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La domanda è semplice: se sentite la parola “nuvola”, guardate il cielo o il vostro smartphone? È possibile che, se siete lettori di giornali nell’edizione di carta, solleviate il vostro sguardo. Ma se chiedete di una nuvola ai ragazzi, probabilmente tireranno fuori dalla tasca il telefonino. Per non dire della parola rete, che nel 1990 era usata solo per indicare quella da pesca e simili: ora almeno una volta su tre si usa come sinonimo di “internet”, la rete digitale. Lo slittamento di significato nelle parole non è soltanto un fenomeno che riguarda i giovanissimi, i “nativi digitali”. Per loro però si sa che il cambiamento nella percezione si verifica per lo più a partire dai 10 anni, quando cioè i bambini escono dal mondo protetto dei giochi per piccoli che ancora sono legati ai messaggi tradizionali.
Nonostante il nuovo lockdown appena proclamato, le lezioni - in presenza o con la didattica a distanza - continuano. E arriva una nuova materia: è parte di Educazione civica, numero di ore e contenuti però sono fumosi. Intanto il Wwf lancia una piattaforma ad hoc per insegnarla. Lo racconta su Pianeta 20221 l’esperta di scuola del Corriere Gianna Fregonara.
Il fenomeno è marcato negli ultimi trent’anni in parole che avevano soprattutto una relazione con la natura e l’ambiente: pensate al tweet che è il cinguettio degli uccellini, a web, che è tela del ragno e ora la rete internet. È stato oggetto di uno studio dell’Università di Leeds nel Regno Unito.
Materia curriculare
«Il linguaggio che usiamo rappresenta che cosa è importante per una cultura o una società», ha lanciato l’allarme sulle implicazioni di questo cambiamento il curatore Robbie Love, professore di linguistica. «Il fatto che il linguaggio legato alla natura venga rimpiazzato o usato meno può indicare che la natura diventa meno importante di altre cose». Ma davvero i giovani, gli studenti, i protagonisti negli ultimi anni dei #FridaysforFuture - la generazione Greta di cui si sono riempite di nuovo le piazze per un mondo più sostenibile - nei fatti sono molto meno attenti alla natura del passato? Sarebbe paradossale e dunque probabilmente non è così. Secondo il recente sondaggio dell’Unicef che ha chiesto ai ragazzi dai 15 ai 19 anni cosa pensano, la maggior parte di loro è convinta che invece sull’ambiente qualcosa di importante si possa ancora fare per garantire al pianeta e ai suoi abitanti un futuro che sia più green e sostenibile. Del resto a casa come a scuola si parla di ambiente molto più di una volta: le risorse a disposizione proprio grazie alla “rete” si sono moltiplicate. Da quest’anno scolastico debutta anche la nuova educazione ambientale, che fa parte dell’educazione civica, materia curriculare con tanto di voto in pagella a fine anno per gli studenti dalla scuola materna (qui senza voto, ovviamente) alla maturità.
Esercizi in classe ma (si spera) anche fuori
Che cosa faranno gli studenti in classe - e speriamo anche fuori dalle scuole - non è ben chiaro perché la legge e le linee guida del ministero sono volutamente fumose e molto è demandato ai progetti e alla creatività dei professori: l’ecologia è elencata all’articolo 3 della legge 92 del 20 agosto 2019 insieme alle altre tematiche sulla nuova materia che è definita come «educazione ambientale, sviluppo eco-sostenibile e tutela del patrimonio ambientale, delle identità, delle produzioni e delle eccellenze territoriali e agroalimentari». Il ministero poi specifica che l’argomento, così come l’Agenda dell’Onu 2030, trova una naturale interconnessione con le Scienze naturali e la Geografia. Già perché la nuova materia non dispone di ore proprie ma si deve nutrire di progetti che il collegio dei docenti distribuisce nelle varie materie.
Ore da «rubare» ad altre materie
E così l’educazione ambientale non solo dovrà farsi largo nei programmi delle singole classi tra temi altrettanto importanti come la Costituzione, l’educazione digitale (come riconoscere le fake news e usare la rete), l’educazione alla legalità. Ma dovrà trovare uno spazio tra le altre materie di studio. Sarebbe stato troppo complicato aggiungere altre ore alla permanenza a scuola dei ragazzi, anche costoso perché sarebbero serviti nuovi professori. A sentire quel che pensa Piero Angela del metodo migliore per condurre i ragazzi a ragionare di ambiente la scelta della scuola potrebbe rivelarsi più moderna (e meno infelice) di quello che appare a prima vista.
La visione di Piero Angela
Dice Angela in un video messaggio agli studenti per il Wwf, che proprio per aiutare ad orientarsi nella complessità del tema ambientale ha lanciato “One Planet School”, una piattaforma di apprendimento e conoscenza, gratuita rivolta a tutti: «L’apprendimento a scuola è ancora basato spesso su trivellazioni verticali, cioè si studia una materia e poi l’altra, ma ormai da anni si è capito che le connessioni tra queste cose sono molteplici e intrecciate e non si può più parlare di un argomento senza capire il contesto e la rete in cui siamo avvolti. Quando si parla di ambiente, una visione olistica, complessiva, è migliore perché tutto converge e per capire un fatto serve capire le relazioni». E del resto un guru dei metodi alternativi di apprendimento e di inclusione come il maestro Franco Lorenzoni, fondatore della Casa Laboratorio di Cenci, a proposito del movimento per il clima ha detto: «Un anno fa, per la prima volta, il 27 settembre 2019 che cosa chiedevano quegli studenti in piazza per le grandi manifestazioni? Ci dicevano che capire è cambiare se non si cambia vuol dire che non si è capito».
Gianna Fregonara
Foto di jeanpierrecokelberghs da Pixabay
Rassegna del 30 Ottobre, 2020 |
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