La Newsletter di ESO
ISSUE 387

In 60 anni triplicato il consumo di carne in Italia. 80 chili a persona ogni anno

Allevamenti intensivi responsabili dell’uso del 77% dei terreni agricoli, del 16,5% delle emissioni di gas serra. In Italia seconda causa di inquinamento da polveri sottili

greenreport.it

In 60 anni triplicato il consumo di carne in Italia. 80 chili a persona ogni anno

«Mangiare è una delle attività che riguarda da vicino ciascuno di noi e che ci coinvolge ogni giorno. In base alle scelte che facciamo sul cibo possiamo avere un grande impatto sia sulla nostra salute, che sull’ambiente e sulle specie animali». Per questo, da  26 febbraio al 2 marzo, il Wwf propone sui suoi canali social la Meat Free Week: una settimana senza carne e di azioni concrete e, da oggi e per tutta la settimana, invita tutti a «Fare ogni giorno un piccolo passo (o pasto) per tutelare la nostra salute e quella del Pianeta, promuovendo uno stile di vita sano e responsabile, che rifletta i valori di sostenibilità e salute»:

 

Il Wwf ricorda che «In Europa, più dell’80% della carne proviene da allevamenti intensivi, in Italia addirittura l’85% dei polli e oltre il 95% dei suini sono allevati intensivamente, e quasi tutte le vacche da latte non hanno accesso al pascolo libero. Numeri che rivelano impatti devastanti sull’ambiente, sulle specie animali e sul clima, e di conseguenza sulla nostra stessa salute. In Italia, infatti, si registra la maggiore resistenza agli antibiotici in Europa, proprio a causa dell’eccessivo utilizzo di medicinali veterinari negli allevamenti». Il tema è sempre più attuale, infatti, la scorsa settimana, una  coalizione di associazioni, il WWF ha presentato un testo di legge per rendere possibile una transizione ecologica del nostro comparto zootecnico, che metta al centro le piccole aziende e tuteli ambiente, salute umana, benessere animale, lavoratrici e lavoratori del settore.

 

Il Panda ricorda che «Gli allevamenti intensivi sono una delle principali cause del cambiamento climatico, responsabili del 16,5% delle emissioni globali di gas serra (cifra paragonabile agli effetti dell’intero settore dei trasporti, considerando treni, macchine, aerei e camion) e del 60% delle emissioni dell’intero settore agroalimentare. Gli allevamenti intensivi consumano risorse: fino al 10% dell’acqua dolce del Pianeta e fino al 30% delle terre non coperte dai ghiacci. Non è trascurabile anche la deforestazione provocata dall’aumento, a livello globale, della domanda di carne: il 60% delle foreste pluviali (in Amazzonia questa percentuale arriva al 70%) viene abbattuto proprio per ottenere pascoli e per coltivare grandi quantità di vegetali (soprattutto soia e cereali) destinati all’alimentazione animale.  Tutte cause non solo della perdita di habitat e specie selvatiche, ma anche dell’effetto serra responsabile del riscaldamento globale. Inoltre, gli allevamenti intensivi sono uno dei sistemi di produzione alimentare più crudeli che costringe gli animali a vivere tutta la vita in spazi sovraffollati, con luce artificiale o al buio e nessuna possibilità di mettere in atto comportamenti naturali».

 

Secondo il Wwf, «L’insostenibilità degli allevamenti intensivi è evidente anche dal punto di vista di efficienza nutrizionale: nonostante il 77% dei terreni agricoli mondiali sia dedicato all’allevamento, questi generano solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine totali consumate dalla popolazione mondiale. C’è poi il problema dell’antibiotico-resistenza che l’OMS ha recentemente definito “un’emergenza sanitaria globale”, confermato dalle statistiche che rivelano che in Europa si verificano oltre 10mila decessi l’anno per resistenza agli antibiotici. Un terzo di questi decessi avvengono proprio in Italia, un triste primato che probabilmente è dovuto anche all’alto numero di allevamenti presenti nella nostra nazione e dall’abuso che facciamo di questa tipologia di farmaci. Altra sostanza dannosa che gli allevamenti intensivi possono rilasciare nell’ambiente è il particolato atmosferico (principalmente ammoniaca proveniente dalle deiezioni degli animali), tanto che in Italia gli allevamenti sono addirittura la seconda causa di inquinamento da polveri sottili (PM)».

 

Per capire come siamo arrivati a questo punto bisogna considerare l’aumento della domanda che, in soli 60 anni, ha portato da un consumo di carne di 25 kg a testa a oltre 80 kg all’anno,. «Ne abbiamo praticamente più che triplicato il consumo – fa notare il Wwf – Tradotto in impatti sul clima, ogni italiano emette fino a 4,5 kg di CO2e solo con il consumo di carne, quasi il doppio di quanto previsto dalla Dieta Mediterranea (che genera invece solo 2,3 kg di CO2e pro capite). Il 60% dell’eccesso giornaliero di emissioni è dovuto proprio al consumo di carne. Sebbene, la principale dieta sostenibile codificata a livello planetario sia quella mediterranea – che soddisfa in pieno tutti gli aspetti di sostenibilità e tutela della salute – oggi solo il 13% degli italiani segue ancora questo tipo di dieta virtuosa, mentre la maggior parte, principalmente i giovani, ha incrementato notevolmente il consumo di proteine e grassi di origine animale a discapito dei prodotti a base vegetale (frutta, verdura, legumi, noci), assumendo così una quantità di proteine decisamente più elevata del reale fabbisogno giornaliero».

 

Eva Alessi, responsabile Sostenibilità del Wwf Italia, conclude: «Due terzi dei mammiferi del Pianeta sono quelli che mangiamo Un passaggio a diete a base vegetale sarebbe la vera chiave di volta per risolvere con un unico gesto i problemi ambientali e garantirci migliori condizioni di vita. Se si passasse a una dieta senza carne a livello globale si ridurrebbe del 76% l’uso del suolo legato all’alimentazione, del 49% le emissioni di gas serra legate all’alimentazione, del 49% l’eutrofizzazione (ossia l’eccesso di nutrienti, in particolare composti dell’azoto e del fosforo, nell’acqua e nel suolo) e del 35% l’uso di acqua blu e verde insieme. I benefici sarebbero inoltre anche sanitari: se la dieta vegetariana fosse adottata a livello mondiale entro il 2050, porterebbe a una riduzione della mortalità globale fino al 10%, evitando circa 7 milioni di morti all’anno, mentre il veganismo farebbe salire questa stima a 8 milioni. È studiato infatti che l’aspettativa di vita potrebbe aumentare fino a dieci anni in seguito al passaggio a diete più sane. Dunque, perché non provare!»

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