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Rassegna del 10 Luglio, 2020
    

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L’Europa a secco


L’Europa a secco

Una primavera con pochissime piogge ha confermato che a causa del cambiamento climatico presto anche i paesi a nord delle Alpi potrebbero ritrovarsi senz'acqua

È un mercoledì pomeriggio di maggio. Le cifre rosse su sfondo bianco della stazione  di monitoraggio di Lobith brillano al sole: 8,28 metri. Lobith, il punto in cui il Reno entra nei Paesi Bassi, è un riferimento importante per il trasporto fluviale e per le risorse idriche della nazione. Qui si tengono costantemente d’occhio il livello e il flusso del Reno.

Alois Witjes sta dando una mano di vernice al suo battello. Al momento la na-vigazione è esclusa. Witjes ride: no, l’ac-qua bassa non è un problema, sono le misure contro il coronavirus a impedirgli di salpare. Ma ammette che il livello dell’acqua non è alto: “Verso il fine setti-mana scenderà probabilmente sotto gli otto metri, e anche per le settimane suc-cessive si prevede poca pioggia”.

Il rischio è di superare il record del 2018. A Lobith il 30 ottobre di quell’anno il livello dell’acqua era sceso a 6,5 metri. Più su, in Germania, il Reno era praticamente in secca, e il traffico sul grande fiume si era in larga parte interrotto. “Per ora il livello dell’acqua non è il principale argomento di conversazione tra i marinai. A causa del covid-19 ci sono meno merci da trasportare. Le navi non sono piene ed è questa la preoccupazione più grande”. Mario Corving lavora alla sta-zione di rifornimento galleggiante. Nes-suno sa meglio di lui che negli ultimi anni l’acqua che scorre nel fiume continua a calare. “Il Reno è alimentato dalla pioggia e dalla neve. Negli ultimi anni sulle Alpi è caduta meno neve e, a causa del cambiamento climatico, stanno sparendo anche i ghiacciai. Le conseguenze le avvertiamo fino a Lobith. Una volta ci preoccupavamo quando c’era troppa acqua, ma quei tempi sembrano passati per sempre”.

Gli effetti del cambiamento climatico sulle Alpi sono noti: i ghiacciai si ritirano rapidamente. Ma anche la scarsità di pre-cipitazioni sta lasciando il segno. Christian Kleiber, guardia forestale nella regione di Basilea, in Svizzera, avverte che i boschi si stanno seccando. Le conseguenze dell’estate del 2018, eccezionalmente calda e asciutta, si fanno ancora sentire. A morire non sono solo i pini, ma anche i faggi e perfino le querce. “Sono a rischio quarant’anni di investimenti”, dice Kleiber. Il futuro che descrive è cupo. Poiché muoiono sempre più alberi, quelli che sopravvivono vanno incontro a mag-giori pericoli. Saranno più esposti al sole, e il suolo tratterrà meno acqua. 

Oggi il terreno è già più secco che in piena estate, come emerge dalle rileva-zioni della ricercatrice Sonia Seneviratne. Anche lei è molto preoccupata: “Perfino quando piove, ci vuole più tempo perché il suolo diventi davvero umido”. Inoltre aumenta il rischio di incendi. L’anno scorso lo European forest fire in-formation system ne ha registrati un numero da record. Ancora più allarmanti sono le notizie che provengono dall'Europa centrorientale, dove si teme una siccità  peggiore di quella del 1540, quando in alcune città  l'acqua diventò più cara del vino. Ad aprile Jiri­ Brabec, ministro ceco dell'ambiente, ha avvertito che si rischia una catastrofe. "A meno che non piova ininterrottamente per un mese, i fiumi andranno in secca e centinaia di paesi si ritroveranno senz'acqua potabile".

In Romania, il secondo esportatore di grano in Europa, il raccolto è a rischio. Una parte di quello che è stato seminato in autunno è già andata persa. Durante l’inverno molte piante sono morte perché è caduta pochissima neve. E ora ci si mette la siccità. 

Poca collaborazione

Non c’è da stupirsi se l’acqua sta diven-tando un problema sempre più grande per l’Europa. Lo scorso anno il World resources institute (Wri) ha stilato una classifica dei paesi che saranno colpiti più duramente dalla mancanza di acqua. Ai primi posti ci sono gli stati del Medio Oriente, del Corno d’Africa e l’India. Ma a ruota seguono l’Italia, la Grecia, la Spa-gna e il Belgio, penalizzato dalla grande densità di popolazione. Secondo il Wri questi paesi soffrono di un alto livello di stress. In media usano più del 40 per cento dell’acqua disponibile, e questo li rende vulnerabili a periodi di siccità più lunghi. E a causa del cambiamento climatico i periodi di “clima eccezionale” dureran-no di più e diventeranno più estremi. 

“Le previsioni per molti fiumi europei non sono affatto buone”, dice l’idrologo Patrick Willems, dell’Università cattolica di Lovanio. “Se il cambiamento climatico andrà avanti, la loro portata si dimezzerà entro il 2100. E nella peggiore delle ipote-si il calo potrebbe arrivare al 70 per cento. In Germania questo avrebbe enormi conseguenze per l’industria e la navigazione. Nei paesi mediterranei sarà soprattutto l’agricoltura a farne le spese”.

