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Prato e il record mondiale dei tessuti riciclati: 143mila tonnellate


Prato e il record mondiale dei tessuti riciclati: 143mila tonnellate

La città toscana è la capitale globale della trasformazione. L’esempio di Comistra, che ricicla al 90 per cento e vende i tessuti ai grandi marchi della moda, da Armani a Zara.

Ogni secondo un carico di tessuti equivalente a un camion dei rifiuti viene gettato in discarica o bruciato. Ogni anno si perde così un valore di 500 miliardi di dollari di indumenti a malapena indossati. Di questo passo entro il 2050 l’industria della moda consumerà un quarto del bilancio globale di combustibili fossili, in base all’ultimo rapporto della Ellen MacArthur Foundation. Eppure, su quasi 100 milioni di tonnellate di tessili prodotti all’anno nel mondo, appena l’1 per cento viene riciclato: 980mila tonnellate. Il 15 per cento di queste si ricicla a Prato: 143mila tonnellate nel 2018. La città toscana è la capitale mondiale della trasformazione di materiali tessili post-consumo, una posizione che la colloca al centro degli obiettivi di sostenibilità dichiarati dai grandi marchi, alla ricerca di modelli di produzione più puliti. «È da metà Ottocento che Prato ricicla gli stracci di tutto il mondo, con tecnologie avanzate e investimenti nei macchinari più innovativi», spiega Fabrizio Tesi, titolare insieme alla sorella Cinzia di un’impresa centenaria del distretto, la Comistra, che produce tessuti ricavati al 90 per cento da materiale riciclato.

Tesi è anche il presidente di Astri, l’Associazione del tessile riciclato italiano, nata due anni fa per valorizzare un’eccellenza italiana e promuovere il lavoro che a Prato si fa da quasi due secoli, trasformando gli scarti tessili, soprattutto di lana, in risorse. Astri ha preso vita grazie alla volontà di alcuni imprenditori del settore molto impegnati sul fronte della rigenerazione di qualità, sostenuti da lavoranti e passatori, da cenciaioli e commercianti di materie prime, da filature, tintorie, rifinizioni e lanifici, che animano il primo distretto tessile d’Europa, con 7200 imprese, quasi 40mila occupati e un giro d’affari di 5 miliardi di euro all’anno. «A partire da mio nonno Alfredo passando da mio padre Rolando e da mia madre Giovanna - spiega Tesi - abbiamo sempre avuto una forte vocazione all’innovazione, che ci ha portato alla realizzazione di un impianto a ciclo completo unico al mondo per rigenerare e trasformare i sottoprodotti tessili e i materiali post consumo in un tessuto comunemente denominato “lana meccanica” o “lana di Prato”, cioè una lana riciclata creata senza l’utilizzo di nuovo vello di pecora e dotata di una qualità di altissimo livello, che vanta la certificazione Global Recycled Standard».

Ma l’esempio di Comistra, che vende i tessuti ai grandi marchi della moda, da Armani a Banana Republic, da Zara a H&M, non è un caso isolato. Nel distretto ci sono centinaia di aziende impegnate quasi al cento per cento nella rigenerazione di materiali post consumo, dalla filatura Valfilo, che produce filato cardato da riciclato, al lanificio Intespra che crea invece tessuti, dalla Manifattura Maiano che lavora gli scarti tessili per ottenere isolanti adatti all’edilizia sostenibile, fino a startup giovani come Rifò, fondata l’anno scorso da Niccolò Cipriani, che produce sciarpe e cappelli in lana rigenerata. Per Fabrizio Tesi e compagni l’utilizzo di materiali di scarto, che un tempo era ammesso con imbarazzo, ora può essere finalmente rivendicato con orgoglio: «Solo seguendo l’esempio di Prato l’industria della moda si salverà da un modello di produzione insostenibile», sostiene Tesi.

Nell’epoca del consumo consapevole tutti i grandi marchi si pongono il problema del riciclo e di integrare nelle proprie collezioni produzioni ecosostenibili. L’olandese C&A, per esempio, ha lanciato l’anno scorso un paio di jeans definiti i più sostenibili del mondo, i primi a ottenere la certificazione d’oro Cradle to Cradle («dalla culla alla culla»), il marchio globale della circolarità assoluta. Sviluppati in collaborazione con Fashion for Good, i jeans sono realizzati con materiali sostenibili e non tossici, che possono anche essere compostati, con alcuni elementi, come la fodera e il filo, completamente ristrutturati per facilitarne il riciclo. Altri grandi marchi, come Adidas, Nike o Patagonia, riutilizzano tutti i propri scarti di produzione e includono in catalogo diversi prodotti realizzati utilizzando i rifiuti di plastica raccolti dagli oceani. Adidas ha annunciato di aver già venduto un milione di paia di scarpe derivate dal riciclo della plastica ripescata in mare.

Ma questi sono solo alcuni esempi virtuosi fra mille e c’è ancora molta strada da fare per invertire la tendenza allo spreco, incentivata da pratiche industriali insostenibili. «Bisogna rivoluzionare completamente i sistemi di produzione, ripensandoli dalla fine vita degli indumenti», ragiona Tesi, che dall’anno scorso ha avviato anche la produzione di capi d’abbigliamento realizzati in collaborazione con l’istituto d’arte Brunelleschi, in base ai principi dell’ecodesign. Si tratta di abiti pensati per essere riparati e rigenerati facilmente, con tutte le cuciture di cotone, colori non tossici e tessuti naturali, senza applicazioni di termoadesivi o inserzioni di materiale sintetico, che compromettono le possibilità di riciclo. Movimenti come Fashion Revolution e piattaforme come Fashion for Good, dedicate a scatenare il cambiamento in uno dei settori più inquinanti del manifatturiero, ci stanno lavorando. A partire da tecnologie e modelli che a Prato sono di casa.

 

Fonte: Corriere.it, 24 aprile 2019




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