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Rassegna del 15 Maggio, 2020
    

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Nuovi limiti per il deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo di produzione - di Paolo Pipere


Nuovi limiti per il deposito temporaneo dei rifiuti nel luogo di produzione - di Paolo Pipere

La Legge di conversione del decreto “cura Italia” ha modificato la quantità di rifiuti che è possibile stoccare in azienda. La nuova disposizione crea però incertezze perché non è univocamente interpretabile.

La Legge 24 aprile 2020, n. 27 ha introdotto un nuovo articolo nel decreto-legge 7 marzo 2020, n. 18, il cosiddetto decreto “cura Italia”.

L’articolo 113-bis - proroghe e sospensioni di termini per adempimenti in materia ambientale – ha disposto che:

«1. Fermo restando il rispetto delle disposizioni in materia di prevenzione incendi, il deposito temporaneo di rifiuti, di cui all'articolo 183, comma 1, lettera bb), numero 2), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, è consentito fino ad un quantitativo massimo doppio, mentre il limite temporale massimo non può avere durata superiore a diciotto mesi».

Si è scelto quindi un percorso inutilmente tortuoso per conseguire il risultato di permettere alle imprese e agli enti di mantenere in magazzino maggiori quantità di rifiuti, e per un periodo massimo più lungo, in un momento caratterizzato da evidenti difficoltà di assicurare i servizi di raccolta e di trattamento dei rifiuti a causa dell’epidemia dovuta al coronavirus.

Il coordinamento normativo “fai da te”

Per comprendere il senso della nuova disposizione è indispensabile coordinare autonomamente, per quanto possibile e con tutti i rischi del caso, la norma in precedenza vigente con la nuova.

Sarebbe stato molto più semplice riscrivere completamente la disposizione, consentendo a tutti di comprendere i limiti temporali e di volume che è necessario rispettare.  Non si tratta, infatti, di un problema di nicchia, ma di una questione che riguarda tutte le imprese, dalla ditta individuale alla società per azioni quotata in borsa; tutti gli enti, dalle associazioni senza fini di lucro prive di dipendenti ai ministeri che occupano centinaia di migliaia di persone, e tutte le attività dei liberi professionisti.

L’articolo 184 del decreto legislativo 152/2006, la norma quadro sui rifiuti, prevede che:

«[…] i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti:

  • con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;

  •  quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno […]».

Poiché, a seguito dell’entrata in vigore della nuova legge, oggi il deposito temporaneo dei rifiuti è consentito fino ad un quantitativo massimo doppio sembra possibile ritenere che, nel caso in cui il produttore di rifiuti scelga di avvalersi della seconda modalità di gestione, il limite quantitativo sia ora di 60 metri cubi.

Un limite o diversi limiti?

La recente disposizione non si cura, però, di precisare se questo limite sia ancora ripartito in funzione della classificazione dei rifiuti: X come quantità complessiva di rifiuti posti in deposito temporaneo e Y, pari a un terzo di X, come quantitativo massimo di rifiuti classificati come pericolosi. È perciò possibile, ma per nulla certo, ritenere che se la ripartizione, per ipotesi, dovesse ancora sussistere allora la quantità di rifiuti in deposito potrebbe raggiungere complessivamente i 60 metri cubi, di cui al massimo 20 metri cubi di rifiuti pericolosi. Potrebbe, si badi bene, perché la nuova legge nulla dice in proposito.

L’altra incognita è quella del limite temporale massimo che: «non può avere durata superiore a diciotto mesi». A differenza del limite quantitativo, che nella precedente formulazione della norma si articolava in un limite “complessivo” e in un limite “massimo” riferito esclusivamente ai rifiuti classificati come pericolosi, in questo caso il deposito temporaneo non poteva: “avere durata superiore ad un anno”.

Se oggi “il limite temporale massimo non può avere durata superiore a diciotto mesi”, sembra possibile ritenere che la maggior durata del deposito temporaneo sia riferita esclusivamente al caso in cui il produttore abbia scelto di avvalersi della seconda tra le “modalità alternative” di gestione.

Nel caso in cui quest’ipotesi fosse fondata, allora la possibilità di avviare i rifiuti  alle operazioni di recupero o di smaltimento «con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito» non sarebbe stata elevata a sei mesi ma mantenuta invariata.

Gli altri criteri per il deposito temporaneo

Ma non è tutto. I limiti del deposito temporaneo che sono stati così maldestramente modificati non sono gli unici esistenti.

