Quando si lancia un prodotto sul mercato, un buon imprenditore osserva sempre quello che offre la concorrenza e poi cerca di realizzarne uno migliore. Ma quando Marco Tegas, 23 anni e una laurea in informatica alle spalle, è volato a Las Vegas a presentare il suo progetto, ha dovuto fare i conti con un concorrente inaspettato: Madre Natura. In questo caso il prodotto si chiama Namastree, dalla fusione delle parole Namastè (“mi inchino a te” in lingua indù) e Tree (“albero” in inglese) ed è un albero, alto sette metri e largo tre, in alluminio e vetroresina che prova a insidiare il primato della sua controparte naturale. A differenza di essa, l’albero 2.0 è dotato di pannelli solari che gli permettono di caricare delle batterie nascoste al suo interno; riesce inoltre a purificare l’aria e a fornire acqua potabile sfruttando la condensa che si crea tra i suoi “rami”.
Con l’energia che riesce a immagazzinare dal sole, Namstree è anche in grado di ricaricare bici, auto elettriche e smartphone, fornire un segnale Wi-Fi e persino effettuare chiamate d’emergenza con soccorso immediato. «Namastree è pensato soprattutto per quelle popolazione del mondo che non hanno accesso a una fonte di acqua e di energia – spiega Marco – ma abbiamo immaginato anche una versione dedicata alle smart cities, personalizzata per diventare un infopoint e limitare gli effetti dell’inquinamento». L’idea è nata dal padre, Salvatore Tegas, imprenditore sardo titolare di un’azienda che opera nel settore delle istallazioni elettriche. «La lampadina si è accesa mentre sorvolava Singapore, osservando il Supertree Grove, la foresta di alberi artificiali caratteristica della megalopoli asiatica. Poi nel 2016 abbiamo ottenuto il brevetto di invenzione», continua Marco.
LA CAMPAGNA DI CROWDFUNDING
Da allora è partita una campagna di raccolta fondi innovativa che terminerà il 5 febbraio. «Abbiamo deciso di raccogliere finanziamenti tramite una moneta virtuale che abbiamo lanciato appositamente». Si chiama Namacoin ed è basata sulla blockchain, la stessa tecnologia dei Bitcoin, per intenderci. Chi la compra può decidere di tenerla per sé e aspettare che il suo valore aumenti, oppure destinare parte del finanziamento ad associazioni che fanno beneficenza nei paesi in via di sviluppo.
I finanziatori di Namastree avranno anche la possibilità di accedere ai dati ambientali come la qualità dell’aria o la frequenza delle piogge che l’albero immagazzina in un database interno. «Presentare al Consumer Electronics Show di Las Vegas la nostra startup è stata un’esperienza magnifica. Abbiamo stretto contatti con possibili investitori ma anche con le altre realtà innovative della Sardegna», dice Marco che ha unito la passione per l’informatica con l’interesse per la gestione aziendale trasmessagli dal padre. «Alla fine della campagna di crowdfunding speriamo di poter vendere il nostro albero a un governo di un paese interessato o a un’azienda internazionale».
Il progetto ha finora raccolto più della metà dei finanziamenti necessari alla sua realizzazione ma è ancora presto per dire se l’albero 2.0 manderà in pensione il suo rivale naturale. Intanto può dirgli solo: «Namastè, mi inchino a te».
Fonte: La Stampa, 5 Febbraio 2019