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Dove cresce l’economia, crescono anche più foreste


Secondo un rapporto appena pubblicato da ricercatori finlandesi, più i Paesi sono ricchi più sono ambientalmente virtuosi. Anche perché, in un mondo globalizzato, accade che le risorse se le procurino altrove

Le foreste si riprendono dove cresce il PIL. Laddove l’uomo sta bene, anche le foreste stanno bene. Una riflessione che sembra dare ragione allo sviluppo socio-economico dell’Occidente, ma che in realtà ci deve far riflettere sul ruolo delle policy dei Paesi sviluppati - UE, USA e Cinain primis – oltre a cosa significhi oggi il termine “globalizzazione”.

Secondo il Rapporto “Forest resources of nations in relation to human well-being” dei ricercatori finlandesi Pekka E. Kauppi, Vilma Sandström e Antti Lipponen uscito nel maggio 2018 (qui il link alla versione integrale ) dal 1990 al 2015 le riserve forestali sono aumentate ogni anno dell’1,31% nei paesi ad alto reddito e dello 0,5% nei paesi a reddito medio-alto. Al contrario, le riserve forestali sono diminuite dello 0,29% in 27 paesi a reddito medio-basso e dello 0,72% in 22 paesi a basso reddito.  

Da una prima analisi si direbbe che i Paesi più ricchi sono i più virtuosi. «I paesi altamente sviluppati applicano metodi agricoli moderni su buone terre agricole e abbandonano terreni marginali, che diventano disponibili per l’espansione delle foreste», riporta lo studio: «I paesi sviluppati investono in programmi sostenibili di gestione delle foreste e protezione della natura». 

È anche vero però che al bicchiere mezzo pieno equivale, di fatto, un’esternalizzazione del problema, infatti: se, dagli ultimi dati ONU 2010-2015 si rileva la presenza di un’area forestale in espansione in Europa, Nord America, Caraibi, Asia orientale e Asia centrale occidentale, è altrettanto vero che esiste una diminuzione delle aree forestali in America centrale, Sud America, Asia meridionale e sud-orientale e in tutta l’Africa (le maggiori perdite in Nigeria, Brasile e Indonesia). «Sfortunatamente, la deforestazione continua in foreste biologicamente ricche», commentano gli autori: «Le nuove foreste in espansione sono biologicamente meno diversificate, specialmente dove consistono di monocolture piantate». L’Africa continua a essere il continente con maggiore rischio di ulteriori perdite di ecosistemi forestali.

La questione è, come al solito, globale. Non si può ragionare su una parte senza scomodare il tutto. Almeno, se la teoria neo-neoclassica ci ha provato per un quarto di secolo, oggi sappiamo che esiste una “fallacia degli aggregati”. 

Se è vero che le cose vanno meglio dove vi siano redditi medio-alti poiché ciò implica: «Urbanizzazione, che attira gli agricoltori sulle terre rurali marginali; evoluzione da un regime di sussistenza all’economia di mercato, che concentra l’agricoltura verso le terre migliori; tecnologie e rendimenti agricoli crescenti, che eliminano la necessità di coltivare nuovi terreni agricoli, erodendo zone che possono così essere lasciate al verde; migliori trasporti, comunicazione, conservazione, elaborazione e comportamento del consumatore, riducendo lo spreco alimentare; disponibilità di alternative al legno come combustibile», dice Vilma Sandström: «Le nazioni sviluppate esternalizzano sempre più il proprio fabbisogno di risorse all’estero attraverso il commercio internazionale».   

Le zone lasciate libere, a foresta, implicano che intere aree non vengano messe a reddito. Alcuni Paesi oggi se lo possono permettere. In passato non l’abbiamo fatto. 

La domanda scomoda che nessuno vuole ammettere, ma che in realtà spetterebbe oggi ai Paesi cosiddetti in Via di Sviluppo, è perché “loro” dovrebbero salvaguardare l’ambiente quando non hanno livelli di reddito sufficienti per sfamare le popolazioni? “Noi” abbiamo costruito il nostro presente sulla “previous accumulation”, il colonialismo prima e il post-colonialismo poi, ci siamo impadroniti di risorse. Abbiamo distrutto senza costruire, avrebbe detto Schumpeter.

Il futuro apre nuovi scenari. I Paesi Sviluppati possono impegnarsi nel lasciare che le foreste – entro certi limiti - si espandano, questo almeno in base al Rapporto, avrebbe un effetto più che positivo dato dal combinato disposto dei valori analizzati. Gli USA però, per esempio, già non lo stanno facendo. Trump ha eliminato il vincolo di salvaguardia ambientale a parchi di interesse storico nazionale. 

In Polonia e Romania alcune foreste millenarie rischiano l’abbattimento per pochi spiccioli di legnatico. L’Africa e l’Indonesia, l’Amazzonia sono sotto attacco da parte delle multinazionali che lucrano sul legname da costruzione, su uno sviluppo che non contempla co-esistenza. Per Lipponen, infatti: «Lo sviluppo umano può tradursi nel benessere degli ecosistemi forestali, il che favorisce il sequestro del carbonio e la conservazione della biodiversità globale a lungo termine». Inoltre: «Le analisi delle politiche devono estendersi dal concentrarsi su singoli progetti come la cattura del carbonio, la conservazione della biodiversità o la gestione delle aziende agricole per analizzare interdisciplinari sul benessere armonizzato di persone e foreste».

Il punto non è solo la salvaguardia delle foreste. Esiste una correlazione fra reddito dell’uomo e ricchezza di materia organica, foreste, alberi, minerali. Quando entrambe stanno bene, tutto migliora. È la somma maggiore delle parti.

 

Fonte: LA STAMPA, 3 settembre 2018




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