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Rassegna del 4 ottobre 2018
    

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SEME DEL BUON ANTROPOCENE: A Parma nasce il jeans etico e sostenibile


La startup ideata da due giovani ricercatori realizza prodotti riciclati al 40%, con un processo che permette di risparmiare acqua ed energia. E coinvolge in un progetto di crescita professionale donne in situazioni di difficoltà

Non ha una fissa dimora, fa delle conchiglie vuote la propria casa e cambia la corazza in base alla crescita. Non poteva essere che il paguro, il crostaceo simbolo del riuso creativo e del riciclo, l’emblema del jeans italiano che punta tutto sulla sostenibilità ambientale e sociale. