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Rassegna del 2 Ottobre, 2020
    

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Ou Hongyi: sola contro tutti


Ou Hongyi: sola contro tutti

In Cina, uno dei paesi che inquinano di più, quasi nessuno ha mai sentito parlare dei fridays for future. E la protesta per il clima è di fatto affidata alla battaglia solitaria di una studente di 17 anni

Appena Ou Hongyi tira fuori il suo cartello dallo zaino, arriva la polizia. Sul manifesto campeggiano in nero dei caratteri cinesi: “Contro il cambiamento climatico non c’è vaccino”. E una scritta in inglese: “Sciopero degli studenti per il clima”. Ou, 17 anni, si è messa in una delle vie commerciali di Yangshuo, una città della Cina meridionale. Davanti a lei, sul carretto a mano di una venditrice ambulante, il tofu marinato nella salsa di pesce sotto sale emana un odore poco gradevole. I richiami della venditrice sovrastano l’assordante musica pop del bar accanto.

Sono le dieci di sera e il termometro segna ancora più di 30 gradi. La strada è piena di turisti, quasi tutti senza mascherina. Il poliziotto che pattuglia la strada va direttamente da Ou e le chiede cosa sta facendo. All’improvviso la ragazza si trova al centro dell’attenzione. “Ma è permesso starsene così piantata in mezzo alla strada?”, sussurra una passante. Molti, prima di avvicinarsi per leggere i cartelli, controllano che nessuno li stia osservando. In Cina non si scende in piazza, non si fanno neanche sondaggi per strada. Ma quando chiedono a Ou se non sia spaventata dalle possibili conseguenze delle sue azioni, lei dà una risposta secca:

 “Dovrebbe essere il cambiamento climatico a spaventarci”. Ou Hongyi spiega con calma al poliziotto che lei sta manifestando per chiedere politiche climatiche più rigorose. Poi gli chiede se abbia mai sentito parlare dei fridays for future. L’uomo in uniforme le toglie di mano il cartello per guardarlo da vicino e si fa mostrare anche il resto del materiale nello zaino della ragazza. Quindi, dopo un primo momento d’incertezza, le dice che non può restare lì. “Non c’è problema”, risponde Ou mettendo via il cartello. Oltrepassa i curiosi, attraversa un ponte, gira l’angolo due volte e si assicura che nessuno la stia seguendo. A quel punto tira di nuovo fuori il cartello, dispone il materiale informativo davanti a sé sulla strada e aspetta.

Tra i passanti c’è chi la riprende mentre lei tiene alto il suo cartello in mezzo alla strada. Altri invece si fermano e dopo un breve tentennamento cominciano a farle domande. A sua volta lei chiede se abbiano mai sentito parlare del movimento Fridays for future e spiega che sta protestando per la tutela del clima.

Dalla sua prima manifestazione con il cartello davanti alla sede del governo cittadino di Guilin, nel sud della Cina, è passato ormai più di un anno. Il modello di Ou, ovviamente, è Greta Thunberg, la giovane svedese che ha ispirato proteste in più di 150 paesi del mondo: dal maggio 2019 il movimento è attivo anche in Cina. O meglio, da allora è attiva Ou. Alcuni studenti hanno organizzato delle iniziative, ma a livello nazionale non ci sono scioperi delle scuole né assemblee o seminari online. Nel paese asiatico, tra i maggiori responsabili del cambiamento climatico al mondo, i fridays for future sono animati da una persona sola.

Nel 2019, al settimo giorno dello sciopero è arrivata la polizia. Non sono stati scortesi, racconta Ou, ma comunque l’hanno costretta ad andarsene. Poi le forze dell’ordine hanno interrogato sia lei sia i suoi genitori. In quella stessa settimana Greta Thunberg ha parlato di Ou su Twitter, definendola un’eroina del movimento. “Siamo tutti con te”, ha scritto. Da allora le due ragazze sono in contatto. “Viviamo in due realtà diverse, ma abbiamo lo stesso obiettivo”, spiega Ou.

