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lanuovaecologia.it
Anche il marchio italiano della moda aderisce alla campagna organizzata da 300 organizzazioni internazionali per stoppare gli approvvigionamenti proveniente dallo Xinjiang. Dove non si arresta la repressione del governo cinese sulla minoranza turcofona musulmana
Anche il marchio italiano della moda Ovs aderisce alla campagna “End Uyghur Forced Labour”, organizzata da 300 organizzazioni internazionali per stoppare gli approvvigionamenti di cotone proveniente dallo Xinjiang, regione autonoma del nord della Cina dove da anni il governo di Pechino conduce una violenta repressione della minoranza turcofona musulmana degli uiguri.
“End Uyghur Forced Labour”, gli obiettivi della campagna
La campagna “End Uyghur Forced Labour” è stata lanciata nel luglio 2020 con l’obiettivo di spingere i marchi della moda internazionali a monitorare la loro filiera di produzione nello Xinjiang e ad abbandonarla nel caso in cui fossero ravvisati collegamenti con imprese che sfruttano il lavoro forzato della popolazione uigura. Solo dallo Xinjiang proviene l’84% del cotone prodotto in Cina e il 20% della produzione mondiale: in pratica, è da questa regione autonoma finita nella morsa dell’autoritarismo del governo cinese che proviene un abito su cinque indossato nel mondo.
Nello Xinjiang detenzione arbitraria per 1,8 mln di persone
Diverse ong internazionali come Amnesty International e Human Rights Watch, da tempo documentano le sistematiche violazioni dei diritti umani subite in Cina dagli uiguri e da altre popolazioni turche e a maggioranza musulmana. Ad oggi ci sarebbero circa 1,8 milioni di persone detenute arbitrariariamente. Una situazione altamente critica, come hanno denunciato le stesse Nazioni Unite che parlano di “pratiche crescenti di detenzione arbitraria, sparizione forzata, assenza di controllo giudiziario, garanzie e restrizioni procedurali” delle libertà fondamentali.
“Ci auguriamo che l’adesione di OVS all’impegno per lasciare la regione uigura convinca gli altri marchi che ancora non hanno fatto passi pubblici concreti a fare altrettanto – dichiara Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti – Questo primo importante risultato rinvigorisce lo sforzo della coalizione internazionale e ci motiva a continuare la pressione: il lavoro forzato è una condizione che fa orrore e che nessuno (consumatori, produttori, politici) può accettare né fingere di non vedere”.
Rassegna del 2 Aprile, 2021 |
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