La Newsletter di ESO
ISSUE 358

Tutela dell’ambiente e del paesaggio: non esiste contrapposizione

greenplanner.it

Tutela dell’ambiente e del paesaggio: non esiste contrapposizione

L’attuale situazione di contrapposizione tra tutela dell’ambiente e transizione ecologica con la conservazione del paesaggio non solo è sbagliata ma distoglie dal vero problema, quello di una ricerca di crescita esasperata che non è più progresso, ma un “ascensore per l’inferno” ambientale…

 

Non bisogna confondere il progresso con la crescita perché sono due cose distinte: la crescita attuale, spesso esasperata, alla ricerca della doppia cifra di prestazione, non porta progresso ma regresso.

 

Lo vediamo nell’aumentare delle disparità economiche, nella distruzione dell’ambiente per fini speculativi, nello sfruttamento delle persone.

 

Così pure, la svolta energetica deve essere la chiave di volta di un sistema più attento ai consumi e agli sprechi, democratico nella produzione e nel consumo di energia pulita ma non a scapito del paesaggio.

 

La produzione energetica deve essere a misura di territorio, ritagliata per il luogo in cui viene inserita ma non può prescindere dal fatto che i cambiamenti climatici sono già in atto e probabilmente irreversibili.

 

Riceviamo a questo proposito e pubblichiamo su greenplanner.it una lettera aperta di Livio de Santoli, prorettore dell’universita La Sapienza di Roma e presidente del Coordinamento Free, che raccoglie raccoglie più di venti associazioni che rappresentano il settore delle rinnovabili e dell’efficienza energetica.

 

Ambiente e paesaggio, una contrapposizione assurda e inesistente

 

Faccio seguito a una serie di recenti incomprensibili prese di posizione anti-rinnovabili, dopo aver già cercato di dare risposte circa l’assurdità di tali dispute.

 

L’attenzione verso il paesaggio deve contemplare un’idea dello stesso diversa da quella immutabile e non adattativa. Credo che siamo tutti d’accordo sulle cause della crisi climatica insostenibile.

 

È un progresso basato sull’efficienza vista come consumo delle risorse in quantità sempre maggiori e in tempi sempre più ridotti e una produttività, emblema di un sistema economico del profitto fine a sé stesso, capace di esautorare i benefici più importanti, quelli sociali e ambientali.

 

In natura il concetto di produttività non esiste, dice Rifkin nel suo ultimo libro Età della resilienza: “la natura è ridondante, diversificata e rigenerativa e sono questi gli aspetti da recuperare“.

 

Cosa che significa un cambiamento radicale e risolutivo. Non sono solo i fossili che stanno portando alla catastrofe climatica, ma l’intero quadro ideologico che ha caratterizzato l’era del progresso.

 

Non bisogna confondere progresso con crescita. Nessuno vuole parlare di svolta industrialista e neppure di aggressione al paesaggio, ma anzi di energia rinnovabile distribuita, a dimensione dei territori, l’unica capace di coniugare disponibilità a basso costo per tutti (a patto che si cambino le regole dei mercati in un’ottica non liberista, con un reale disaccoppiamento del valore dell’energia da rinnovabili e da fonti fossili) e rispetto di un ambiente destinato altrimenti a modificarsi irrimediabilmente a opera dei cambiamenti climatici.

 

Ovviamente occorre considerare il contenimento dei consumi e delle risorse, senza per questo entrare in una logica di decrescita, semmai di sviluppo – questo si, in chiave industriale – per favorire le filiere italiane nell’unica grande opportunità che abbiamo.

 

In questo sta la tensione progressista che si oppone alla visione passatista e che accetta di rivedere il concetto stesso di paesaggio.

 

C’è modo di trovare una soluzione per installare 70 GW di rinnovabili nei prossimi dieci anni, quanto ci chiede l’Europa, rispettando il paesaggio? Si.

 

Una gran parte delle installazioni a terra di fotovoltaico necessarie per raggiungere gli obiettivi europei (50.000 ettari) potrebbero riguardare terreni marginali non coltivati da decenni.

 

Questi terreni, abbandonati dagli agricoltori perché improduttivi, rappresentano meno del 2% della perdita di Superficie Agricola Utile italiana avvenuta negli ultimi trent’anni, stimata in tre milioni di ettari. Oppure utilizzare aree industriali dismesse.

 

Inoltre, l’evoluzione delle tecnologie consentono una maggiore produzione come per l’eolico, in cui oltre al repowering sugli impianti esistenti, c’è il tema innovativo dell’off-shore galleggiante (tradotto: reversibile) anche a distanze considerevoli dalle coste.

 

Le recenti definizioni del patrimonio culturale (si veda la Convenzione di Faro), sottolineano il valore dell’eredità culturale secondo i concetti della sostenibilità, includendo questi ultimi, quindi, nella individuazione del rispetto e della tutela dell’ambiente.

 

Questo significa che oggi occorre inserire le azioni di contrasto al cambiamento climatico tra le forme di tutela e tra queste il corretto uso dell’energia rinnovabile.

 

L’Italia, con il suo grande patrimonio culturale più di altri Paesi può e deve esercitare la sua leadership che le è naturale. Con grande senso di responsabilità, come direbbe lo zio Ben di Spiderman.

 

Questo perché il patrimonio culturale, in tutte le sue dimensioni, materiali e immateriali, è, al pari dell’energia rinnovabile, una risorsa condivisa e un bene comune. E proteggerlo diventa quindi una responsabilità comune.

 

 

Photo: Pfüderi 

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