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Verso l’economia circolare. Consultazione pubblica sugli indicatori per misurarla


Verso l’economia circolare. Consultazione pubblica sugli indicatori per misurarla

Il ministero dell’ambiente ha avviato una consultazione per verificare quali indicatori utilizzare per misurare l’effettiva transizione ad un modello di economia circolare. Alcuni spunti del documento sono interessanti, anche se emergono criticità e significative incertezze concettuali.

Di Paolo Pipere, consulente giuridico ambientale, segretario nazionale Associazione esperti ambientali

A seguito della pubblicazione del documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”, con il quale i ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico hanno definito la strategia nazionale per raggiungere l’obiettivo fondamentale delle più recenti politiche ambientali dell’Unione Europea, è stata aperta una consultazione pubblica finalizzata a verificare quali indicatori impiegare per descrivere la situazione di partenza e il progressivo avvicinamento all’ambito traguardo.
Il ministero parte dall’assunto secondo il quale, a differenza del sistema definito lineare che parte dalla materia e arriva al rifiuto, l’economia circolare è un modello di sviluppo in cui i prodotti di oggi sono le risorse di domani, in cui il valore dei materiali viene il più possibile mantenuto o recuperato, in cui c’è una minimizzazione degli scarti e degli impatti sull’ambiente.

Come costruire l’economia circolare
Le linee di intervento fondamentali per promuovere la transizione al nuovo modello di sviluppo sono state individuati nei seguenti termini:
«- revisione della normativa al fine di creare un contesto di riferimento che sia di concreto supporto e di stimolo allo sviluppo dell’economia circolare, anche mediante il miglioramento della coerenza, la semplificazione dei processi, l’ottimizzazione della governance ambientale e la rimozione degli ostacoli nell’attuazione della normativa stessa;
- individuazione degli strumenti economici al fine di creare adeguati incentivi all’adozione di modelli di produzione e consumo circolari e sostenibili, promuovendo la transizione verso la riforma fiscale ambientale;
- organizzazione di attività di comunicazione e sensibilizzazione per informare i cittadini sui nuovi modelli di consumo, le amministrazioni centrali e locali sulle opportunità e i benefici legati al tema dell’economia circolare e favorire la collaborazione tra tutti gli attori dell’economia circolare - Pubbliche Amministrazioni, imprese, istituti di ricerca scientifica e tecnologica;
- promozione della ricerca al fine di favorire l’innovazione e il trasferimento di tecnologie e la competitività dei settori industriali e della formazione di manager e tecnici per rispondere alle nuove esigenze dell’economia circolare».

Il punto di partenza
Indicazioni senza dubbio condivisibili, ma che si scontrano con una situazione di partenza ben lontana dal costituire il necessario presupposto al cambiamento.
La normativa ambientale, e in particolare quella sui rifiuti, ha raggiunto un livello di complessità tale da renderne molto difficile la concreta attuazione. Il rischio di blocco degli impianti di recupero conseguente alla sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto di competenza esclusiva dello Stato la definizione delle condizioni per la cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) e quindi della capacità degli impianti di recupero di trasformare i rifiuti in prodotti, così come la prolungata inerzia del ministero dell’ambiente nella definizione delle modalità con le quali autorizzare gli impianti di preparazione per il riutilizzo (i trattamenti che consentono ad un prodotto divenuto rifiuto di ritornare ad essere una merce dello stresso tipo) non depongono certo a favore della creazione dell’auspicato contesto legislativo di riferimento favorevole alla transizione all’economia circolare.

L’assenza di incentivi economici
Gli incentivi economici all’adozione di modelli di produzione e consumo circolari e sostenibili per il momento si sono concretizzati esclusivamente nell’introduzione obbligatoria dei criteri ambientali minimi nel Codice degli appalti. Un’iniziativa importante, perché agisce sul lato della domanda pubblica di prodotti e servizi più sostenibili, ma che richiederà alcuni anni per generare risultati significativi. Nessuna novità, invece, sul fronte della riduzione dell’IVA per i prodotti modulari e durevoli, mentre in altri Paesi si varano norme contro l’obsolescenza programmata, per i prodotti derivanti dai pochi impianti autorizzati alla preparazione per il riutilizzo e da quelli che recuperano i rifiuti. Del tutto assenti anche gli incentivi al passaggio dalla vendita di prodotti a quella di servizi che incorporano l’uso dei prodotti e ne garantiscono il recupero a fine vita e tanto meno alla sharing economy, completamente dimenticata dalle poche norme orientate a favorire lo sviluppo dell’economia “verde”.

