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ISSUE 340

Clima: il piano dell'IPCC per mitigare la catastrofe

focus.it

Clima: il piano dell'IPCC per mitigare la catastrofe

La strada per limitare i danni prodotti dai cambiamenti climatici è chiara: ridurre i combustibili fossili. L'ultimo rapporto dell'Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), pubblicato il 4 aprile 2022, lo dice senza fronzoli: disponiamo di soluzioni tecnologiche e denaro in abbondanza per contrastare le emissioni di gas serra, ma senza la volontà politica faremo ben poco. Anche perché, per contenere il riscaldamento globale entro quell'1,5 °C dall'era pre-industriale (obiettivo che pare già fuori portata) non servono futuristiche tecnologie di cattura di CO2 o foreste grandi come interi Stati, o meglio, non solo. Occorre soprattutto un taglio drastico e urgente a carbone, petrolio e gas.

 

Il documento dell'IPCC Climate Change 2022: Mitigation of Climate Change  firmato da 278 scienziati di 65 diversi Paesi, fa parte di un pacchetto di tre rapporti sul clima usciti tra 2021 e 2022: il primo, dell'agosto 2021, incentrato sulle basi scientifiche del clima che cambia; il secondo, del febbraio 2022, focalizzato sull'impatto della crisi climatica e sulle strategie di adattamento (ossia ridurre al minimo i danni anticipando gli effetti avversi); e ora il terzo, sulle soluzioni di mitigazione, che cercano di rendere meno gravi questi impatti intervenendo alla fonte, cioè sui gas serra. 

 

Partire dalle basi

 

Il tasso di crescita delle emissioni è rallentato rispetto al decennio 2010-2019, ma l'obiettivo di restare sotto ai +1,5 °C rimarrebbe "fuori portata" anche se si rispettassero gli impegni annunciati alla COP26 di Glasgow. I Paesi che producono l'80% del prodotto interno lordo globale e che sono responsabili del 77% dei gas serra hanno dichiarato la volontà di raggiungere emissioni nette zero, ma anziché concentrarsi sulla riduzione dei combustibili fossili perdono tempo immaginando complesse tecnologie di cattura della CO2 o massicce opere di riforestazione. Invece, la rinuncia alle fonti inquinanti deve essere centrale nei prossimi anni, e radicale: meno 95% dell'impiego globale di carbone, meno 60% di quello di petrolio, meno 45% di gas rispetto al 2019.

 

Non domani, adesso 

 

Per mantenere il riscaldamento globale entro la soglia dei +1,5 °C (ma anche entro quella dei + 2 °C), le emissioni globali dovrebbero raggiungere un picco entro il 2025 al massimo, per poi calare del 43% entro il 2030 e dell'84% entro il 2050. Non siamo sulla strada giusta: nel 2021, per effetto della ripresa "post" covid, la CO2 emessa per produrre energia è aumentata del 6%. «La temperatura globale si stabilizzerà quando le emissioni di anidride carbonica raggiungeranno lo zero netto» si legge nel documento. Per arrivare a questo obiettivo - gas serra emessi uguale a gas serra assorbiti - bisogna ripensare in modo radicale al modo in cui produciamo energia.

 

Reindirizzare i fondi

 

Solamente porre fine ai pubblici sussidi per i combustibili fossili potrebbe ridurre le emissioni di gas serra del 10% entro il 2030. Quel denaro può essere usato meglio: nei prossimi otto anni, occorre investire nelle rinnovabili fino a sei volte di più di quanto fatto finora. La buona notizia è che ce lo possiamo permettere, perché dal 2010 ad oggi ci sono state riduzioni importanti (fino all'85%) nel costo dell'energia solare ed eolica e nelle batterie agli ioni di litio che possono essere usate per accumulare energia pulita. La paura di veder aumentare i prezzi nel breve termine sta frenando gli investimenti pubblici e privati in queste soluzioni, che invece sarebbero a portata di mano.

 

Utili ma non primarie

 

Le tecnologie di cattura della CO2 e il ripristino delle foreste saranno comunque necessari per contrastare le emissioni dei settori più difficili da decarbonizzare (l'agricoltura, l'aviazione, la produzione di acciaio, cemento e prodotti chimici), ma queste strade non possono sostituire il taglio dei combustibili fossili. Per piantare alberi occorre terra sottratta ad altri usi, come la produzione di cibo, e gli impianti di cattura del carbonio - per ora capaci di assorbire poche migliaia di tonnellate di CO2 all'anno - rischiano di trovare ancora «barriere tecnologiche, economiche, istituzionali, ecologico-ambientali e socioculturali», se implementate su larga scala.

 

Elisabetta Intini

 

 

Photo: Markus Spiske

 

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