La più recente bozza del decreto che individua quali rifiuti prodotti dalle attività economiche potranno essere assimilati agli urbani definisce anche i limiti dimensionali o quantitativi oltre i quali i rifiuti dovranno essere affidati agli operatori privati. Due i criteri fondamentali della nuova disposizione.
Per i comuni dove è stata attivata la tariffazione puntuale, quindi la misurazione della quantità di residui effettivamente affidata al concessionario del servizio pubblico di raccolta, la norma, per alcune attività economiche, individua le quantità massime di rifiuti che potranno essere ritirati dalle imprese incaricate dal Comune. Se un’impresa produce più residui dovrà affidarli ad operatori privati e non potrà essere tassata. I Comuni in regime di tariffa puntuale sono però ancora pochi, mentre nella maggioranza dei casi la tassa è ancora determinata con vecchi “coefficienti presuntivi” di produzione dei rifiuti definiti da una norma che risale alla fine degli anni Novanta.
In quasi tutti i Comuni italiani si applicheranno, invece, i limiti dimensionali. Se l’attività economica è esercitata in locali di dimensioni superiori ai valori di soglia tutti i rifiuti prodotti non saranno più “assimilabili agli urbani” e, anche in questo caso, dovranno essere gestiti autonomamente dal produttore per mezzo di imprese di trasporto, recupero e smaltimento autorizzate. La novità è di grande interesse per le imprese, soprattutto per quelle che esercitano attività commerciali e di servizio, perché fino ad ora erano tenuti a pagare la tassa sulla base della superficie dei locali e avevano diritto a un rimborso del tributo solo dimostrando di aver avviato al riciclo, e non allo smaltimento, i rifiuti con imprese autorizzate.
Come è noto la riduzione della tassa, che per legge deve essere proporzionale alla quantità di rifiuti riciclata con operatori privati, di norma è difficile, se non impossibile, da ottenere. Sembra, quindi, che la nuova norma, sia pur in prospettiva, possa ridurre il contenzioso infinito tra imprese e amministrazioni comunali. Le novità sono interessanti anche per le imprese artigianali di maggiori dimensioni e per gli stabilimenti industriali. Queste attività, che avrebbero dovuto versare la tassa solo per le mense, gli uffici e le mense e non per i locali dove si effettuano le lavorazioni e neppure per i magazzini aziendali di materie prime, semilavorati e prodotti finiti, ancora oggi, malgrado la giurisprudenza degli ultimi due decenni abbia ribadito l’esclusione delle aree nelle quali si producono rifiuti speciali non assimilabili ai rifiuti urbani, si trovano a pagare per l’intera superficie. I limiti dimensionali e quantitativi che stanno per essere introdotti dovrebbero, infatti, modificare questa situazione, evitando che le imprese paghino due volte la gestione dei rifiuti: la prima al Comune la seconda agli operatori privati del settore.
Nuove, e non sempre condivisibili, anche le indicazioni sulle tipologie di rifiuti non pericolosi che potranno essere affidate ai Comuni. Nell’ultima bozza sono stati eliminati i flussi di rifiuti, batterie, oli minerali, rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, per i quali esistono già da anni o da decenni norme speciali che ne disciplinano la raccolta e la gestione, permangono, però, tra le tipologie di rifiuti assimilabili vernici, inchiostri e toner, con il rischio che si azzeri la tracciabilità di questi flussi oggi garantita dei formulari di trasporto che i concessionari del servizio pubblico non sono invece tenuti ad utilizzare. A differenza che in passato, nel decreto in preparazione sono precisati i codici che identificano i rifiuti che le attività economiche potranno affidare al servizio pubblico, limitando la tendenza, riscontrabile in alcune Regioni e costantemente criticata dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato, di assimilare agli urbani tutti gli scarti non pericolosi.
Paolo Pipere
Consulente giuridico ambientale