Sulle panchine dei parchi

Per alcuni mesi la ragazza ha attraversato la Cina in cerca di alleati, percorrendo migliaia di chilometri. Quando non aveva soldi per pagarsi l’alloggio, dormiva sulle panchine dei parchi. Ci sono altre iniziative e organizzazioni che si occupano dei cambiamenti climatici, ma ci sono anche linee rosse da non oltrepassare, regole del gioco che le ong devono osservare se non vogliono essere costrette a lasciare il paese. “Per molte persone sono troppo radicale”, dice Ou.

 

In Cina la situazione si fa sempre più complicata per le ong. Pochi giorni prima che Ou si piazzasse in una strada a esporre cartelli, una delle più vecchie organizzazioni lgbt del paese aveva annullato tutte le sue manifestazioni fino a data da destinarsi. L’omosessualità è legale, ma ora le manifestazioni vengono bloccate per tutelare la “sicurezza” dei partecipanti: cose simili succedono agli attivisti di tutto il paese. In Cina c’era già stato un grande sciopero studentesco: il 4 maggio 1919, cent’anni prima che Ou si presentasse davanti al palazzo del governo di Guilin con il suo cartello, migliaia di studenti marciarono a Pechino chiedendo una modernizzazione del paese, un’apertura sociale e politica. Gli studenti di allora, molti dei quali avevano studiato all’estero, chiedevano che “Mr. Democracy” e “Mr. Science” rendessero di nuovo forte la Cina. A piazza Tiananmen, nel 1989, molti manifestanti si richiamavano proprio a quel movimento. Anche quado cominciò il caos della rivoluzione culturale gli studenti non andarono a scuola. Da allora, nel paese del collettivismo il governo teme più di ogni altra cosa proprio il collettivismo stesso: “Perché mette a repentaglio il controllo assoluto sulla popolazione”, dice Ou Hongyi.

Ad agosto Ou ha chiesto di partecipare a una conferenza sul clima organizzata da una ong filogovernativa di Pechino e rivolta ai giovani cinesi con l’obiettivo di attribuirgli un ruolo centrale nel campo dello sviluppo sostenibile. Ma non è stata ammessa. “Lo sai che abbiamo un servizio di sicurezza all’ingresso?”, hanno messo le mani avanti gli organizzatori.

“Come se fossi una terrorista”, racconta la ragazza.

Su Twitter, che in Cina è bloccato, Ou ha più di diecimila follower, ma nel suo paese è praticamente sconosciuta. “I mezzi d’informazione cinesi non scrivono di me”, dice. L’argomento è troppo delicato. Digitando il suo nome sui motori di ricerca cinesi non si ottengono risultati. Ou litiga perfino con i suoi amici, perché quando dice che la Cina non fa abbastanza molti di loro si arrabbiano. “Credono di dover scegliere tra il clima e la patria”, spiega lei. Ma chi critica la politica del governo, aggiunge, non ce l’ha certo con tutto il paese.

Ormai Ou ha smesso di marinare la scuola, semplicemente perché non può più andarci. Aveva avuto problemi già prima di cominciare la protesta davanti al palazzo del governo. Nel 2018, quando gli insegnanti le avevano fatto capire che non era “adatta”, aveva abbandonato gli studi. Per un po’ di tempo aveva cercato di prepararsi da privatista per andare a studiare all’estero: il suo sogno è Harvard. Poi, nel maggio di quest’anno, ha deciso di fare domanda per essere riammessa nella sua vecchia scuola. In Cina l’esame finale della dodicesima classe è obbligatorio per chi vuole andare all’università. I bambini cominciano a prepararsi all’esame già dall’ultimo anno della scuola materna.

