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«Food forest», il bosco edibile del futuro
L'agricoltura del «non fare» in grado di creare un ecosistema per ottenere cibo senza impiego di fertilizzanti o diserbanti.
Un ecosistema boschivo ricreato perfettamente. Si chiama «Food forest» o Forest garden», che in italiano è traducibile con «foresta commestibile» o, ancora, «foresta giardino». Un vero e proprio bosco edibile, una coltivazione multifunzionale in cui alberi, da frutto e da legno, vengono “lasciati crescere” assieme a erbe medicinali, ortaggi e piante spontanee in modo del tutto autonomo e, come avviene, appunto nel bosco, senza intervento umano. Un giardino o bosco edibile, la cui gestione simula quello che in natura accade in un bosco, sviluppato su più strati: erbaceo, arbustivo e arboreo. Partendo dal basso, infatti, nel bosco crescono funghi e piante che ricoprono il terreno, per poi salire di livello con arbusti e piantine commestibili, fino ad arrivare agli alberi da frutto e a quelli “da legno” che servono a proteggere e riparare la vegetazione. In mezzo ci stanno anche le piante rampicanti che si attaccano ai rami vicini e poi, ancora rizomatose e tappezzanti. Tutti insieme, questi vegetali collaborano, come avviene naturalmente senza l’intervento umano, per un ecosistema in grado di ottenere cibo, senza sforzo e soprattutto senza impiego di fertilizzanti o diserbanti.
PRATICA DIFFUSA IN MOLTI PAESI DEL MONDO – La letteratura che riguarda la «Food forest», in Italia, non è ancora molto estesa. Chi si avvicina a questo tipo di coltivazione sostenibile, o meglio, a questa gestione del terreno, fa riferimento, soprattutto a libri come «Creating a Forest Garden» di Martin Crawford, direttore dell’Agroforestry Research Trust che, oltre a parlare del funzionamento di un giardino foresta, analizza i vari tipi di piante utili in un determinato ambito e offre consigli pratici per la preparazione del terreno. Ci sono anche «The Garden Awakening» di Mary Reynolds e soprattutto «Forest Gardening: Cultivating an Edible Landscape» di Robert Hart, pioniere del food forest che iniziò il suo lavoro negli Anni 70 e lo continuò fino alla sua morte, nel 2000, con una food forest di 500 metri quadri in Inghilterra. Nel suo testo, Robert Hart ha schematizzato la food forest in 7 livelli (il minimo è di tre), proponendo proprio di osservare la natura e riproporre gli strati. In un forest garden alla Hart, quindi, si passa dagli alberi di alto fusto (noce, quercia, faggio, ad esempio) a quelli di media altezza e da frutto (nespolo, melo, ciliegio). Il terzo livello è quello degli arbusti, (nocciolo e piccoli frutti). Ci sono poi le erbacee perenni, quelle erbe cioè che non lignificano, non producono parti legnose. E si va avanti con rizomatose, tappezzanti e rampicanti.
L’ESPERIENZA ITALIANA – Per quanto riguarda lo spazio, un forest garden può essere progettato in qualunque spazio, vastissimo, ma anche in un piccolo orto di casa. La caratteristica principale è che si tratta di un sistema a bassa manutenzione ed alta resa. Non di meno, il forest garden è un importante sostegno per il suolo e contro la desertificazione. In Italia, l’esperienza più longeva di questo tipo ha quasi 30 anni ed è quella di Onorio Belussi, un ex funzionario comunale lombardo che nel 1987 ha deciso di dedicarsi a un progetto agricolo che prevedesse il fare «meno possibile». Così nel 1989 ad Adro, in provincia di Brescia, il signor Belussi (oggi 76enne) si è trasformato in agricoltore del «non fare» dando vita a un forest garden di 3000 mq, dove si dedica al suo giardino edibile nel quale non lavora il terreno, non fertilizza, non usa antiparassitari, non pota le piante e non elimina le erbe infestanti limitandosi ad assecondare la natura. Alla Fattoria dell’Autosufficienza di Bagno di Romagna, invece, dal 2013 vengono organizzati dei veri e propri corsi in cui vengono insegnati i segreti su come realizzare una Food forest anche nel giardino di casa. Fonte: WISE SOCIETY, 19 marzo 2018
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