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Rassegna del 12 Giugno 2020
    

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Un Green Deal italiano per usare i fondi europei del Recovery Plan


Un Green Deal italiano per usare i fondi europei del Recovery Plan

Deve ancora superare lo scoglio dell’approvazione del Consiglio, formato dai governi europei, ma intanto la proposta della Commissione Europea è arrivata, il 27 maggio scorso: un Recovery Plan da 750 miliardi, finanziato con modalità “federali, a livello comunitario, e impiegato in proporzione alle necessità dei Paesi più colpiti dal coronavirus.

All’Italia toccherebbero 81,8 miliardi di sovvenzioni e 90,9 miliardi di prestiti a tassi molto bassi. Per accedere a questi fondi si dovrà presentare entro il prossimo ottobre un Piano nazionale di riforme e di investimenti pubblici. È un’occasione da non perdere per definire un quadro organico per le misure di rilancio del Paese, per superare il carattere – forse inevitabile nella prima fase – emergenziale e frammentato delle misure fin qui adottate.

La proposta della Commissione prevede che l’utilizzo delle sovvenzioni e dei prestiti del Recovery Fund siano finalizzati a perseguimento del Green Deal come strategia per la crescita economica dell’Europa, in grado non solo di affrontare l’emergenza, ma di assicurare un futuro anche per la prossima generazione.

A tal fine le risorse del Recovery Fund dovrebbe essere impiegate per attuare alcune impegnative misure che sono sinteticamente elencate nella Comunicazione della Commissione. Le prima misure citate sono quelle per il raggiungimento di target più ambiziosi di riduzione dei gas serra al 2030 che richiedono notevoli investimenti nella transizione energetica, nell’efficienza e il risparmio energetico, nello sviluppo delle rinnovabili, nelle tecnologie per l’idrogeno e per la cattura e il sequestro del carbonio.

Il cambiamento, promosso anche da un pacchetto di nuove direttive e da un recente Piano europeo, verso un modello circolare di economia richiede, inoltre, nuovi investimenti nelle produzioni e nei prodotti, per prolungarne la durata, migliorarne la riparabilità e le possibilità di riuso, per renderli più facilmente riciclabili, per sviluppare il riciclo e l’impiego di materie prime seconde.

Importanti e strategici cambiamenti sono richiesti anche nei sistemi di mobilità urbana, in particolare con le nuove forme di sharing, e nei veicoli, verso i mezzi a basso impatto e l’elettrificazione. Queste strategie dovrebbero essere radicate anche a livello locale, nelle città, investendo in progetti di nuova rigenerazione urbana che comprenda non solo i tradizionali interventi di recupero di edifici e di aree dismesse, ma misure di mitigazione e adattamento climatico e un potenziamento delle infrastrutture verdi.

Senza dimenticare la ridefinizione della strategia agroalimentare europea (Farm to Forkstrategy)  per garantire la sostenibilità della produzione e la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, per promuovere un consumo alimentare sostenibile e ridurre le perdite e gli sprechi.

La rilevante dimensione anche quantitativa dell’impegno di risorse necessarie  per il Green Deal è evidenziato anche nel documento che accompagna la Comunicazione della Commissione europea del 27 maggio (Commission staff workingdocument, Identifying Europe’s recovery needs) che quantifica il fabbisogno di finanziamenti annui  per la “trasformazione green”in 470 miliardi, così suddivisi: 30 per le rinnovabili, 190 per l’efficienza energetica, 120 per la mobilità sostenibile, 77 per altre misure per il clima e l’ambiente e 53 per l’economia circolare e la gestione delle risorse.

Leggendo diversi commenti politici sull’utilizzo dei fondi europei del Recovery Fund ho avuto l’impressione che taluni stiano pensando invece all’apertura di un bancomat dove ciascun Paese possa prelevare soldi, solo con limiti  quantitativi, per spenderli come vuole, senza tener conto degli indirizzi e delle priorità indicate a livello europeo.

Sarebbe un’occasione persa. Una impostazione del Piano nazionale che trascurasse gli indirizzi del Green Deal europeo genererebbe un prevedibile contenzioso con la Commissione, allungherebbe i tempi e ridurrebbe le possibilità di utilizzo delle risorse europee.

 

Edo Ronchi

Presidente
Fondazione per lo sviluppo sostenibile




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