Prima dell’inizio dell’anno scolastico, però, i dirigenti dell’istituto le hanno imposto una scelta: o la scuola o il clima. Lo stesso ultimatum è arrivato anche dall’assessore provinciale all’istruzione. Ou, però, non ha ceduto. Per ammetterla a scuola, le autorità hanno preteso che si sottoponesse a un test psicologico, e il medico che l’ha esaminata ha certificato che è soprattutto una gran testarda.

Due diplomate

Ora è per la strada a parlare con due ragazze. Mezzanotte è passata da un pezzo e la maggior parte delle bancarelle ha chiuso. Ogni venerdì Ou prende il suo cartello e si mette in una strada qualsiasi della Cina. Lo fa da più di un anno. A volte si ferma quattro ore, altre sei. Non beve niente, non fa pause. Le due ragazze che si fermano a parlare hanno un anno più di lei e si sono diplomate quest’estate. Certo che sei coraggiosa, dice una di loro. Ma non finire la scuola?, aggiunge scuotendo la testa. I suoi genitori non glielo permetterebbero mai.

Gli insegnanti l’avevano avvertita fin dall’inizio, quando ancora tentava di far bandire le posate di plastica dalla mensa scolastica. Il suo attivismo era pericoloso, avrebbe fatto meglio a concentrarsi sulle lezioni e poi magari studiare qualcosa che avesse a che fare con l’ambiente. Ma Ou la pensava diversamente. Innanzitutto, per capire le evidenze scientifiche non serve aver raggiunto una certa età, i più giovani sanno bene qual è la posta in gioco. E poi in Cina il problema non è certo la mancanza di esperti di clima. Anzi, il governo ha ricercatori a sufficienza, e i dati che gli forniscono sono molto chiari. “Il problema è che non si fa pressione sul governo perché segua le raccomandazioni degli scienziati”, dice Ou. Alla Cina servono gli attivisti. Il suo modello? “Extinction rebellion”, che occupa le strade e tinge le acque dei fiumi. Serve la disobbedienza civile. “Il tempo sta per scadere”. Ou Hongyi non deve andare a scuola né fare i compiti, ma praticamente non ha mai tempo. Non ce l’ha per le interviste né per pranzare. Per scendere in strada con il suo cartello deve prepararsi, perché quando parla di cambiamento climatico cita sempre gli studi più recenti. Tra un’uscita e l’altra si mette al computer a guardare video sul riscaldamento globale mandandoli a velocità doppia. Qualche ora prima che il poliziotto la cacciasse dalla via commerciale di Yangshuo, Ou è andata a correre con gli amici. Aveva mandato un messaggio ai compagni di jogging: i ritardatari non li aspetto. Ha portato con sé sacchi della spazzatura e due pinze: è il plogging, la raccolta della spazzatura mentre si corre. Un’altra trovata che viene dalla Svezia. “Presto saremo un movimento”, ha esclamato Ou, che precede tutti di circa dieci metri. Dietro di lei correvano in otto, tutti stranieri, conosciuti attraverso una ong che si occupa di clima. Quando hanno rallentato mettendosi a chiacchierare, Ou, un po’ scocciata, è tornata indietro di corsa gridando: “L’idea è raccogliere correndo, non raccogliere passeggiando”.

Spiega che non c’è stato un momento preciso in cui è diventata un’attivista. Ha sempre tenuto all’ambiente, fin da bambina. Poi tre anni fa le è capitato per le mani un opuscolo sul vegetarianismo e ha cominciato a interessarsi alle conseguenze degli allevamenti sul clima, alla distruzione degli ecosistemi e alle pessime condizioni negli allevamenti di mucche, polli e maiali. Anche se i genitori le ripetevano che mangiare carne fa bene alla salute, Ou è diventata vegana. Poi in prima media ha cominciato a non usare più la plastica. Ma non si considera affatto una pensatrice anticonformista: in fondo, dice, su ogni lavandino c’è la scritta “risparmia acqua e proteggi l’ambiente”. Prima di smettere di mangiare carne, per cercare di convincere i suoi genitori, ha memorizzato una gran quantità di cifre e di fatti, ma oggi non crede più che sia necessario, perché c’è sempre chi è pronto a mettere in dubbio i fatti. Piuttosto servono narrazioni che funzionino. E quella di Ou, paladina solitaria che difende il clima in Cina, è sicuramente una buona storia.

