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Rassegna del 17 Maggio 2018
    

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Aziende, essere green conviene davvero: strategie e consigli di Greenpeace


L’impresa che investe nella green economy fa un favore al pianeta e alle proprie tasche. In Italia come fare a risparmiare davvero sui costi in azienda attraverso strategie ecosostenibili? Lo abbiamo chiesto a Luca Iacoboni di Greenpeace, che ci ha risposto così.

Energie rinnovabili, attenzione all’ambiente ed economia sostenibile sono sempre più dei punti importanti nelle agende e nei piani di governo di molti Paesi al mondo. Le grandi aziende cominciano così a muoversi verso forme di energia alternativa, abbandonando pian piano le fonti fossili e inquinanti e adottando strategie green che fanno bene ai loro bilanci e all’ambiente.

I vantaggi economici sono riconosciuti. Le imprese che mirano a un approccio ecosostenibile, mentre fanno un favore all’ambiente, diventano più competitive, si guadagnano una maggiore fiducia dei consumatori e l’affetto dei dipendenti, e riescono a beneficiare di alcuni sgravi fiscali ad hoc.

Per approfondire questo tema e avere le idee chiare sul punto della situazione in Italia abbiamo parlato a lungo con Luca Iacoboni, responsabile della campagna Energia e clima per Greenpeace. Comprendiamo quindi in che modo anche il nostro Paese sta cercando di adeguarsi ai cambiamenti e, soprattutto, come si stanno evolvendo le realtà imprenditoriali sul territorio.

Attraverso l’intervista vogliamo fornire utili consigli e best practise per le aziende che intendono diventare green per risparmiare sui costi e diminuire il loro impatto sull’ambiente.

Nel report di Greenitaly (per il 2017) vediamo come la Lombardia sia molto più avanti con gli investimenti green e come, a livello aziendale, le imprese che hanno effettuato eco-investimenti siano di gran lunga più numerose qui rispetto alle altre zone d’Italia. Perché questo squilibrio?

Il paradosso della Lombardia e lo squilibrio non è inatteso, i motivi sono vari e in primis una delle motivazioni è che al Nord sono concentrate la maggior parte delle aziende. Questo però non è l’unico motivo e soprattutto non è neanche il dato più interessante. Se dovessi scegliere un elemento importante è senza dubbio la burocrazia, dai vincoli che possono essere paesaggistici, fino alle problematiche per mettere in atto i cambiamenti di vario genere.

Il Nord Italia è più efficiente e più “sburocratizzato” rispetto al Sud e ciò potrebbe essere un elemento a suo vantaggio: in questo tipo di processi di ammodernamento la maggiore velocità è un vantaggio che non possiamo sottovalutare.
Quindi, come seconda ragione di questo squilibrio, possiamo indicare la minore burocrazia con il paradosso che al Sud le energie rinnovabili (pensiamo ad esempio all’energia mareomotrice) sarebbero di gran lunga più semplici da sviluppare.
Quando parliamo di aziende ovviamente intendiamo realtà medie, dal momento che per multinazionali e PMI il discorso sarebbe differente.

Al Nord probabilmente la fonte migliore di energia rinnovabile è il sistema idroelettrico, di cui questa parte del Paese beneficia da moltissimo tempo. Si tratta infatti di impianti vecchi, installati ormai da tempo, una bella eredità che il Nord si porta dietro. Anche questo è un bel vantaggio rispetto al Sud, che pur avendo le energie da sfruttare al momento non ha i mezzi per farlo.

Se parliamo di aziende medio-piccole (non Edison, Enel e via dicendo), si hanno invece due diverse possibilità per riuscire a sfruttare le energie rinnovabili e poter dire addio alle energie inquinanti. La prima opportunità che si ha è sottoscrivere una fornitura 100% rinnovabile, mentre la seconda possibilità è investire direttamente sul rinnovabile. Nel secondo caso si potranno acquistare pannelli solari da apporre sul tetto, in modo da avere autonomia di produzione.

In Italia a che punto siamo con il risparmio energetico e la promozione dell’energia rinnovabile? Il nostro Paese in molti report risulta tra gli ultimi in graduatoria tra gli stati dell’UE

Sostanzialmente siamo ad un punto morto. L’Italia è un Paese che ha fatto molto in passato, seppur in maniera non sempre efficiente, distribuendo incentivi anche in momenti in cui non vi era una vera e propria motivazione, come ad esempio il fotovoltaico in campo agricolo. Si tratta, però, di piccole parentesi storiche in cui gli incentivi sono stati dati in modo non idoneo.

