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Rassegna del 14 Dicembre 2017
    

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Economia circolare: Ci salverà il cemento?


L’opinione pubblica internazionale riconosce l’eccellenza italiana nei settori della moda, del cibo e del vino, del biomedicale, ritenuti gli Ambasciatori del “Made in Italy” nel mondo. Non tutti sanno, invece, che al nostro Paese appartiene anche un altro primato: quello di essere stato il primo a pensare a un’industria delle costruzioni e, in particolare, dei materiali a base cementizia con un ridotto impatto ambientale ed environmentally friendly anticipando di 50-60 anni l’adozione di una Circular Economy favorendo la riduzione del consumo di energia per la produzione degli ingredienti, il controllo delle emissioni di inquinanti e la riduzione del consumo di risorse naturali non rinnovabili. 

Già dall’inizio degli anni ’80 - quando ancora non esisteva alcuna normativa nazionale, né europea, circa la riduzione dell’impatto ambientale dei materiali da costruzione e il “protocollo di Kyoto” non era ancora in fase di gestazione – nel nostro Paese si faceva largo ricorso alla “cenere volante”, sottoprodotto delle centrali termoelettriche a carbone, onde ridurre il consumo di cemento Portland.

E’ stato grazie a questa tradizione italiana di far ampio ricorso ai materiali pozzolanici naturali e alla ricerca sui sottoprodotti a comportamento idraulico condotta in ambito accademico e industriale che è stato possibile varare la normativa europea sui cementi nel 1992 che ha consentito di re-impiegare alcune “materie prime-seconde” altrimenti conferite in discarica. 

Il processo produttivo di cemento e calcestruzzo, infatti, al di là dei luoghi comuni e degli stereotipi, può contribuire fattivamente al riuso di materiali per l’ingegneria civile ed industriale che verrebbero destinati allo smaltimento in discarica.
 
E’ una delle Migliori Tecniche Disponibili e una soluzione sicura e conveniente per la collettività, l’ambiente e l’industria, che consente di risparmiare risorse naturali non rinnovabili e – dati scientifici alla mano – recuperare rifiuti in condizioni estremamente controllate.

Si stima che nel 2016, ad esempio, l’utilizzo di combustibili alternativi derivati da rifiuti ha consentito di evitare l’immissione in atmosfera di oltre 235mila tonnellate di CO2 e sono state circa 800mila le tonnellate di rifiuti speciali, non pericolosi (!), recuperati nel processo produttivo, che altrimenti sarebbero finiti in discarica. 

Non solo. I cementi prodotti utilizzando costituenti principali diversi dal clinker di cemento Portland sono per prestazioni meccaniche identici in tutto e per tutto a quelli prodotti utilizzando materie prime naturali, certificati a tutela della salute degli operatori e conformi alle norme del Regolamento REACH sulla commercializzazione di sostanze e preparati. Dunque perfettamente rispondenti agli standard internazionali. Non solo: sono anche dotati di una maggiore durevolezza e resistenza alle azioni aggressive in ambiente marino, in terreni e acque selenitose, a contatto con i sali disgelanti cosparsi sulle sedi stradali. 

Le aziende del settore hanno investito ingenti risorse in sistemi innovativi per l’abbattimento delle emissioni: 276 mln € dal 2009 al 2016 (di cui 70 mln € negli ultimi 3 anni). Tutto questo deve indurci a concludere che il cemento, il materiale più usato al mondo dopo l’acqua, viene troppo spesso flagellato dai pregiudizi quando, invece, la ricerca tecnologica, i nuovi brevetti e la sostenibilità del suo processo produttivo contribuiscono a combattere e prevenire le conseguenze dei cambiamenti climatici, proteggendo persone, proprietà e ambiente. 
 

*Roberto Realfonzo, Professore di Tecnica delle Costruzioni presso la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Salerno. Luigi Coppola, Professore Associato di Materiali Strutturali per l’Edilizia presso la Facoltà di Ingegneria e scienze applicate dell’Università di Bergamo

 

Fonte: La Stampa, 8 dicembre 2017




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