Con i contadini

Quando non è impegnata a manifestare, va nelle campagne di Yangshuo, regione famosa per le sue montagne carsiche, e spesso parla con i contadini. La gente di campagna non chiama le trasformazioni in corso cambiamenti climatici, ma anche se di queste cose non si parla mai nei mezzi d’informazione, a Yangshuo tutti si rendono conto che qualcosa sta cambiando. Dieci anni fa questa non era zona di alluvioni, mentre ora le inondazioni arrivano ogni anno colpendo case e alberghi, spesso costruiti in prossimità dei corsi d’acqua. Ad agosto il Centro nazionale di ricerca sul clima ha pubblicato il suo rapporto annuale: rispetto alla media globale, in Cina la temperatura cresce più rapidamente e lo stesso vale per il livello del mare. Da mesi il paese è alle prese con l’alluvione del secolo e con una terribile ondata di caldo. Ma intanto continua imperterrito a costruire centrali a carbone. Gli esperti di energia hanno invitato il governo a bloccare i progetti di nuove centrali per poter raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima. “Hanno fatto sparire l’articolo che ne parla”, dice Ou. Sono state censurate anche le richieste di spegnere tutte le centrali a carbone entro il 2050. Gli interessi economici in ballo sono troppo grandi.

Oggi Ou Hongyi non abita più con i genitori. Loro la sostengono, in passato hanno anche partecipato ad alcune sue azioni, e neanche loro mangiano più carne. Però spesso litigano con la figlia, a volte anche per ore. Ou sa di essere “molto determinata”, come dice lei. Quando mangia con gli amici, al termine del pasto controlla i piatti e anche se c’è rimasta solo una manciata di riso esclama: “Finisci quello che hai nel piatto!”. Il padre definisce il suo attivismo un’ossessione che a volte lo spaventa, e la stessa Ou ammette che le capita di non sentirsi bene: ha paura, perché la gente non capisce la gravità della situazione.

La famiglia è sotto pressione. Quando Ou parla con i giornalisti stranieri, i genitori ricevono una telefonata delle forze dell’ordine che minacciano conseguenze sul lavoro. Le autorità accusano Ou di danneggiare l’immagine della Cina. Il presidente Xi Jinping ha proclamato la “civiltà ecologica” e non c’è posto per le critiche di Ou. Perciò non le è permesso manifestare davanti al palazzo del governo, sul cui ingresso campeggia lo stemma della Repubblica popolare cinese. I suoi genitori, spiega Ou, vogliono solo che lei si prenda cura di sé e che magari un giorno prenda il diploma delle superiori. Ora vive lontana dalla famiglia e dagli amici, in un’altra città, con persone che la sostengono. Non è il caso di parlarne troppo sulla stampa. Diciamo che le danno una mano perché neanche loro condividono tutto quello che succede in Cina.

Sulla via commerciale cala la sera e molti le dicono che da sola non può farcela a favorire un cambiamento. “Anche Greta è riuscita a smuovere qualcosa”, risponde Ou Hongyi. Ma di Greta e del suo movimento la maggior parte delle persone in Cina non ha mai sentito parlare. Fuori, oltre la muraglia della censura, i giovani del mondo si stanno organizzando, e i cinesi dovrebbero esserne esclusi? E allora eccola, Ou Hongyi, che cerca di salvare il mondo. Si appunta i nomi di tutti quelli che vogliono saperne di più. Alla fine di questa lunga giornata, ne ha messi insieme dieci.

Lea Deuber

Süddeutsche Zeitung, Germania

 




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