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ISSUE 362

Agricoltura rigenerativa: il suolo italiano non potrà più farne a meno

greenplanner.it

Agricoltura rigenerativa: il suolo italiano non potrà più farne a meno

Il convegno in apertura di Myplant&Garden con focus sull’agricoltura rigenerativa ha illustrato le potenzialità legate allo sviluppo di nuove modalità di coltivazione della terra. Particolare attenzione è stata dedicata anche ad alcune filiere – come canapa, bambù, gelso, luppolo e succulente – interessanti per produzione e potenzialità di mercato.

 

Dobbiamo tornare a rispettare il suolo. Perché, altrimenti non sarà più nostra fonte di sostentamento.

 

“Secondo la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) entro il 2050 il 90% delle terre ora coltivate andranno incontro all’infertilità. Proprio quelle terre da cui dipende il sostentamento di 8 miliardi di persone cui vanno aggiunte le bocche degli animali” ha sottolineato in apertura del convegno sull’agricoltura rigenerativa M.Cristina Ceresa, direttore di greenplanner.it.

 

Ecco perché bisogna intervenire. Siamo in apertura dell’edizione 2023 di Myplant&Garden, la fiera dedicata all’ortoflorovivaismo dove GreenPlanner ha portato relatori e pubblico a ragionare sulla necessità di adottare nuovi metodi di lavorazione del suolo.

 

In sala molti agronomi che Francesca Oggionni, presidente Ordine dei dottori agronomi e forestali di Milano ha salutato: “Il suolo è importantissimo e in qualità di professionisti tecnico-scientifici, noi agronomi abbiamo il compito di dare un buon contributo alle nuove generazioni. È importante parlare di verde e guardare alle buone produzioni in termini di qualità: non possiamo più depauperare le risorse ambientali“.

 

 Rigenerazione del suolo

 

“Il suolo italiano – ha spiegato Paolo Callioni, dottore agronomo e associato Anab (Associazione Nazionale Architettura Bioecologica) – hanno poca sostanza organica (si parla del 3,4%), indispensabile per l’assimilazione delle sostanze nutritive da parte delle piante. Infatti, il microbiota è in equilibrio con le piante presenti nel suolo e con queste comunica costantemente“.

 

Parlare di rigenerazione del suolo significa riqualificare il rapporto dell’uomo con il terreno, integrando nelle tecniche agronomiche la funzione ecologica di un sistema territoriale.

 

Se è vero che il modello di agricoltura tradizionale è stato un passaggio fondamentale nel sistema di produzione, oggi è necessario uno step successivo: “dobbiamo e vogliamo rendere il sistema produttivo agricolo più ecologico, considerando la necessità di produrre di più in vista di un ulteriore aumento della popolazione entro il 2050” ha aggiunto Callioni.

 

Tra i nuovi modelli è interessante l’uso delle cover crop, le colture di copertura che proteggono il suolo dall’erosione e ne mantengono le sostanze nutritive.

 

Rappresentano uno strumento utilissimo soprattutto per la rigenerazione della rizosfera e, nel pieno rispetto del suolo, è importante che le cover crop vengano rimosse senza l’uso di diserbanti, preferendo l’utilizzo di macchine apposite come le roller crimper.

 

Queste rientrano nelle tecniche di agricoltura conservativa promosse dal progetto Life help soil di cui Regione Lombardia è capofila.

 

“Ma il modello più interessante e completo è quello dell’agricoltura naturale coreana (Knf) che permette di produrre a un costo minore rispetto a quello attuale, rispettando però gli standard di qualità e quantità. L’assunto di base è sempre uno: ricorrere ai microorganismi indigeni per arricchire il suolo, sfruttando così il potenziale intrinseco di piante e animali e limitando il consumo di acqua” ha confermato Callioni.

 

Il Biochar in tutto questo potrebbe essere utile come ha spiegato Alessio Malcevschi, docente di Food Sustainability Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali Università di Parma, nonché uno dei maggiori esperti italiani in tema.

 

La sostanza carbone, infatti, è dotato di una superficie porosa – quindi ricca di aria – che permette ad acqua e nutrienti di restarne intrappolati.

 

“L’utilizzo del Biochar riduce il fabbisogno di acqua e di fertilizzanti nei terreni agricoli – ha puntualizzato il docente – soprattutto se aggiunto nella fascia in cui si sviluppano le radici (rizosfera); un grammo di char ha tra i 300 e i 3000 mq su cui possono ancorare le sostanze organiche. Inoltre, la reazione di carbonizzazione, oltre a produrre energia termica, forma carbonio chimicamente stabile che una volta riemesso nel suolo diminuisce le emissioni di CO2″.

