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Goethe, Rodari, Dickinson: quando poesia fa rima con ecologia - di Angiola Codacci-Pisanelli
Alberi che fuggono dalla distruzione, conchiglie strappate al mare, palazzi senza bambini. A margine di un festival sulla poesia ambientale abbiamo cercato i più bei versi dedicati alla natura insidiata dall'uomo. E ora chiediamo ai lettori: voi per chi votereste? «Non uccidete il mare, / la libellula, il vento. / Non soffocate il lamento / (il canto!) del lamantino. / Il galagone, il pino: / anche di questo è fatto l’uomo. / E chi per profitto vile / fulmina un pesce, un fiume, / non fatelo cavaliere / del lavoro. L’amore / finisce dove finisce l’erba / e l’acqua muore. Dove / sparendo la foresta / e l’aria verde, chi resta / sospira nel sempre più vasto / paese guasto. Come / potrebbe tornare a essere bella, / scomparso l’uomo, la terra». Sono versi di Giorgio Caproni, la poesia si intitola "Versicoli quasi ecologici". E nel titolo c'è tutto l'imbarazzo di un poeta che sceglie di occuparsi di ecologia: un tema ostico per romanzieri e teatranti, e solo un po' meno per i poeti. A margine del primo Festival europeo di poesia ambientale (venerdì 22 maggio, online sui siti delle riviste Sapereambiente e Insula Europea) nasce l'idea di raccogliere un'antologia dei più bei versi dedicati alla natura insidiata dalle opere dell'uomo. Scrittori, critici e appassionati hanno raccolto la sfida, che ora rilanciamo ai lettori dell'Espresso: qual è la più bella poesia ecologista che conoscete? La domanda trova ben preparata Patrizia Cirulli, cantautrice che all'arte di unire canto e poesie ha dedicato il disco "Mille baci", finalista al premio Tenco. Cita due testi che ha musicato, un haiku di Basho («Silenzio. / Graffia la pietra / un canto di cicale.) e una poesia di Wolfgang Goethe, "Mentre andavo": «Andavo per i campi / così, per conto mio, / e non cercare niente / era quello che volevo. / E lì c'era un fiorellino, / subito lì, vicino, / che nella vita mai / ne vidi uno più bello. / Volevo coglierlo, / ma il fiore mi disse: / possiedo radici, / e sono ben nascoste. / Giù nel profondo / sono interrato; / per questo i miei fiori / son belli tondi. / Non so amoreggiare, / non so adulare; / non cogliermi devi, / ma trapiantare».
È un omaggio a Gianni Rodari nel centenario della sua nascita la poesia scelta dalla scrittrice Romana Petri ("Figlio del lupo", "Le serenate del Ciclone"), "Signori architetti": «Signori architetti / che fate progetti / precisi e perfetti / di case e palazzi, / di torri e terrazzi, / di seminterrati, / di interi isolati, / di grandi cantieri, / di enormi quartieri... / che bravi che siete! / E già lo sapete. / Talvolta però / scusate un pò / siete anche distratti. / Scordate, difatti, / che in quei palazzoni / di quei quartieroni / ci debbono stare, / coi grandi abitare / bambini a dozzine. / Si gioca... sul tetto / nel vostro progetto? / Un pezzo di prato / l¹avete lasciato? / Su, siate gentili, / fate anche cortili. / Pensateci un poco / ai campi da gioco... / Lasciateci appena / lo spazio, che poi / a far l´altalena / pensiamo da noi, / sarà cura nostra / farci anche una giostra».
Maria Grazia Calandrone (tra le sue raccolte più recenti "Giardino della gioia" e "La forma dell'animo altrui) all'ecologia in tempo di quarantena ha dedicato stornelli in romanesco («I gabbiano continuano a volare / e le rondini pure so' tornate. / Noi serati con trentatré mandate / guardiamo dietro ai vetri il gran daffare / de la natura che c'ignora e ride. / Nun sarà che vive mejo er monno - mica è strano! - / senza de noi che l'affumicamo?»). Però i più bei versi ecologisti li ha letti negli haiku di Issa («Mondo di sofferenza: / eppure i ciliegi / sono in fiore») o di Matsuo Basho («Vieni, andiamo, / guardiamo la neve / fino a restarne sepolti».
Pochi hanno la capacità di identificarsi con la natura che ha avuto Emily Dickinson, molto amata da chi ha partecipato a questa sfida: «“Natura” è ciò che noi vediamo: / la collina, il meriggio, lo scoiattolo, / l’eclisse, il calabrone, / Natura è Paradiso. / Natura è ciò che udiamo: / Il fringuello ed il mare, / Il tuono, il grillo, / Natura è melodia. / Natura è ciò che conosciamo, / ma non sappiamo esprimere: / così impotente la nostra saggezza / contro la sua semplicità». E ancora: «Fiorire – è il fine – chi passa un fiore / con uno sguardo distratto / stenterà a sospettare / le minime circostanze / coinvolte in quel luminoso fenomeno / costruito in modo così intricato / poi offerto come una farfalla / al mezzogiorno – / Colmare il bocciolo – combattere il verme – / ottenere quanta rugiada gli spetta – / regolare il calore – eludere il vento – / sfuggire all’ape ladruncola – / non deludere la natura grande / che l’attende proprio quel giorno – / essere un fiore, è profonda / responsabilità –».
Federico Garcia Lorca rivive nel guscio della conchiglia strappata al mare («Mi hanno portato una conchiglia. / Dentro ci nuota / un mare di nappa. / Il mio cuore / si riempie d’acqua / con pesciolini / d’ombra e d’argento. / Mi hanno portato una conchiglia»). Ed è facile anche mettersi nei panni dell'albero del poeta messicano Homero Aridjis, nella sua sofferenza che diventa liberazione: «Allora l'albero ebbe un sogno / sognò di trovarsi in un albereto / e i suoi rami erano pieni di uccelli / affacciati alla mia finestra / sognò che i suoi semi cadevano a terra / e diventavano altri alberi / in altri sogni che crescevano / dentro e fuori di noi / sognò che c'erano due strade / una che scendeva nell'oltretomba / e un'altra che portava a un Orizzonte / dove mai imbruniva / doveva restare nello stesso posto / guardando con mille occhi verdi l'uomo / che in camion e con motoseghe / veniva a tagliarlo in due / in quel momento l'albero si svegliò / vide se stesso con scarpe nelle radici / e come un angelo sradicato / andò per la sua strada».
Più diretto il "paesologo" Franco Arminio, che lancia un messaggio ecologista ben preciso: «Pensa che si muore / e che prima di morire tutti hanno diritto/ a un attimo di bene./ Ascolta con clemenza./ Guarda con ammirazione le volpi,/ le poiane, il vento, il grano./ Impara a chinarti su un mendicante,/ coltiva il tuo rigore e lotta/ fino a rimanere senza fiato./ Non limitarti a galleggiare,/ scendi verso il fondo/ anche a rischio di annegare./ Sorridi di questa umanita' che si aggroviglia su se stessa./ Cedi la strada agli alberi». Mentre Mario Dell'Arco, maestro della poesia romanesca, ci lascia sognare: «Er vermine ha trovato / du' petali de rosa in un’aiola: strisciava in mezzo ar prato, / adesso vola». La foto è di Gianni Rodari - la nostra redazione lo ricorda sempre con affetto e stima
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