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Rassegna del 2 Maggio 2019
    

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Quel misterioso effetto “arctic browning


Le piante stressate dai cambiamenti climatici perdono il colore verde. Scoperto in Norvegia un fenomeno preoccupante: i vegetali sviluppano per difendersi dei pigmenti “bruni”, cambiando il loro l’aspetto ma assorbendo anche meno CO2. L’Arctic Browning arriverà sulle nostre montagne?

La temperatura mite fuori stagione le illude che sia primavera, così attenuano le difese dal freddo. È la confusione la trappola più pericolosa per le piante, ed è anche la causa dell’arctic browning, fenomeno potenzialmente disastroso per l’ecosistema artico scoperto recentemente da un’équipe di ricercatori sulle Isole Lofoten, nel Nord della Norvegia.

In condizioni di forte stress, come quello generato dalle temperature ingannevoli, le piante cambiano colore perché sviluppano gli antociani, pigmenti «difensivi» che le imbruniscono. Il problema non è estetico: le piante si modificano nel tentativo di sopravvivere al cambiamento climatico. E pagano un caro prezzo, dato che la loro capacità di assorbire l’anidride carbonica si riduce del 48%, risultando praticamente dimezzata.

Una piaga del tutto nuova 

Un problema nuovo, finora sconosciuto, che gli scienziati hanno scoperto raccogliendo per due anni dati sulla vegetazione delle isole norvegesi: l’arctic browning comporta conseguenze drammatiche sull’intero ecosistema. E non riguarda solo le isole Lofoten, ma affligge tutta la regione artica per svariati chilometri. «Il riscaldamento globale sta cambiando volto al paesaggio naturale artico – commenta Laura Stendardi, ricercatrice dell’Università di Bolzano, nel team di scienziati che hanno scoperto il fenomeno – È impressionante, da un anno all’altro abbiamo faticato a riconoscere i posti in cui eravamo stati. Lo studio si è concentrato sull’analisi della produttività degli ecosistemi nelle Lofoten, ma è solo il primo anello di una catena di conseguenze del cambiamento climatico».

La ricerca ha evidenziato come le temperature al di sopra dello zero durante l’inverno anche al di sopra del circolo polare artico, sottopongano le piante a condizioni di forte stress; a causa del caldo lo strato di ghiaccio e neve superficiale si scioglie e lasciandole esposte ai venti gelidi, senza possibilità di attingere all’acqua rinchiusa nel suolo, troppo duro.

Anche qualora l’imbrunimento fosse un fenomeno momentaneo, non si conoscono i tempi di un eventuale recupero, spiega Giustino Tonon, docente di Selvicoltura presso la Facoltà di Scienze e Tecnologie dell’Università di Bolzano: «Per quanto i cambiamenti siano rapidi e repentini, normalmente la vegetazione ha grosse capacità di adattamento. Il problema è sempre la scala temporale». Quello che invece è certo è che a causa dell’arctic browning la vegetazione artica non solo non ha un effetto tampone per l’assorbimento di CO2, ma potrebbe accelerare il cambiamento climatico. Come spiega Tonon, «la vegetazione può recuperare, ma una volta buttata l’anidride carbonica in atmosfera si produce un danno a livello climatico. Come quando tagliamo un ettaro di foresta».

Montagne alpine a rischio 

E dato che l’Artico è il termometro della salute del Pianeta, il fenomeno può espandersi e coinvolgere anche le nostre terre. Le zone d’alta montagna, ecosistemi fragili, presentano rischi simili: «La differenza tra Artico e regioni alpine – continua Tonon – è la quota; le fasce più elevate, dai 2000 metri in su, sono più a rischio. Questi fenomeni si stanno osservando non con la stessa intensità ma con gli stessi meccanismi». Insieme ad altri ricercatori di Eurac, Laura Stendardi sta lavorando a 2.700 metri di quota, in Val di Mazia, in Alto Adige-Sudtirolo, per monitorare la vegetazione d’alta montagna. Non è escluso che gli eventi climatici estremi possano portare a conseguenze simili a quelle delle isole Lofoten: «Non abbiamo ancora valutato la produttività di questi ecosistemi, ci aspettiamo comunque risposte simili all’arctic browning. Vorrei sottolineare – conclude la ricercatrice – che, anche se il fenomeno non si presenta direttamente da noi, riscontreremo comunque le conseguenze di un’accelerazione del cambiamento climatico negli ecosistemi fragili, come quelli delle nostre montagne».

 

Fonte: La stampa.it, 29 aprile 2019

 




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