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ISSUE 390

Rinaturazione del Po, un progetto in equilibrio tra biodiversità e attività umane

Rinaturazione del Po, un progetto in equilibrio tra biodiversità e attività umane

Il progetto di rinaturazione dell’area del Po, finanziato dal PNRR, prevede l’attuazione di interventi idraulico-morfologici e forestali-naturalistici, per un totale di 357 milioni di euro. Sta però andando incontro a polemiche e malcontenti. Capiamo perché con il ricercatore e docente Simone Bizzi.

 

Con i suoi 642 chilometri di lunghezza il Po è il fiume più lungo d’Italia. Ma qual è il suo stato di salute? Per quanto riguarda l’idrologia non si può non ricordare come, nonostante le grandi dimensioni e la portata, il fiume abbia sofferto in maniera sensibile la siccità durante l’estate del 2022. Un fenomeno che non ha precedenti negli ultimi 200 anni. A dircelo sono i dati di uno studio pubblicato su Science Advances (Why the 2022 Po River drought is the worst in the past two centuries) condotto da Alberto Montanari, dell’Università di Bologna, secondo cui la diminuzione delle precipitazioni, l’aumento dell’evaporazione e l’aumento delle aree irrigate hanno portato ad una drastica riduzione della portata del Po.

 

Dal punto di vista ecologico invece il “gigante italiano” che attraversa per intero la Pianura Padana è caratterizzato da un’antropizzazione molto estesa lungo tutta l’asta fluviale. Questo dato assume una connotazione ancor più negativa quando si pensa che invece il potenziale ecologico potrebbe essere inestimabile: in un’area così estesamente antropizzata, un elemento naturale del genere, potrebbe rivelarsi un corridoio ecologico di strategica importanza.

 

Il progetto di rinaturazione

 

Con queste premesse si rende necessario un cambio di rotta nella gestione dei fiumi e a tal fine nel PNRR è contenuto un progetto che si prefigge di aumentarne la naturalità. Il progetto in questione è denominato “Rinaturazione del Po” e interessa un’area molto vasta – le regioni del Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto – dove si svilupperà nell’attuazione di interventi idraulico-morfologici e interventi forestali-naturalistici, per cui sono stati stanziati in totale 357 milioni di euro.

 

Per quanto riguarda i primi si tratta di adeguamento dei pennelli di navigazione, dismissione/modifica delle opere di difesa, riattivazione e riapertura di lanche, rami fluviali abbandonati e apertura di nuovi rami fluviali. Si cerca così di diminuire la pressione antropica sul fiume andando ad aumentare la funzionalità morfologica e idrologica del corso d’acqua, lasciandogli maggiore spazio e diminuendo le situazioni di costrizione del flusso d’acqua.

 

Mentre gli interventi forestali-naturalistici prevedono riforestazione diffusa e controllo delle specie vegetazionali alloctone invasive. Le specie vegetali invasive sono piante che provengono da altre parti del mondo. Di solito vengono utilizzate come piante ornamentali perché hanno una grande capacità di resistere a condizioni avverse ed hanno anche una grande velocità di crescita. Queste qualità, che le rendono perfette per il giardinaggio domestico, sono le stesse che le rendono molto più competitive nella “lotta per le risorse” in ambiente naturale rispetto alle specie autoctone. È così dunque che negli ultimi decenni lungo i fiumi italiani hanno preso sempre più spazio specie come il poligono del Giappone (Reynoutria japonica), l’Indaco bastardo (Amorpha fruticosa) o l’Albero delle farfalle (Buddleja davidii).

 

Le critiche al progetto

 

Nonostante gli obiettivi del progetto di Rinaturazione del Po facciano ben sperare tutti gli amanti dell’ambiente c’è chi è del tutto contrario come, ad esempio, il Presidente di Confagricoltura Piacenza, Filippo Gasparini, e la componente della Giunta Nazionale di Confagricoltura con delega alle tematiche ambientali, Giovanna Parmigiani.

 

Secondo Gasparini infatti il progetto “non rappresenta un’opportunità né per il territorio, né per l’agricoltura, né per l’economia locale” e sarebbe portatore di “possibili nefasti impatti”. Per Parmigiani la rinaturazione comporta una rinuncia della capacità produttiva sia delle colture sia alimentari che per il legno e inoltre “ne risulterà danneggiata anche la regimazione delle acque, infatti le coltivazioni dei pioppeti garantiscono, durante le piene, un rallentamento della corrente lasciando però defluire l’acqua mentre i territori non gestiti, presto si riempiranno di materiale vegetale e boscaglia: pericoloso sbarramento naturale delle acque. Le aree di fatto abbandonate a sé stesse non saranno inoltre, una volta defluite le acque di piena, riportate all’ordine”.

 

Sembra dunque che gli interventi previsti dal progetto di rinaturazione del Po non remino verso un quadro idilliaco anzi, a detta di qualcuno, sembrerebbe addirittura che possano peggiorare la situazione. Abbiamo quindi lasciato la parola ad un esperto per aiutarci a fare chiarezza in queste luci ed ombre.

 

Simone Bizzi, ricercatore e docente del dipartimento di Geoscienze dell’Università di Padova, si occupa di geomorfologia fluviale, trasporto di sedimenti, gestione fluviale e idrologia. Ha recentemente partecipato al progetto europeo  AMBER (Adaptive Management of Barriers in European Rivers), all’interno del programma per la ricerca Horizon 2020 che aveva il fine di implementare una gestione più sostenibile degli sbarramenti antropici sui fiumi, come guadi, ponti, briglie, dighe di grandi e piccole dimensioni. I risultati dello studio hanno condotto ad una pubblicazione su Nature dal titolo More than one million barriers fragment Europe’s rivers, che dimostra come nei corsi d’acqua d’Europa ci sia in media 1 barriera artificiale ogni 2 chilometri di fiume.

