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Rassegna del 21 Febbraio, 2020
    

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Il business dello smaltimento delle navi è un rischio per l'ambiente


Il business dello smaltimento delle navi è un rischio per l'ambiente

Lo shipwrecking è poco conosciuto, ma ha un giro d'affari milionario. E tante compagnie cercano di aggirare le norme europee affidandosi a demolitori che pagano di più e rivendono i materiali dei natanti, senza alcun rispetto per l'ambiente e la sicurezza dei lavoratori

L’aspettativa di vita di una nave è di soli 25-30 anni, a quel punto molte di esse ormai in disuso vengono smantellate. La pratica dello shipbreaking di una nave è il processo di demolizione e della vendita delle loro parti o del materiale in cui sono fabbricate – principalmente l’acciaio. Il processo di solito richiede tra i 3 e i 4 mesi. Le compagnie di navigazione trovano più conveniente dal punto di vista economico disfarsi delle imbarcazioni per evitare i costi di manutenzione, le tasse portuali, gli stipendi dell’equipaggio e le tasse petrolifere che dovrebbero altrimenti sobbarcarsi. Ma anche se il processo di riciclaggio di una nave sembra un processo virtuoso da inserire nell’ottica dell’economia circolare, l’ong Shipbreaking Platform ha denunciato che attualmente in tutto il mondo questa pratica non ha nulla a che vedere con gli ideali di giustizia sociale ed ambientale. E anzi, la demolizione dei natanti mette a repentaglio l’ambiente.

I numeri e i fatturati

La rottamazione delle navi è un business più grande di quello che si possa immaginare. Attraverso il loro nuovo progetto online Off the Beach, la Shipbreaking Platform permette di visualizzare interattivamente i dati raccolti dell’ultimo anno. I nuovi numeri diffusi affermano che nel 2019 sono state vendute ai cantieri di rottamazione 674 navi commerciali oceaniche e unità offshore. Di queste, 469 grandi petroliere, bulkers, piattaforme galleggianti, navi da carico e passeggeri sono state demolite solamente su tre spiagge tra il Bangladesh, l’India e il Pakistan. I dati raccolti mostrano come in cima alla lista dei paesi che hanno venduto le proprie imbarcazioni per essere demolite in paesi terzi ci sono gli Emirati Arabi e la Grecia, rispettivamente con 45 e 40 navi.

Il materiale che deriva dallo smantellamento è essenziale per altre industrie presenti nelle zone limitrofe alle spiagge di Chattogram, Alang e Gadani, come le acciaierie di rilaminazione. L’acciaio una volta riciclato non perde, anzi mantiene le stesse proprietà dell’acciaio vergine ed è quindi riutilizzabile virtualmente all’infinito.

A giocare un ruolo importante è anche la condizione attuale del mercato dell’acciaio, che offre condizioni più favorevoli in Asia meridionale rispetto ad altre aree del globo. Questi fattori influenzano le decisioni degli armatori che si trovano a dover rottamare le navi giunte a fine ciclo di vita. “Al momento un cantiere di smantellamento navale asiatico può pagare circa 400 dollari americani per ldt (misura che definisce la tonnellata di materiale leggero da dislocare) per ricevere una nave”, dice a Wired Nicola Molinaris, Policy Officer della Shipbreaking Platform. “Un cantiere turco – che opera in maniera pulita – può pagare circa 250 dollari per ldt; un cantiere europeo solamente tra i  100 e i 150 dollari per ldt. Come si può immaginare, più grande é la nave maggiore é il profitto”, ha continuato Mulinaris. A guadagnarci sono dunque sia i proprietari di navi, che possono avere profitti maggiorati fino al 400%, che i compratori, che nei loro cantieri a cielo aperto sulle spiagge riusciranno poi a rivendere il materiale riciclato.

Le ripercussioni dello shipwrecking sull’ambiente

Il profitto dei compratori di barche si basa soprattutto sul costo della manodopera di basso livello e sulle scarse implementazioni delle regole internazionali riguardanti sicurezza e salute dei lavoratori, che hanno però trasformato con il tempo alcune delle spiagge incontaminate dell’Asia in vere e proprie discariche, tra le più inquinate e pericolose del mondo. “Il Bangladesh rimane la discarica preferita per le navi da rottamare cariche di sostanze tossiche. C’è un’ampia conoscenza dei danni irreparabili causati da pratiche pericolose sulle pianure fangose di marea, ma il profitto è l’unico fattore decisivo per la maggior parte degli armatori quando vendono le loro navi per la demolizione”, ci ha spiegato Ingvild Jenssen, fondatrice e direttrice della ong Shipbreaking Platform.

