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La (mancata) gestione rifiuti in Toscana, tra “carri armati” e 8.760 tir in cerca di impianti - di Luca Aterini


La (mancata) gestione rifiuti in Toscana, tra “carri armati” e 8.760 tir in cerca di impianti - di Luca Aterini

Sul territorio si riaccende la diatriba sui termovalorizzatori, mentre continuiamo a non avere abbastanza impianti per gestire i rifiuti che produciamo. Serve una visione d’insieme, senza la quale l’economia circolare resterà un miraggio

Recuperare energia dai rifiuti sembra sempre di più in tabù, eppure come un combustibile apparentemente inesauribile la spazzatura che produciamo continua ad infiammare il dibattito pubblico e politico. Due le notizie che hanno portato a un improvviso aumento della temperatura in Toscana, negli ultimi giorni: il “Protocollo di intesa tra Regione Toscana, Ato Centro e Alia per lo sviluppo di progetti di economia circolare”, siglato in realtà a marzo per promuovere alternative all’impianto di termovalorizzazione di Case Passerini; un video del candidato alla presidenza della Regione Eugenio Giani, con l’infelice metafora dei “carri armati” scelta per indicare la necessità di difendere la localizzazione e realizzazione di impianti utili a chiudere il ciclo di gestione dei rifiuti.

Le due notizie sono collegate, e per capirlo è necessario fare un passo indietro. Il termovalorizzatore di Case Passerini, di cui si parla da vent’anni, avrebbe dovuto bruciare circa 200mila tonnellate l’anno di rifiuti urbani non riciclabili, pari a circa il 25-30% della spazzatura prodotta dai cittadini della Toscana centrale, ricavandone energia elettrica pari al fabbisogno di 40mila famiglie.

A causa delle opposizioni del territorio e in seguito di un cambio di rotta da parte della Regione – che nel 2014 aveva inserito l’impianto nel Piano rifiuti e bonifiche (Prb) in scadenza quest’anno –, cui si è affiancata nel 2018 una sentenza del Consiglio di Stato che ha annullato l’Autorizzazione unica rilasciata al termovalorizzatore (in quanto gli enti competenti non avevano prescritto che il termovalorizzatore avrebbe potuto entrare in funzione solo dopo la piantumazione dei Boschi della Piana), l’inceneritore di Case Passerini pare adesso definitivamente sulla via del tramonto. Rimangono però le 200mila tonnellate l’anno di rifiuti da gestire, secondo logica di sostenibilità e prossimità.

Da qui l’idea, lanciata un anno fa grazie a un accordo tra Regione, Alia e Eni, di realizzare all’interno della raffineria di Livorno un gassificatore che sia in grado di trattare 200mila (e in prospettiva 400mila) tonnellate di Css e plastiche per trarne biometanolo. Css (ovvero combustibile solido secondario ottenuto dalla frazione secca dei rifiuti non pericolosi, urbani e non) che arriverebbe da un centro di selezione e trattamento rifiuti da potersi localizzare a Case Passerini. Un’ipotesi accolta a suo tempo con un’interlocutoria apertura da parte di Legambiente e Cgil, in grado potenzialmente di dare una prospettiva più sostenibile alla raffineria in un’ottica di economia circolare, ma sulla quale ad oggi non ci sono ancora elementi concreti per esprimersi in termini di ricadute ambientali, sociali ed economiche oltre che sulle effettive possibilità di chiusura del ciclo integrato dei rifiuti toscani. In questo contesto, per arrivare a un quadro più preciso della situazione, s’inserisce il protocollo d’intesa tra Regione, Ato e Alia.

Nel frattempo però gli anni passano e rifiuti prodotti dai Toscani continuano a varcare i confini regionali, perché sul territorio di impianti per gestirli non ce ne sono abbastanza. In un anno in regione si producono 2,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e 9,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, che vagano in cerca di impianti autorizzati a gestirli. Per trovarli, si stima che almeno 8.760 tir carichi di spazzatura valichino ogni anno i confini regionali, con elevati costi ambientali (si pensi solo al relativo traffico e smog) oltre che per le aziende e per i cittadini, in termini di Tari più salate.

In questo contesto Giani ha dichiarato che, se entro due anni l’ipotesi del gassificatore livornese non si sarà concretizzata in modo risolutivo, sarà necessario scegliere sul territorio toscano la localizzazione di un termovalorizzatore, da difendersi con decisione – anche coi “carri armati” – contro le varie sindromi Nimby e Nimto. Una dichiarazione infelice che, naturalmente, è stata interpretata come una chiamata alle armi da forze politiche e comitati contrari. Ma il problema di fondo nella gestione dei nostri rifiuti messo in evidenza da Giani rimane – l’assenza di certezze sulla realizzazione e localizzazione degli impianti lungo la filiera è un problema enorme per l’economia circolare – anche se rischia di essere controproducente impostare il dibattito attorno al nodo termovalorizzatori sì – termovalorizzatori no.

Quel che sappiamo è che le nuove direttive Ue sui rifiuti (urbani) prevedono di raggiungere entro il 2035 il 65% di riciclo e il 10% di discarica – obiettivi prioritari, entrambi lontani – e che dunque resta nel mezzo un 25% di recupero energetico cui possono concorrere anche i termovalorizzatori (che in Toscana bruciano a oggi un 10% di rifiuti); sappiamo che i moderni inceneritori non appaiono più dannosi per la salute di un normale impianto industriale; sappiamo, come afferma la Direzione investigativa antimafia (Dia), che è al contrario la carenza di impianti autorizzati a gestire i rifiuti – compresi i termovalorizzatori – che favorisce lo smaltimento illegale da parte della malavita; sappiamo anche che, pur traguardando gli obiettivi europei di riciclo per i rifiuti (urbani), rimarranno in Toscana circa 600mila tonnellate l’anno di scarti da riciclo e rifiuti non riciclabili che dovranno essere gestiti, perché è bene aver presente che anche l’economia circolare produce rifiuti, in quanto non c’è demagogia che possa proteggerci dal costante aumento dell’entropia cui tutto e tutti sono sottoposti.

Dato il contesto, in ogni caso la prima domanda non può essere se servono o meno nuovi termovalorizzatori. Quel che occorre è un Piano rifiuti e bonifiche che individui come chiudere davvero il ciclo di gestione dei nostri scarti seguendo la gerarchia europea (prevenzione, recupero di materia, recupero energia, smaltimento in discarica), sapendo che servono impianti lungo tutta questa filiera. Senza tabù, che si tratti di termovalorizzatori o meno.

A mettere in evidenza questa esigenza sono sia l’Ispra sia le aziende di servizio pubblico, a livello nazionale e a livello toscano. Aziende che, tra parentesi, solo sul nostro territorio sono pronte a investire 1 miliardo di euro nell’economia circolare entro 10 anni, garantendo lavoro e migliori condizioni ambientali rispetto al presente. Basterebbe decidere cosa vogliamo fare da grandi.




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