 

Professor Bizzi, qual è la situazione dei fiumi in Italia?

 

I fiumi italiani sono caratterizzati da un impatto antropico molto elevato. L’antropizzazione risale già al medioevo ma negli ultimi 70 anni ha raggiunto un livello molto più elevato. È provato scientificamente che dal punto di vista ecologico un fiume libero di muoversi abbia più alti livelli di biodiversità perché si vanno a creare i presupposti giusti per lo stabilirsi di una maggiore quantità di habitat. A causa della forte antropizzazione i fiumi italiani sono caratterizzati da un livello di biodiversità generalmente medio-basso. Inoltre, lasciare spazio al fiume, ovvero non utilizzare per fini antropici le aree più prossime ad esso, crea delle condizioni di minore rischio in caso di eventi di piena.

 

Nei centri urbani è inevitabile che i fiumi vengano arginati, ma nelle zone agricole bisognerebbe trovare un compromesso migliore tra la zona fin dove coltivo e dove lascio spazio al fiume. Invece storicamente si è coltivato (soprattutto in pianura padana) fin dove è possibile. È pur vero che non è detto che le persone prediligano la biodiversità e la qualità ambientale all’economia. È indubbio che l’agricoltura produce cibo, i fiumi producono energia elettrica con le dighe e gli argini ci difendono dalle piene. Però ragionare per estremi è pericoloso e sicuramente ci sono degli equilibri nel mezzo che potrebbero e devono essere esplorati e che non sono necessariamente negativi per l’economia.

 

Cosa ne pensa del progetto di “Rinaturazione del fiume Po”?

 

Questo progetto nasce dai fondi PNRR che offrono una grande opportunità di andare verso degli obiettivi che cercano di tenere in conto un ambiente sano, di migliorare la biodiversità e di cercare dove possibile di creare un equilibrio maggiore tra l’impatto antropico e processi idrologici, biologici, e sistemici. Il progetto nasce da delle opportunità di finanziamento abbastanza inaudite su certi temi aprendo a opportunità storiche, ma purtroppo i tempi di attuazione sono talmente brevi che non hanno permesso di sviluppare una pianificazione adeguata che sviluppasse chiari obiettivi ambientali e quando necessario offrisse misure di compensazione economiche.

 

Vuole dare una sua opinione rispetto alle affermazioni fatte a riguardo dal presidente di Confagricoltura Piacenza Gasparini, e dalla componente della Giunta Nazionale di Confagricoltura Parmigiani?

 

Queste dichiarazioni da parte di alcuni esponenti di Confagricoltura manifestano il loro punto di vista che è completamente lecito e che è il punto di vista di chi si trova quotidianamente a gestire le zone ripariali del fiume, e che ha attività economiche che possono essere impattate dal progetto.

 

Queste persone possiamo dire che siano portatori di interessi all’interno di questo progetto e che hanno tutto il diritto di richiedere agli enti gestori  delle spiegazioni approfondite sul tipo di progetto, sui potenziali danni economici alle loro attività , ma anche sulle opportunità e i benefici che porterà ad una più vasta area della società civile. Questi processi decisionali così importanti sul principale fiume d’Italia dovrebbero essere fatti con dati scientifici alla mano e richiedono tempo e partecipazione. E il tempo a disposizione per attuare il PNNR invece è poco e non permette quindi un percorso decisionale più approfondito e partecipato.

 

Queste tensioni sono comunque positive perché mostrano conflitti legittimi che al giorno d’oggi si vengono a creare nel momento in cui si cerca di creare un maggiore equilibrio tra uomo e ambiente, e allo stesso tempo di non danneggiare gli interessi economici che ci sono dentro il territorio. In una zona come la pianura Padana questo è un esercizio di una difficoltà notevole. Quello che mi sento di dire è che è un dibattito legittimo e che è sano che ci sia e che ci mette di fronte a delle sfide che, come sistema, dobbiamo affrontare.

 

Oggi la vera sfida come comunità, come sistema paese, anche come Europa, è capire dove si vuole andare e perché. Bisogna andare incontro a questa sfida se non si vuole cadere in delle sterili polemiche ideologiche e che alla fine nascondono solo il non voler cambiare niente o il voler cambiare tutto, ma non sapere come realmente farlo. E per ora mi sembra che non abbiamo ancora un pensiero maturo, non tanto sul dove, ma sul come migliorare concretamente la qualità dell’ambiente. Quindi, anche un progetto come quello della “Rinaturazione del Po” è molto positivo, anche se non è perfetto, perché ci permette di affrontare certi temi che si devono iniziare ad affrontare.

 

Cosa ritiene che si debba migliorare in questo progetto?

 

Per diminuire realmente l’impatto antropico in un territorio non si può attuare un’unica opera estremamente artificiosa in alcuni, pochi, punti dove si spendono un sacco di soldi e poi aspettarsi di aver risolto tutto. Sicuramente le soluzioni migliori sono soluzioni diffuse. Questo progetto mette in campo una serie di provvedimenti molto utili, però per sua natura ha dei tempi molto ristretti. Se non verranno forniti in futuro altri fondi per monitorare l’andamento degli interventi e per implementarne di altri si rischia di vanificare tutti gli sforzi attuali di pianificazione e messa in opera del progetto.

 

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

 

Elia Taffetani

 

 

Photo: Marco Buratti www.marcoburatti.com

 

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