Per i rifiuti costituiti da terre e rocce da scavo i criteri per gestire il deposito temporaneo sono definiti da un’altra norma, che riguarda prevalentemente non i rifiuti ma le “terre e rocce da scavo che soddisfano la definizione di sottoprodotto”, il Decreto del Presidente della Repubblica 13 giugno 2017, n. 120.

Una disposizione che già dal “titolo” - Regolamento recante la disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell'articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 – lascia chiaramente intendere che la semplificazione è ben lontana dall’essere concretamente realizzata.

Il D.P.R. 120/2016 dispone che:

«b) le terre e rocce da scavo sono raccolte e avviate a operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative:

  1. con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito;
  2. quando il quantitativo in deposito raggiunga complessivamente i 4000 metri cubi, di cui non oltre 800 metri cubi di rifiuti classificati come pericolosi. In ogni caso il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno».

Rifiuti a rischio infettivo

Naturalmente i limiti del deposito temporaneo dei rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo sono molto più restrittivi. In questo caso la norma da rispettare è costituita dal decreto del Presidente della Repubblica 15 luglio 2003, n. 254 - Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari.

L’articolo 8, comma 3, della norma citata dispone che:

«a) il deposito temporaneo di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo deve essere effettuato in condizioni tali da non causare alterazioni che comportino rischi per la salute e può avere una durata massima di cinque giorni dal momento della chiusura del contenitore.

Nel rispetto dei requisiti di igiene e sicurezza e sotto la responsabilità del produttore, tale termine è esteso a trenta giorni per quantitativi inferiori a 200 litri».

Questi limiti non si applicano esclusivamente ai rifiuti prodotti dalle strutture sanitarie ma anche, secondo le prescrizioni dell’articolo 15 del Regolamento, anche ai «rifiuti speciali, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie, che come rischio risultano analoghi ai rifiuti pericolosi a rischio infettivo[…]».

Veicoli

Inoltre, per citare solo le tipologie di rifiuti più diffuse, ai veicoli fuori uso disciplinati dal decreto legislativo 24 giugno 2003 n. 209 si applicano diversi limiti per il deposito temporaneo:

«Il deposito temporaneo dei veicoli nel luogo di produzione del  rifiuto  - presso il concessionario, il gestore della succursale della casa  costruttrice  o  l'automercato  -  destinati all'invio a impianti  autorizzati  per  il  trattamento,  è consentito fino a un massimo di trenta giorni».

RAEE

Non solo la candidatura ma sicuramente la conquista del Guinness dei primati è, infine, garantita dalle elementari regole per il deposito “preliminare alla raccolta” (che, anche se è definito come preliminare, è una fase della raccolta ed è diverso sia dal “deposito temporaneo” sia dal “deposito preliminare”) dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche ritirate con il criterio “uno contro uno”. definite dal decreto legislativo 14 marzo 2014, n. 49 - Attuazione della direttiva 2012/19/UE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE).

Inutile rammentare che i limiti per i RAEE ritirati con il criterio “uno contro zero” sono diversi.

Nel caso dei RAEE ritirati “uno contro uno”:

«Il deposito preliminare alla raccolta consiste nel raggruppamento dei RAEE provenienti dai nuclei domestici effettuato nel rispetto delle seguenti condizioni:

a) i RAEE ritirati dai distributori devono essere avviati ai centri di raccolta realizzati e gestiti sulla base delle disposizioni adottate in attuazione dell'articolo 183, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni e a quelli autorizzati ai sensi degli articoli 208, 213 e 216 del medesimo decreto legislativo, secondo una delle seguenti modalità alternative a scelta del distributore:

  • ogni tre mesi o
  • quando il quantitativo ritirato e depositato raggiunge complessivamente i 3.500 chilogrammi.

In ogni caso, anche qualora non siano stati raggiunti i 3.500 chilogrammi, la durata del deposito non deve superare un anno.

Tale quantitativo è elevato

  • a 3.500 chilogrammi per ciascuno dei raggruppamenti 1, 2 e 3 dell'Allegato 1 al regolamento 25 settembre 2007, n. 185, e
  • a 3.500 chilogrammi complessivi per i raggruppamenti 4 e 5 di cui al medesimo Allegato 1,

solo nel caso in cui i RAEE siano ritirati per il successivo trasporto presso i centri di raccolta o presso gli impianti di trattamento adeguato da trasportatori iscritti all'Albo dei gestori ambientali ai sensi dell'articolo 212, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152».

L’elenco potrebbe continuare, ma è meglio ricorrere a una nota citazione cinematografica:

«Sono stato chiaro?»

«Cristallino».

 

 

Paolo Pipere
Consulente giuridico ambientale




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