Se l’acqua è un problema paneuropeo, non dovrebbe essere affrontato in modo coordinato? Al momento non se ne parla neanche, come conferma Willems: “La Commissione europea si è sempre impegnata per la tutela della qualità dell’acqua potabile, su cui esistono direttive fin dal duemila. Poi c’è una direttiva sulle alluvioni che invita gli stati membri a cooperare”. Ma in pratica non esistono norme europee sulla carenza d’acqua, anche se recentemente il parlamento di Strasburgo ha approvato nuove regole per il riciclo delle acque reflue nell’agricoltura. L’obiettivo è aumentare di sei volte l’uso di queste acque entro il 2025. 

Secondo Willems è un grande passo verso l’economia circolare. “Anche il green deal europeo proposto dalla Commissione prevede misure per affrontare meglio la siccità. Il fatto è che queste misure intervengono soprattutto sulla pianificazione urbanistica, che è una competenza degli stati membri. L’Europa può solo incentivarli ad adottare certe misure. Alcuni provvedimenti però incontrano un’immediata resistenza. Intervenendo sull’urbanistica si incide sugli interessi dei proprietari”.

Nei decenni passati la politica si è concentrata sul deflusso delle acque. La pioggia continuerà a cadere. Anzi: all’aumento delle temperature corrisponderà addirittura un aumento delle precipitazioni. “Dobbiamo cercare di trattenere meglio e più a lungo tutta quell’acqua”, dice Willems. “Dobbiamo predisporre delle zone umide lungo i fiumi. Dobbiamo drenare di meno e lasciare che l’acqua s’infiltri nel terreno. Su questo punto c’è un ampio consenso scientifico, ma gli interessi in gioco sono tanti che è difficile tradurlo in misure concrete”.

Alzare gli argini

In Europa, spiega Willems, non si pensa ancora a desalinizzare grandi quantità d’acqua di mare per compensare carenze idriche temporanee: “Se le altre soluzioni non bastano, potrebbe essere un’ipotesi. Sicuramente occorrono altre ricerche. Al momento la desalinizzazione è una tecnologia costosa che consuma molta energia. I paesi petroliferi se la possono permettere, mentre in Europa non abbiamo un surplus di energia. Inoltre è una soluzione che presenta degli svantaggi. Produce grandi quantità di acque reflue ad alta concentrazione, quindi bisogna fare attenzione a non creare discariche chimiche”. Ma gli stati potrebbero collaborare di più per gestire meglio le acque dei grandi fiumi? Al momento la cooperazione è molto limitata. Fanno eccezione i Paesi Bassi e il Belgio, che nel 1995 hanno siglato un accordo sulla spartizione delle acque della Mosa quando il livello si abbassa.

“Le Fiandre dipendono molto da quel fiume. Circa la metà dell’acqua potabile della regione viene dalla Mosa. Se i periodi di siccità dovessero allungarsi e intensificarsi, sorgerebbero problemi con gli olandesi, perché il Belgio faticherebbe a rispettare gli accordi. Per questo è importante che le regioni siano il più autosufficienti possibile”.

Il problema dell’approvvigionamento idrico preoccupa sempre di più Willems. “Soprattutto a causa della lentezza con cui lo si affronta. Dobbiamo davvero aspettare che dal rubinetto non esca più una goccia?”. In diversi paesi europei l’acqua potabile è sovvenzionata dallo stato. Questo la rende meno cara, ma non incentiva i cittadini a usarla in modo più razionale.

Oggi il grande problema è la carenza d’acqua. Ma l’Europa deve anche prepa-rarsi a periodi in cui ce ne sarà troppa. Non solo le precipitazioni saranno più intense, ma dureranno più a lungo, aumentando il rischio di alluvioni.

La Mosa è un fiume alimentato dalle piogge: quando piove di più ci sono più probabilità che esondi. Ecco perché nei Paesi Bassi si stanno costruendo argini più alti. Gli ingegneri olandesi pensano anche a nuovi “impianti di deflusso”, che in realtà sono semplicemente barriere che si possono aprire per far scorrere via l’acqua.

Il problema è dove va a finire l’acqua. Nell’area intorno a Gennep, a sud di Nimega, questi progetti destano inquietudi-ne. “Il punto è che cinque paesi della zona finiranno sommersi”, spiega Sjang Emons, titolare della più grande azienda di trasporti della regione. “Qui vivono settemila persone, che verrebbero sacrificate per salvare il capoluogo di Den Bosch”. Emons guida le proteste contro l’impianto. “Anche se il progetto non è stato ancora approvato, sta già facendo calare i prezzi degli immobili”. Non crede a quello che si dice, cioè che le barriere non si apriranno praticamente mai (si parla di una volta ogni trecento anni). “Nessuno può prevedere quando il livello dell’acqua sarà troppo alto. Potrebbe essere fra trecento anni come fra tre. E se il clima continuerà a cambiare, il rischio non farà che crescere”.

Emons può solo sperare che le proteste facciano cambiare idea al governo. I Paesi Bassi, però, dovranno intervenire in un modo o nell’altro. Bisognerà trovare uno spazio in cui far defluire l’acqua in eccesso. Finora sono stati aiutati dai tedeschi, che hanno investito poco negli argini. Questo ha provocato frequenti esondazioni del Reno in Germania. Negli ultimi anni città come Colonia e Coblenza sono state allagate più volte. Se i tedeschi rafforzeranno gli argini, gli olandesi avranno ancora più acqua da gestire.

 

Dominique Minten.

 

 

Dominique Minten is a Belgian journalist. He works as a foreign desk correspondent at De Standaard

photo: Ponte Romano a Taggia (imperia)




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