Adesso ci troviamo in un momento statico in quanto gli investimenti non aumentano e, soprattutto, cittadini e PMI non hanno fiducia nell’investire in questo settore. Le ragioni principali sono due: da una parte i già citati problemi burocratici, dall’altra la mancanza di una certezza normativa. Nel nostro Paese si cambiano le leggi retroattivamente, per cui se in un momento si è stabilito un determinato iter, non è detto che questo rimanga poi anche per gli anni a venire. Un esempio di ciò è lo Spalma incentivi, un pacchetto approvato nel 2014 che cambia le carte in tavola, riducendo i finanziamenti per il fotovoltaico. Una mossa del genere destabilizza completamente il mercato e porta le aziende e i cittadini a non avere fiducia in questo tipo di incentivi.

Da un punto di vista politico si dice sempre che “siamo i primi in Europa”, ma andando a vedere i risultati non è vero. Questa credenza deriva in buona parte da impianti del passato, su cui incide molto l’idreoelettico vecchio.
Lo stato di salute del comparto non è buono in Italia, non c’è un settore ben organizzato per questo, e soprattutto la mancanza di fiducia e i continui cambiamenti portano a perdere vari posti di lavoro ogni anno, non incentivando in alcun modo quello che potrebbe essere un ottimo settore per il Paese.

Il Governo italiano ha lanciato di recente l’Ecobonus, che potrebbe essere un ottimo passo avanti per le imprese. Un primo passo che dovrebbe poi essere seguito da cosa?

L’Ecobonus è uno strumento ottimo, che viene però riproposto ogni anno con modifiche e cambiamenti. Ciò che davvero servirebbe è la certezza che questo incentivo possa essere attivo sempre, non che venga rinnovato ogni anno con modalità differenti. Se ogni anno viene dato, ma non in senso programmatico, i cittadini e le imprese non lo possono sfruttare nel modo corretto e soprattutto non vi possono fare affidamento. Servirebbe quindi una misura stabile che rimanga attiva e uguale nel corso degli anni e su cui fare conto ogni volta.

Sarebbe conveniente, poi, inserire anche altri strumenti oltre a quelli che sono già previsti. Ad esempio, una campagna virtuosa, lanciata su Change.org, riguarda la reintroduzione degli incentivi anche per lo smaltimento dell’amianto. In questo caso si tratta di un’operazione che deve essere svolta, dal momento che è un materiale pericoloso per la salute, per cui è una questione di cui bisogna farsi carico. La proposta, lanciata su Change.org e diretta al Ministero dello Sviluppo Economico, è quindi quella di smaltire l’amianto e nel contempo istallare impianti fotovoltaici sugli edifici bonificati.

Anche in questo caso è però importante ottenere non solo dei finanziamenti stabili e duraturi nel tempo, ma anche snellire la burocrazia. I processi burocratici sono infatti spesso molto lunghi per attività di questo genere e tendono a diminuire l’efficacia delle manovre attuate.

Lanciare un piano come quello della Nuova Zelanda, che propone incentivi a chi sceglie di recarsi in bici al lavoro, potrebbe essere ipotizzabile anche in Italia? Dal punto di vista aziendale quali possono essere gli incentivi da dare ai dipendenti per sensibilizzarli in questo senso?

In parte si può ipotizzare anche da noi, ma servono le infrastrutture. Se non ci sta una rete ciclabile adeguata è impossibile che ci sia un cambiamento. Questo tipo di responsabilità è del governo e non della persona che gestisce un’azienda visto che, nel momento in cui non sono presenti le infrastrutture, è inutile pensare di creare incentivi.
Le aziende, però, potrebbero già prevedere una cosa del genere: in primis in tutte quelle città italiane dove sono presenti piste ciclabili e percorsi idonei per la mobilità a pedali. In queste realtà si potrebbe anche pensare di inserire incentivi per l’acquisto di una bicicletta, magari elettrica, che potrebbe aiutare anche nelle aree geografiche più problematiche. A Roma ad esempio la conformazione del territorio, disposto su sette colli, non rende la città facile per i ciclisti, ma con una bicicletta elettrica si potrebbe risolvere anche questo problema.

Un altro tipo di incentivo da parte dell’azienda potrebbe essere quello dell’acquisto di un parco bici elettriche, in modo che i dipendenti le conoscano e le provino a turno. In questo modo sul posto di lavoro si riuscirà a sperimentare un mezzo nuovo per spostarsi, che poi si potrà anche decidere di acquistare. Un’azienda può educare i dipendenti anche solo proponendo la prova della bicicletta o di un altro mezzo di trasporto meno inquinante dell’auto a metano.
Altra possibilità che si ha è creare un incentivo per l’uso dei mezzi pubblici, in sostituzione all’auto privata. Una proposta che applicata potrebbe portare ad una notevole diminuzione delle emissioni di Co2.

