedenti, misure temporanee che speriamo durino il meno possibile.

Ma poi torneremo, come se non fosse successo nulla, a produrre ogni cosa, necessaria e superflua senza più pensare alla salute? Torneremo al consumismo, senza neanche pensare quanto sia realmente benefico, e al traffico congestionato e inquinante?

Avrà qualche conseguenza il fatto che il maggiore inquinamento dell’aria, in particolare da particolato, sia stato una delle possibili cause – non certo la sola, ma comunque sembrerebbe non trascurabile in alcune zone del Paese – di una maggiore diffusione e di una maggiore vulnerabilità nei confronti del coronavirus?

La pandemia, riducendo spostamenti e attività economiche, ha ridotto anche le emissioni di gas serra. Superata la pandemia si tornerà a emettere come prima o più di prima, oppure avremo maturato da questa crisi globale maggiore consapevolezza per affrontarne, in tempo, anche un’altra: quella del riscaldamento globale?

Nei pacchetti di misure di stimolo per l’economia daremo forza alle misure per la decarbonizzazione oppure, presi da ben altre priorità, lasceremo che la crisi climatica continui ad accelerare?

Certo potremmo imparare molte cose dalla dura lezione di questa pandemia. Speriamo di riuscirci.

 

Foto di <a href="https://pixabay.com/it/users/BlenderTimer-9538909/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=4972480">Daniel Roberts</a> da <a href="https://pixabay.com/it/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=4972480">Pixabay</a>





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