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Rassegna del 21 Settembre 2017
    

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Sharing Italia: a che punto siamo


Sharing Italia: a che punto siamo

Collaborare e condividere. La lingua italiana aiuta a chiarire i contenuti di ‘sharing’, una parola che potrebbe cambiare l’economia del prossimo futuro.

Non abbiamo grandi piattaforme, ma i numeri dicono che siamo su livelli europei quanto a conoscenza e uso delle stesse. Il punto debole sono i capitali. Quindi è questa la vera scommessa: quale sarà l’impatto almeno a breve-medio termine delle pratiche collaborative nell’economia e nella società italiana? In una situazione di economia stagnante potrebbe fornire alternative. In uno scenario di ripresa invece potrebbe evitare di ripetere gli errori che hanno causato la crisi.

Quattro anni dopo la copertina dell’Economist, che ha coniato e divulgato il concetto di sharing economy, siamo ancora alla ricerca di una definizione condivisa. La stessa Commissione Europea ha dichiarato recentemente: ‘L’economia collaborativa è un nuovo modo di offrire e utilizzare prodotti e servizi tramite piattaforme online. Coinvolge molti settori e offre nuove opportunità a tutte le persone. E’ un fenomeno che si estende oltre le aziende più note: in Europa molte persone creative stanno sviluppando nuovi modelli di business’.

Nei confini della definizione non sono inclusi tutta la cosiddetta app economy e l’e-commerce.TraiLab – Università Cattolica ha realizzato una mappatura basata su criteri utili per definire le specificità del modello socio-economico della sharing economy:

1.      Lo scambio è abilitato attraverso una piattaforma digitale, nella forma di sito internet o app per smartphone.

2.      L’azienda non produce beni o eroga servizi ma abilita lo scambio tra pari, anche attraverso algoritmi reputazionali.

3.      La piattaforma promuove il pieno utilizzo delle risorse favorendo l’accesso anziché il possesso.

4.      La piattaforma è aperta e non seleziona gli utenti; questi possono sia prestare che ricevere il servizio.

5.      Se lo scambio è basato su compenso monetario, il prezzo è stabilito dagli utenti e non dalla piattaforma.

La sharing economy è dunque parte della più ampia platform economy: le pratiche collaborative sono in crescita anche offline ma le piattaforme digitali presentano caratteristiche specifiche, tra cui i meccanismi reputazionali.

Una volta definiti i confini verso l’esterno, è utile poi guardare dentro l’universo della sharing economy. In italiano questo concetto si traduce con due termini, collaborazione e condivisione. I due termini si possono usare per indicare le due principali forme di sharing: la collaborazione come forma ibrida tra mercato e reciprocità, attraverso cui si abilitano scambi di beni e servizi tra persone; la condivisione all’interno di comunità aperte come forma ibrida tra reciprocità e redistribuzione, modalità sperimentata inizialmente nei software open source e oggi estesa ai beni fisici.

Le aziende più note di sharing economy, nate in Silicon Valley, ne hanno incorporato la cultura e le logiche di funzionamento. Oggi l’Italia è allineata alla media europea nell’utilizzo delle piattaforme sharing (31% ne ha sentito parlare e 17% le ha usate).

La sharing italiana è più orientata all’innovazione sociale e culturale che a quella tecnologica, con esperienze interessanti di contaminazione tra online e offline e tra locale e globale.

Le varietà di sharing economy portano quindi a una questione di attualità: l’impatto delle pratiche collaborative sull’economia e sulla società italiana. Per mettere a fuoco questo impatto, è utile distinguere due scenari. Il primo è quello di un’economia stagnante, dove l’economia collaborativa deve compensare le carenze di stato e mercato e il focus principale è sulla sostenibilità economica di queste pratiche. Il secondo è quello dell’auspicata ripresa della nostra economia: in questo scenario, le pratiche collaborative potrebbero diventare una leva di radicamento sociale delle attività economiche per lo scambio di beni e servizi.

Raffaella Gazzaniga

Ufficio Stampa Digital ESO




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