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Rassegna del 10 Luglio, 2020
    

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Consumatori sempre più attenti alla sostenibilità, ma le aziende restano opache


Consumatori sempre più attenti alla sostenibilità, ma le aziende restano opache

Secondo il rapporto di ConsumerLab diamo la priorità alla reputazione di una società, prima ancora che al prezzo del prodotto. Gli strumenti per misurarla ci sono, ma vengono perlopiù snobbati

Quando stiamo per fare un acquisto siamo un po’ meno attenti al prezzo e sempre più interessati alla reputazione dell’azienda, ai suoi impegni nei confronti dell’ambiente, alla sua sostenibilità. Siamo, quindi, disposti a spendere qualcosa in più per premiare le aziende più sostenibili, che rispettano i diritti dei lavoratori e dei fornitori, limitano le emissioni inquinanti e investono per ridurre sempre di più la propria impronta sul pianeta. 

Ma c’è un problema: la maggior parte dei consumatori sa a malapena cosa sia un bilancio di sostenibilità, cioè quel documento in cui le aziende certificano le proprie attività sociali, il loro approccio etico e la sostenibilità. Il risultato è che siamo carne da macello della pubblicità e del marketing, che costruiscono mondi e realtà dei quali, molto spesso, non possiamo avere prova.

Sono alcune delle conclusioni che si possono trarre dal rapporto dell’ente di ricerca ConsumerLab insieme alle associazioni di consumatori Adiconsum, Adoc, Federconsumatori e Comitas. Nel corso delle 32.000 interviste, infatti, emerge che nel 2020 solo il 35% ritiene che sia il prezzo a influenzare l’acquisto più di ogni altra cosa. Cinque anni fa era il 46%. Dall’altra parte la reputazione dell’azienda influenza il 32% degli intervistati, una percentuale doppia rispetto al 2015, quando si fermava al 16%.

Dalle 1500 imprese analizzate, però, è emerso che l’80% non redige alcun bilancio di sostenibilità. Queste aziende, quindi, non forniscono alcun elemento per poter valutare la loro attività in favore di ambiente e sostenibilità né per verificare quanto affermato dalle proprie campagne pubblicitarie. Non va molto meglio per il restante 20%, che redige bilanci fumosi, autoreferenziali, generici, pieni di luoghi comuni e volutamente complessi da leggere.

Le parole del rapporto non lasciano scampo: nei pochi bilanci, le aziende vedono una società dove “comunità e istituzioni non sono un riferimento effettivo; un territorio dove l’ambiente è subalterno e la biodiversità è ignorata; un mercato dove i consumatori sono ritenuti ancora prede più che partner di sviluppo e dove le imprese producono senza parlare del futuro”.

“La pandemia ha solo accelerato un processo che era già in atto - spiega il presidente nazionale di Adiconsum Carlo De Masi - e le aziende non possono più ignorare le esigenze dei consumatori. Vogliamo incontrarne più possibile, ottenere impegni e attivare delle strutture dedicate al monitoraggio di questi impegni”. Ma allo stesso tempo, aggiunge De Masi, le stesse associazioni devono ripensare il proprio ruolo: “Finora siamo sempre intervenuti a valle, quando c’è una bolletta sbagliata o una truffa. Il nostro lavoro ora dovrà rivolgersi sempre più alla prevenzione, all’educazione del consumatore perché compia delle scelte informate. Pretendere dei bilanci di sostenibilità snelli, chiari e concreti è un passaggio fondamentale”.

 

Federico Formica

 

Foto di Thaliesin da Pixabay




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