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Rassegna del 14 Dicembre 2017
    

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Se il cibo scaduto si può mangiare


I cibi oltre la data consigliata spesso sono ancora commestibili. Una pratica che evita sprechi

Co-op, la cooperativa di consumatori britannici che ha come soci quattro milioni di persone, ha deciso di realizzare nei suoi supermercati una corsia speciale in cui venderà per un mese a prezzo molto scontato i cibi che hanno superato la data consigliata per il consumo. Le associazioni che si battono contro lo spreco di prodotti alimentari esultano: nel Regno Unito si butta via ogni anno la quantità record di 110 chili di cibo per abitante, più che negli Usa, che si fermano a 109. L’Italia non va però molto meglio, con 108 chili a testa. 

Da anni gli esperti indipendenti dell’industria alimentare denunciano le pessime abitudini dei produttori, che fanno scrivere su ogni confezione «Da consumarsi preferibilmente entro il…» La frase spaventa i consumatori, facendo loro pensare che ignorare il consiglio sia pericoloso. Questo avviso è una cosa ben diversa dalla data di scadenza, che va invece osservata con maggior rigore, e si ritiene che sia utilizzato con frequenza proprio per spingere la gente a buttare via cibo ancora buono per comprarne altro.

Alla Co-op britannica, le cui linee guida sono concordate con le sue migliaia di piccoli azionisti, hanno così deciso che i prodotti in scatola e i prodotti secchi, che non hanno praticamente scadenza, saranno venduti fino a un mese dopo la data indicata nella frase “… preferibilmente entro”. E’ solo l’inizio: molti altri prodotti che non scadono mai o che hanno proprietà di conservazione elevate raggiungeranno presto gli scaffali. 

L’elenco dei cibi da salvare potrebbe diventare molto lungo. L’ossessione per l’igiene alla quale siamo ormai abituati ci spinge infatti a gettare via molti prodotti che non hanno più un aspetto «fresco», anche se continuano a essere perfettamente commestibili. Consideriamo nemici tutti i batteri, mentre invece solo una piccola parte dei microrganismi che ingeriamo è pericolosa. La maggior parte serve alla digestione, a controllare le calorie che assorbiamo, a produrre enzimi e vitamine. Un po’ di crosta sul formaggio stagionato o una macchia scura su una banana non dovrebbero dunque spaventarci. 

Secondo i calcoli della Institution of Mechanical Engineers inglese, nel mondo vengono buttate via ogni anno 1,3 miliardi di tonnellate di cibo. La Fao pensa che siano un po’ meno, circa 630 milioni di tonnellate, una quantità comunque impressionante. Per produrre quel cibo si consuma l’acqua che scorre in un anno nel fiume Volga, si utilizzano 1,4 miliardi di ettari di terreno e si immettono nell’atmosfera 3,3 miliardi di tonnellate di CO2. L’Italia fa la sua parte con 20 milioni di tonnellate di cibo sprecato, per un valore di 8 miliardi di euro che potrebbero essere spesi meglio. Complessivamente, una quota fra il 30 e il 50% del cibo prodotto nel mondo occidentale viene buttata via e quella che finisce in pattumiera potrebbe da sola sfamare l’intera Africa sub-sahariana. 

La colpa è anche delle date di scadenza troppo rigide e delle promozioni che nei supermercati spingono la gente a comperare cibi di cui non ha bisogno. Ci sono poi le normative di conservazione, che complicano la procedura di trasferimento del cibo alle charity che potrebbero distribuirlo ai bisognosi. In Italia, una legge all’avanguardia chiamata “del Buon Samaritano”, approvata nel 2003 grazie alle insistenze della Fondazione Banco Alimentare, rende più facile raccogliere cibo. Ma perché le cose cambino davvero, tutto deve cominciare dalle famiglie, che dovrebbero ritrovare quello spirito nato durante la II guerra mondiale e trasmesso per un po’ alle generazioni successive, secondo il quale buttare il cibo non è solo un peccato: è proprio una stupidaggine.

 

Fonte: La Stampa, 6 dicembre 2017




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