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Rassegna del 13 Luglio 2017
    

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Secondo Eurostat nell’ultimo anno l’Italia ha superato Paesi Bassi, UK e Lussemburgo


Italia regina inconsapevole per la produttività delle risorse naturali: siamo i migliori d’Europa

In un sol balzo, da un anno all’altro, l’Italia ha agguantato la medaglia d’oro per la produttività nell’impiego delle risorse naturali. Secondo i dati appena aggiornati dall’Eurostat, nessuno fa meglio di noi in Europa. Se nel 2015 ci superavano – nell’ordine – Paesi Bassi, Regno Unito e Lussemburgo, oggi è il nostro Paese a dominare questa importante classifica che incrocia dinamiche economiche ed ambientali, seguita dalle tre nazioni sopracitate. Come mai? Eurostat non si sofferma sui perché, ma offre numerosi spunti d’indagine.

In primo luogo, l’Ufficio statistico Ue nota come la produttività delle risorse sia aumentata in tutta Europa, passando dagli 1,47€/kg del 2000 ai 2,07€/kg del 2016, un balzo in avanti del 41% in termini reali. Un trend influenzato però pesantemente dalla crisi economica: dal 2000 al 2008 la produttività delle risorse è infatti rimasta costante, con il Pil allo stesso ritmo del Dmc, il Domestic material consumption (definito come la somma di tutte le materie prime estratte all’interno del territorio nazionale + tutte le materie importate – tutte le materie esportate).

Solo con la crisi il consumo di materie prime ha iniziato drasticamente a calare in Europa, e non è difficile indovinarne il motivo. Basti pensare all’Italia, ovvero alla seconda potenza manifatturiera dell’Ue dietro la Germania, che ha visto il valore aggiunto della propria industria precipitare del 17% tra il 2007 e il 2014, perdendo nel frattempo – stima Confindustria – 660mila occupati.

Dal 2013 il Pil europeo, e più tardi quello italiano, hanno ripreso a crescere. Ma il consumo di risorse naturali ha continuato a calare. Qui viene in aiuto Eurostat, spiegando che «il livello di produttività delle risorse varia molto tra gli Stati membri dell’Ue. Dipende dalle risorse naturali presenti in un Paese, dalla diversità delle attività industriali, dal ruolo ricoperto dal settore dei servizi e da quello delle costruzioni, dalle modalità di consumo e dalle varie fonti energetiche». Si pensi al Regno Unito, dove una parte rilevante del suo (elevato) Pil deriva da attività finanziarie di servizio, per mandare avanti le quali l’apporto di materie prime necessarie è certamente ridotto rispetto ad attività manifatturiere. Una considerazione valida anche per l’Italia: nonostante l’importanza del proprio comparto manifatturiero, questo ad oggi vale circa il 16% del Pil.

Oltre al profilo economico e industriale di un Paese, a influenzare la produttività delle risorse naturali è però anche l’efficienza con la quale queste vengono impiegate nei processi produttivi. Qui l’Italia, Paese tradizionalmente povero di materie prime, può vantare una lunga e solida tradizione: le sue imprese sono da sempre abituate a far di necessità virtù. Rimane il grande rimpianto di non sapere quali risultati potremmo raggiungere se a guidare gli imprenditori ci fosse un’adeguata regia statale, attenta alle necessità di ambiente ed economia. Come spiega l’ultimo rapporto prodotto dall’Agenzia europea dell’ambiente nel merito, purtroppo non è così: l’Italia non ha alcuna strategia nazionale per migliorare la propria efficienza nell’impiego delle risorse naturali. Il record certificato da Eurostat la rende così una regina inconsapevole delle proprie potenzialità.

Non è un problema da poco. Nonostante i buoni risultati raggiunti, il Dmc italiano viaggia ancora attorno (nel 2015) alle 508,6 milioni di tonnellate/anno di risorse naturali consumate, un quantitativo insostenibile se paragonato alle esigenze del resto del mondo: se tutti i 7,4 miliardi di abitanti del pianeta vivessero secondo i canoni occidentali, l’estrazione di materie prime sarebbe 2,5 volte quella attuale.

Lo stesso vale per l’intera Unione europea, dove la produttività delle risorse naturali va dai 3,98 €/kg dell’Italia ai 0,68 €/kg della Bulgaria. «L’Ue importa sei volte tanto materiali e risorse di quante riesca ad esportarne», spiega il Senato italiano, per una cifra «che si aggira sui 760 miliardi di euro l’anno». Un costo insostenibile per l’ambiente e anche per la nostra economia, considerando che ad oggi la gran parte dei costi sostenuti dalle attività manifatturiere non sono quelli per il lavoro (che rappresentano il 15% circa), né quelli per l’energia (2%), ma proprio quelli per l’acquisto dei materiali (55%).

 


Fonte: Greenreport.it, 6 luglio 2017




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