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ISSUE
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rinnovabili.it
I rifiuti tessili sono un problema crescente per l’Unione Europea. Indumenti usati, scarpe, accessori: il volume degli scarti di abbigliamento (e non solo) continua a crescere e costituisce, secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, una delle sfide maggiori a livello comunitario.
L’AEA ha pubblicato sul tema il suo ultimo briefing, ‘Esportazioni UE di tessuti usati nell’economia circolare europea’, basato sull’analisi dettagliata prodotta dal Centro tematico europeo dell’economia circolare e dell’uso delle risorse dell’Agenzia stessa.
Entro il 2025 gli Stati membri dell’Unione dovranno essere in grado di raccogliere e differenziare i propri rifiuti tessili, superando i numerosi scogli oggi rappresentati dai limiti del sistema UE di riutilizzo e riciclaggio, che spinge a esportare grandi quantità di scarti verso l’Africa o l’Asia, secondo un’errata – o parziale – convinzione che si tratti sempre di operazioni utili innanzitutto ai luoghi destinatari dei flussi. Il documento spiega che, guardando a modelli e tendenze tra il 2000 e il 2019, una volta giunti a destinazione non sappiamo con certezza quale destino tocchi ai rifiuti tessili.
Il briefing mostra il modo in cui l’Europa ha fino a ora affrontato le sfide relative al riciclo dei rifiuti tessili e ribadisce quanto già affermato nella strategie UE sui tessuti sostenibili e circolari pubblicata a marzo 2022: la sfida legata alle esportazioni è una priorità e va affrontata con urgenza.
Negli ultimi vent’anni l’esportazione di tessili usati dall’Unione Europea è triplicata, passando dalle 550.000 tonnellate del 2000 alle quasi 1,7 milioni di tonnellate del 2019, anno nel quale abbiamo esportato la media di 3,8 chili di rifiuti tessili per ogni cittadino UE: il 25% dei 15 kg che usiamo ogni anno.
Sempre nel 2019, quasi la metà (il 46%) dei tessuti è stata esportata in Africa, dove i tessili sono stati utilizzati per lo più per il riutilizzo locale data l’alta domanda di vestiti economici usati. Tutto ciò che non era adatto o adattabile ai meccanismi di riutilizzo è finito in discarica o nei flussi di smaltimento informale. Un’altra parte sostanziosa dei nostri rifiuti tessili (il 41%) è stata invece esportata in Asia, in aree specificamente impegnate allo smistamento e alla rilavorazione, che li trasforma in stracci industriali o li riesporta per il riutilizzo, in altri paesi asiatici o in Africa.
Anche in questo caso, avverte l’Agenzia, è probabile che quanto non sia riciclato o esportato finisca in discarica.
Non sempre le fibre biologiche rappresentano un’alternativa sostenibile di un ciclo che prevede un ampio utilizzo della discarica come quello dello smaltimento di rifiuti tessili: secondo una nuova relazione tecnica del Centro tematico europeo per l’Economia Circolare e l’uso delle risorse, bisogna adottare un approccio di cautela. Le fibre biologiche hanno certamente un ruolo nella riduzione dell’utilizzo della plastica fossile ma possono generare altre pressioni ambientali, come il consumo d’acqua e di suolo, la deforestazione e il rilascio di microfibre, oltre che divenire in ogni caso dei rifiuti da inserire in un quadro di circolarità.
Photo: Alejo Reinoso
Rassegna del 3 Marzo, 2023 |
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