Quale comunicazione per la sostenibilità?
Pressoché assenti, fino ad oggi, anche le attività istituzionali di “comunicazione e sensibilizzazione per informare i cittadini sui nuovi modelli di consumo”. Con l’importante eccezione costituita dal nuovo marchio “Made Green in Italy”, basato sulla metodologia per la determinazione dell'impronta ambientale dei prodotti (PEF) definita nella Raccomandazione 2013/179/UE, non si è realizzata nessuna campagna di informazione nazionale sui prodotti dotati del marchio Ecolabel e non vi sono state iniziative per far conoscere i vantaggi sociali ed ambientali delle attività economiche registrate EMAS o certificate secondo ISO EN UNI 14001.
Inutile, infine, considerare la promozione della ricerca scientifica e tecnologica funzionale alla sostenibilità, considerato che il nostro Paese continua ad essere saldamente attestato agli ultimi posti della graduatoria degli Stati economicamente sviluppati che investono in ricerca: l'1,29% del Pil, in calo rispetto all'1,34% del 2015 (fonte: The European House-Ambrosetti, 2018).

Gli indicatori europei in preparazione
Il documento sottoposto alla consultazione pubblica ricorda che la Commissione Europea ha avviato un gruppo di lavoro con l’obiettivo di redigere una serie di indicatori per misurare le performance di “circolarità” dei 27 paesi europei. A seguito di questo percorso sono stati individuati dieci indicatori raggruppati in 4 macro aree e aspetti dell’economia circolare: 1) produzione e consumo; 2) gestione dei rifiuti; 3) materie prime secondarie 4) competitività ed innovazione.

Gli indicatori nazionali
Il ministro propone però un set di indicatori nazionale articolato, fondamentalmente su cinque aspetti:
1. Input. Materie prime, Materie prime seconde, Materiali da riciclo permanente, Materiali che sono soggetti ad una degradazione lungo i vari cicli di riciclo (ad es. plastiche), Sottoprodotti, Progettazione, Produzione e distribuzione.
2. Prodotto come servizio. Tale soluzione prevede che non ci sia vendita di un bene, ma del servizio corrispondente: si tratta di un modello di business per cui il cliente non paga per possedere un prodotto, ma per l’accesso al suo utilizzo, rappresentando una rilevante opportunità di innovazione e di riduzione dell’impatto ambientale;
3. Condivisione/affitto/noleggio, uso e consumo. La condivisione di un bene tra più utilizzatori rappresenta un’opportunità di riduzione dei costi di accesso a tutta una serie di prodotti e servizi, un’occasione di interazione e coesione sociale attraverso l’utilizzo di piattaforme, ma anche una soluzione per aumentare l’utilizzo dei beni e, quindi, di ridurre il numero di prodotti che sarebbero necessari;
4. Estensione vita utile, riutilizzo e riparazione. Si tratta di azioni volte ad estendere il periodo di vita utile del prodotto attraverso specifiche e mirate azioni di manutenzione, progettazione modulare, che ne consenta una facile riparazione/sostituzione dei componenti, possibilità di ricondizionare e riutilizzare il bene a fine vita, anche in ambiti diversi.
5. Output. riutilizzo, sottoprodotti, end of waste, gestione dei rifiuti con particolare riferimento alla preparazione per il riutilizzo, al recupero e riciclaggio, trasformazione degli end of waste in prodotti, utilizzo dei sottoprodotti.

Incertezze concettuali
Gli indicatori proposti, pur non cogliendo ogni aspetto della transizione all’economia circolare, sono sicuramente significativi, anche se non si può far a meno di notare una notevole imprecisione nell’impiego di termini giuridicamente ben definiti. Solo per citare uno dei possibili esempi, che cosa dovrebbe misurare l’indicatore “trasformazione degli end of waste in prodotti, dato che affinché il processo di cessazione della qualifica di rifiuto (end of waste) si concluda un impianto di recupero deve necessariamente giungere a generare output che siano in tutto e per tutto prodotti rispondenti ad ogni norma cogente applicabile?

 

Di Paolo Pipere, consulente giuridico ambientale, segretario nazionale Associazione esperti ambientali

 




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