 

Per una migliore gestione del suolo, poi, interviene anche la tecnologia. Federico Di Cara, dottore agronomo Giardineria Italiana, ha illustrato il progetto Plant Care 4.0 il cui scopo è mettere gli strumenti digitali a servizio del settore del verde e dell’agricoltura.

 

“Plant Care 4.0 punta a creare un framework operativo a partire da una piattaforma digitale avanzata per l’acquisizione e la gestione dei dati, che consentano la programmazione di interventi mirati su suolo e piante.

 

In questo modo è possibile promuovere un uso consapevole della risorsa verde di giardini e aree urbane, promuovendo una maggiore sostenibilità economico-ambientale“.

 

Dunque, un modello di monitoraggio microclimatico attraverso le nuove tecnologie sensoristiche, che permette un sistema di interventi predittivo molto più sostenibile.

 

Ma ci sono anche piante e culture che danno una mano a rendere buono il terreno, due volte. Ci sono infatti delle culture che oltre a richiedere poca acqua, bonificano e di ciò che si coltiva non si butta via nulla in ottica di economia circolare: ecco dunque le filiere verdi che fanno bene all’ambiente e all’industria italiana.

 

Le potenzialità della canapa industriale

 

Virginia Avallone, vicepresidente dell’associazione Canavese Canapa, ha raccontato le proprietà e i possibili usi della pianta, la cui storia risale a circa 10.000 anni fa.

 

In Italia, fino agli anni ’40 e ’50, la canapa è stata ampiamente usata nel settore tessile: ne sono note le proprietà termoregolatrici. “Tuttavia – ha spiegato Avallone – oggi sappiamo che la canapa può essere destinata a molti altri utilizzi: tra le sue proprietà, infatti, spicca la capacità di depurare i terreni. Infatti, la canapa è una pianta che cresce molto velocemente e che assorbe grandi quantità di sostanze tossiche dal suolo, in particolare metalli pesanti e pesticidi. Ciò la rende particolarmente utile per la fitodepurazione, permettendo così a terreni che erano contaminati di tornare a essere utilizzabili“.

 

La canapa può essere destinata al settore della bioedilizia, grazie alla sua grande resistenza e alla capacità di trattenere l’umidità ed è ideale per la produzione di bioplastiche (quelle ottenute dalla trasformazione di scarti vegetali).

 

Inoltre, si presta per la produzione di carta sottile e resistente, senza l’utilizzo di acidi durante la macerazione. Ma non è tutto: la canapa ha anche proprietà antiossidanti e antinfiammatorie e può essere utilizzata come alimento per il suo contenuto di proteine, fibre e acidi grassi essenziali.

 

In particolare, può contribuire a ridurre il colesterolo e a prevenire alcune malattie cardiovascolari.

 

La filiera del bambù

 

Il bambù è una pianta di origini asiatiche dalle mille risorse, può infatti interessare diversi settori: dal tessile alla cosmesi, dall’edilizia alla bioarchitettura.

 

Ma il bambù è anche un valido sostituto della plastica per realizzare oggetti d’uso quotidiano, oltre a rappresentare un’alternativa ecologica al legname: infatti, dagli scarti del bambù si ricava la segatura per i pellet.

 

Non va dimenticata, però, un’altra grande qualità del bambù: assorbe grandi quantità di CO2 e genera fino al 35% di ossigeno in più rispetto ad altre piantagioni. Ciò la rende una siepe perfetta per i centri urbani.

 

“La coltivazione del bambù non richiede particolari interventi, poiché la pianta è resistente a funghi e parassiti anche senza l’uso di pesticidi. Fatta eccezione per i primi anni di vita, non ha bisogno di molta acqua e cresce facilmente, aumentando la stabilità del terreno.

 

L’unica accortezza per chi decide di avviare un bambuseto è farsi consigliare in fase progettuale per non avere problemi in fase di impianto: la pianta tende a espandersi notevolmente sul terreno nel corso degli anni” ha spiegato Lorenzo Bar, presidente dell’Associazione italiana del bambù.

 

L’eclettismo e l’utilità del gelso

 

Il gelso è una pianta rustica che si adatta a vari ambienti, anche collinari o marginali. In alcune sue varietà può adattarsi anche a terreni anomali o servire per la fitodepurazione dei terreni.

 

La sua capacità di stoccaggio della CO2, inoltre, lo rende una pianta ideale da destinare ai parchi cittadini.