In India, molti cantieri vantano di aver aggiornato le loro strutture di spiaggiamento per conformarsi ai requisiti stabiliti dalla Convenzione di Hong Kong dell’Organizzazione marittima internazionale. Tuttavia, recenti visite di ispezione da parte della Commissione Europea ad Alang hanno provato il contrario ed evidenziato gravi preoccupazioni legate all’inquinamento delle aree limitrofe, e la pericolosità di sostanze nocive (tra cui amianto, piombo, mercurio, bifenili policlorurati e radio).

Nessuna struttura situata nell’Asia meridionale soddisfa i requisiti di sicurezza europei dei lavoratori, i quali spesso devono maneggiare queste sostanze tossiche in mancanza di equipaggiamento protettivo, a 40 gradi al sole e con l’assenza di strutture mediche. Secondo la Shipbreaking Platform il 2019 è stato l’anno peggiore per i cantieri del Bangladesh in termini di decessi dal 2010. Almeno altri 34 lavoratori sono rimasti gravemente feriti e 24 hanno perso la vita, mentre il numero totale di morti nei cantieri indiani rimane sconosciuto.

Regole senza bandiera

Secondo il regolamento dell’Unione Europea sul riciclaggio delle navi applicabile dal 1° gennaio 2019, le navi battenti bandiera Ue devono essere riciclate in uno dei 41 impianti attualmente approvati in tutto il mondo inclusi in un elenco Ue. Ma alcune delle compagnie di navigazione – come la danese Maersk – hanno lasciato il registro navale danese per l’attrattiva di ricevere più ampi profitti attraverso la vendita delle loro navi.

Aggirare questa legge è di fatto facile: basta cambiare bandiera alle imbarcazioni durante l’ultimo viaggio. Tutte le navi che passano a Chattogram, Alang e Gadani vengono comprate a rottamaioli disposti a pagare un prezzo più alto alle compagnie navali – in vista dei profitti della vendita dell’acciaio – e si occupano personalmente di ri-registrare le navi che vengono riutilizzate battendo una nuova bandiera, soprattutto nei microstati di Palau, Comore e St Kitts & Nevis.

Anche l’Italia contribuisce a questo business: nel 2019 due imbarcazioni italiane sono state smantellate sulle spiagge dell’Asia meridionale, entrambe demolite sulla spiaggia indiana di Alang. “Da sempre attiva nel settore marittimo, negli ultimi dieci anni, più di 100 navi appartenenti ad armatori italiani sono state smantellate sulle spiagge dell’Asia meridionale”, dice Mulinaris. “Armatori quali Grimaldi Group, Cafiero Mattioli, Saipem e Vittorio Bogazzi si sono contraddistinti per pratiche di demolizione inaccettabili”, ha proseguito.

Le soluzioni che esistono

Un’azione congiunta delle autorità è l’antidoto, come si può immaginare: “I decisori politici devono adottare misure efficaci per dirottare le navi verso i siti che sono stati approvati dall’Ue. Il fatto che le vecchie navi siano registrate sotto bandiere note per la scarsa applicazione del diritto marittimo internazionale solleva seri dubbi sull’efficacia della legislazione basata solo sulla giurisdizione dello stato di bandiera”, ci ha detto Jenssen.

Mentre le banche internazionali – tra cui l’Eib – iniziano a tenere in conto il rischio e impatto ambientale come componente fondamentale per elargire prestiti, e promettono il definanziamento verso le industrie e compagnie petrolifere, altre istituzioni finanziarie guardano al definanziamento delle compagnie navali. Ad esempio, all’inizio del 2018, i fondi pensionistici scandinavi Klp e Gpfg sono stati i primi ad allontanarsi da quattro compagnie di navigazione.

Anche le autorità di polizia e protezione ambientale stanno monitorando sempre più spesso i movimenti delle navi in disuso per evitarne il cambiamento di bandiera last minute, e diversi casi di traffico illegale sono attualmente oggetto di indagini.

Shipbreaking Platforms ha sottolineato che al momento è già possibile smaltire e riciclare le navi in disuso in Europa in maniera sostenibile, premiando la società olandese Van Oord come quella che più si avvicina alle regolamentazioni europee. Tuttavia, al momento, essa rimane un esempio di virtuosismo raro e principalmente europeo, mentre il problema resta di rilevanza globale, e molte delle leggi esistenti sono volontariamente – e facilmente – aggirate.

 

 

Foto di <a href="https://pixabay.com/it/users/MichaelWuensch-4163668/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=1979752">MichaelWuensch</a> da <a href="https://pixabay.com/it/?utm_source=link-attribution&amp;utm_medium=referral&amp;utm_campaign=image&amp;utm_content=1979752">Pixabay</a>


 




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