Stessa proposta si potrebbe fare con il car sharing, meglio ancora di auto elettriche, dato che è una modalità più sostenibile. L’azienda potrebbe proporre ai suoi dipendenti di usare questo mezzo alternativo per spostarsi, facendo anche una convenzione con una ditta che fornisce questo tipo di servizio, in modo da avere un prezzo più vantaggioso.
In questo modo si abitua il dipendente ad un modo di muoversi differente e si riesce ad avvicinarlo all’auto elettrica e alla viabilità green. Nel caso in cui la persona si trovasse bene con questo tipo di servizio potrebbe poi decidere di usarlo anche nel fine settimana o nei momenti di svago.

Proposta invece ancora più ambiziosa potrebbe essere lo smart working, che soprattutto per aziende medio-grandi sarebbe ottimo e soprattutto permetterebbe una minore emissione di Co2. Proporre lo smartworking anche solo parziale, facendo rimanere a casa il dipendente un paio di giorni a settimana, è un ottimo modo per riuscire a ridurre le emissioni di Co2 e fare così un bel regalo al pianeta.

Quanto risparmierebbe (se possibile stimarlo) un’azienda, in termini di costi, se scegliesse energie rinnovabili come pannelli solari e altre fonti di riuso e riciclo?

Dipende da due variabili: 1) la grandezza di un’azienda, 2) la spesa richiesta per l’energia. Se prendiamo un ufficio e una fabbrica, ovviamente le cose cambiano visto che il fabbisogno energetico è diverso. Fare, quindi, una stima di quanti soldi si potrebbero risparmiare è un po’ difficile, anche se comunque possiamo fare degli esempi.
È innegabile che ci siano delle win win situation: l’efficienza energetica, e quindi l’evitare sprechi o dispersioni, porta a un risparmio, anche se si tratta di una piccola somma. Rivolgersi a un consulente per individuare gli sprechi in ufficio e le relative soluzioni è senza dubbio un modo per riuscire a ridurre i costi e per diminuire le spese per bollette e consumi di vario genere.
Altro discorso è per il riciclo dei materiali, dove si ha un risparmio vero e proprio, ma viene applicato davvero poco in azienda.

Nel momento in cui si fa un investimento che punti all’istallazione di pannelli solari o altri tipi di energia pulita, ovviamente si passa a un ammortamento. In questi casi in sostanza si farà un investimento iniziale che poi si andrà ad ammortizzare nel corso degli anni successivi; per i pannelli solari ad esempio si tratta di un ammortamento che avviene nei primi 6-7 anni dell’acquisto. Un pannello solare ha una vita di 25 anni, anche se può funzionare anche per molto più tempo, e quindi il guadagno si avrà dall’8° anno in poi.

Come esempio di risparmio per i costi delle aziende possiamo citare un crowdfunding lanciato da Greenpeace anni fa per l’acquisto di un impianto fotovoltaico per il Comune di Lampedusa. L’impianto ebbe un costo di 30mila euro per una potenza da 40 kilowatt, ma con l’impianto (secondo le stime) l’isola risparmierà circa 200mila euro ed eviterà l’immissione di quasi 300 tonnellate di Co2.

Che consigli dà Greenpeace a un’azienda che vuole affacciarsi sul mercato della green economy? Quali piccoli cambiamenti possono essere applicati per riuscire a risparmiare e per avere un minore impatto a livello ambientale?

A quello che abbiamo detto finora (proposta di un parco bici, uso di car sharing, insegnamento ai dipendenti delle buone pratiche per evitare di inquinare...) possiamo aggiungere ancora qualche altra cosa. Utile in questo senso il car pooling, ossia la condivisione dell’auto per recarsi al lavoro insieme da parte di due o più colleghi. O ancora, per rendere più efficienti i processi, si consiglia di riciclare e riutilizzare i materiali, evitando quando si può l’usa-e-getta sfrenato. In verità sin dal primo anno di messa in atto di questo tipo di processo si possono vedere i risultati sia per i costi che per l’ambiente.

Per applicare al meglio il risparmio energetico è invece opportuno fare un’analisi energetica, che ci aiuti a capire dove andare a migliorare, effettuando poi interventi di efficienza energetica. Con degli investimenti si potrebbe arrivare anche all’autoproduzione e autoconsumo, applicando pannelli solari sul tetto dell’azienda e riuscendo a riguadagnare anche sul medio periodo dei soldi.

Se non fosse possibile investire su una cosa del genere si può comunque aderire a realtà cooperative che si stanno affermando in Europa e cominciano ad arrivare anche in Italia. Entrare in una cooperativa, non passando da un’azienda all’altra, può essere un buon modo per avere energia pulita e per riuscire a fare un piccolo investimento. Ad esempio Greenpeace è diventata membro di ènostra, cooperativa del tutto green che produce energia rinnovabile.

 

Fonte: Money, 9 maggio 2018




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