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21/01/2022

TARI – Comunicazione delle utenze non domestiche all’ente gestore della scelta dell’operatore di raccolta dei rifiuti urbani.

L’art. 30 del Decreto-legge n. 41/2021 (Decreto Ristori), convertito con modifiche in Legge 69/2021, in vigore dal 22 maggio 2021, ha individuato il termine entro il quale le utenze non domestiche devono inviare la comunicazione al Comune o all’Ente gestore di aderire o meno al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti divenuti urbani (gli ex assimilati).

 

La novità consegue alla modifica dell’art. 238 co. 10 del D. Lgs. 152/2006 (in seguito “TUA”), introdotta dal D. lgs. 116/2020 che ha previsto per le utenze non domestiche produttrici di rifiuti urbani (gli ex assimilati, di cui all’Allegato L-quater Parte IV TUA) che svolgono attività produttive elencate nell’Allegato L-quinquies alla Parte IV TUA, di comunicare formalmente al Comune o all’Ente gestore del servizio se intendono consegnare i propri rifiuti (di cui all’Allegato L-quater) al servizio pubblico, oppure a soggetti privati, previa dimostrazione di averli avviati al recupero mediante attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi (art. 198 co. 2-bis TUA).

 

Esclusivamente per il 2021, tale scelta è stata comunicata entro il 31 maggio con effetto dal 1° gennaio 2022. Per gli anni successivi la comunicazione dovrà essere effettuata entro il 30 giugno di ciascun anno con effetto per l’anno successivo.  

 

La modifica all’art. 238 comma 10 TUA ha generato diverse criticità nella tariffazione e negli equilibri finanziari del servizio di raccolta dei rifiuti urbani, nonché nei confronti delle utenze non domestiche.

 

Un primo aspetto, consistente nella facoltà da parte delle utenze non domestiche di aderire al servizio pubblico di raccolta dei rifiuti urbani, oppure di avvalersi per tale servizio di società private specializzate, porta alla luce una serie di peculiarità che sono emerse durante i primi mesi di applicazione della riforma dell’art. 238 co. 10 TUA. Infatti, ad oggi, non è stato raggiunto l’obiettivo di uniformare la disciplina su tutto il territorio nazionale, poiché taluni Comuni/Enti Gestori prevedono che la scelta di aderire al servizio pubblico sia esclusiva; pertanto, in caso affermativo si pone il problema per i gestori del servizio pubblico di essere in grado di garantire la gestione di una mole maggiore di rifiuti (ora) urbani provenienti dalle utenze non domestiche. Dall’altro, in caso di adesione al regime privatistico, all’utente non domestico potrebbe trovarsi precluso l’accesso ai centri di raccolta comunali.

 

La soluzione di considerare tale scelta come esclusiva non è, tuttavia, l’unica che offre il panorama odierno. Infatti, vi sono altre realtà nelle quali l’adesione al regime privatistico è ancora consentita per quella sola parte di rifiuti (ex speciali) conferiti a società private destinati al recupero (inteso in senso comprensivo di tutte le forme di recupero, compreso anche il riciclo, come confermato dal MITE nell’ultima Circolare del 3 maggio 2021) e, conseguentemente, lasciando libero accesso alle isole ecologiche per il conferimento di quei rifiuti urbani sottoposti al servizio pubblico.

 

Il secondo aspetto riguarda l’esclusione dei rifiuti prodotti da attività industriali ed in particolare la questione cruciale se le aree non destinate alla “produzione industriale” possano rientrare anch’esse nella nozione di “rifiuto speciale-industriale” o se, invece, in considerazione della loro natura e tipologia, debbano essere considerate produttrici di “rifiuti urbani”. In proposito, si segnala la recente sentenza TAR Sardegna 31 dicembre 2021 n. 893 ove il Giudici hanno ritenuto applicabile il c.d. sistema binario, ossia “Esercitata l’opzione, da parte dell’operatore economico, per l’autosmaltimento, i rifiuti non propriamente riconducibili e classificabili da “produzione” industriale, possono essere attratti ad un unico smaltimento gestito dal produttore, con sottrazione sia della quota variabile che fissa. Invece, l’eventuale autosmaltimento anche della porzione di rifiuti urbani (in toto o in porzione) per le superfici destinate ad attività non industriale, esonerano l’imprenditore dal pagamento della (sola) quota variabile per il periodo quinquennale richiesto. La produzione industriale determina la produzione sia di rifiuti propriamente industriali, sia di rifiuti assimilabili a quelli urbani ordinari. Con necessaria differenziazione fra rifiuti propriamente industriali (categoria che attiene alle lavorazioni e spazi connessi) e rifiuti assimilabili a quelli urbani (rifiuti “civili” prodotti da uffici, servizi, mense, cucine), in applicazione del sistema binario.”.

 

Le criticità non sono comunque finite, in quanto da queste premesse sviluppano tutta una serie di interrogativi circa le modalità di tenuta della documentazione ambientale in caso di conferimento al servizio pubblico di quei rifiuti, seppur prodotti da utenze non domestiche, che ora sono stati classificati come urbani, oltre alle specificità in rapporto al trasporto utilizzato. Quest’anno sarà dunque essenziale che si affrontino ancora i temi irrisolti, peraltro già in buona parte segnalati dalle associazioni di categoria, nonché dall’ANCI.

 

Francesca Allocco
avvocato che si occupa di diritto dell’ambiente