 

“In Italia, la filiera della gelsibachicoltura si era persa completamente (negli anni il settore si è spostato verso la Cina), quindi abbiamo soprattutto cercato di lavorare su un ristretto numero di agricoltori. Intanto, abbiamo avviato uno studio insieme alle aziende per assicurare la collocazione del prodotto a un prezzo adeguato. La filiera è ancora a livello di studio, ma la gelsicoltura ha moltissimi sbocchi: dalla produzione di seta per il tessile ad altri settori come quello cosmetico e biomedicale. La crisalide può essere destinata alla mangimistica, così come le more vengono utilizzate dall’industria alimentare. Foglie e legno, invece, sono sottoprodotti ideali per l’industria farmaceutica o per la zootecnia” ha spiegato a Myplant&Garden Silvia Cappellozza, dirigente di ricerca Crea.

 

Nell’ambito del progetto Horizon Aracne, che la Commissione europea ha appena approvato e di cui il Crea è capofila, si stanno recuperando i vecchi esemplari presenti sul territorio nazionale per ricominciare a fare gelseti e promuovere il gelso come risorsa di biodiversità agraria locale.

 

Un’iniziativa per ristabilire un itinerario europeo della seta certificato dal Consiglio d’Europa e con lo scopo di portare un turismo sostenibile in ambienti rurali.

 

Anche il dipartimento di biotecnologie dell’Università Bicocca di Milano, con la professoressa Laura Cipolla, sta collaborando al rilancio dei gelseti: l’ottica è quella di migliorare l’industria della seta senza scarti.

 

Rriscoprire e coltivare il luppolo in Italia

 

La pianta, nota per le proprietà amaricanti e antisettiche impartite alla birra, è stata recentemente inserita nell’elenco nazionale delle piante officinali coltivate e coltivabili in Italia, rendendola a tutti gli effetti una pianta a duplice attitudine brassicolo-officinale.

 

“Il numero di aziende agricole italiane impegnate nella produzione di luppolo – ha affermato Katya Carbone, primo ricercatore Crea, Olivicoltura, Frutticoltura e Agrumicoltura – è passato da 103 nel 2018 a 165 nel 2020, con un incremento della superficie coltivata di circa il 25% in tre anni, con Emilia-Romagna, Veneto e Lazio, regioni trainanti del settore produttivo (dati Agea)“.

 

La crescita è dovuta in gran parte al lavoro dei birrifici artigianali: il luppolo è impiegato per più del 90% nel settore brassicolo. Ma non solo: “il luppolo si presta a un approccio produttivo e di trasformazione circolare grazie alla ricchezza di composti bioattivi presenti anche nei materiali di scarto che possono essere destinati all’uso culinario“.

 

Ne è un esempio l’utilizzo della materia prima seconda per ottenere un’ottima nanocellulosa: in questo caso gli scarti del luppolo diventano un alleato nella funzionalizzazione dei rivestimenti edibili per allungare la shelf-life di un prodotto alimentare.

 

Lo studio del Crea ha dimostrato gli effetti di un film edibile con estratti di luppolo sulla conservazione di kiwi: a parità di modalità di conservazione, gli effetti positivi sono evidenti.

 

Tra le proposte per una gestione sostenibile della coltura, con un approccio circolare, Katya Carbone ha evidenziato l’uso delle foglie di luppolo – che rappresentano uno scarto della potatura – per la produzione di tisane.

 

“Ci siamo accorti che la presenza di composti polifenolici all’interno delle foglie di luppolo è superiore rispetto ai valori delle erbe secche come il the verde“.

 

Succulente, piante che riscuotono moltissimo interesse

 

“In Italia, solo in Liguria, se ne vendono 20 milioni all’anno. E il tasso annuo di crescita composto tra il 2022 e il 2028 sarà del 17,9%, con un trend in continuo sviluppo” ha spiegato Domenico Prisa, ricercatore del Crea Orticoltura e Florovivaismo di Pescia (Pt).

 

Oltre all’uso ornamentale, in crescita soprattutto in relazione al cambiamento climatico, le succulente hanno molteplici destinazioni.

 

“In particolare, mi sto occupando delle specie con un interesse edibile per stimolare le piante alla produzione di frutticoli per uso umano” ha spiegato Prisa.

 

Ma è notevole anche l’uso medicinale e cosmetico delle succulente, da cui si possono ricavare profumi e liquori, senza dimenticare le opportunità nel campo della bioedilizia e della produzione di biogas.

 

Dalle succulente, poi, derivano biofilm e mucillagini per produrre plastica biodegradabile e malta da restauro per la produzione di mobili, carta e lampade.

 

Inoltre, altri studi ne stanno approfondendo le proprietà di depurazione dell’aria e di biorisanamento. Tra i prodotti derivati dalle succulente spicca un repellente per gli insetti, adatto soprattutto al controllo di formiche, lumache e limacce.

 

Francesca Cutrone
 

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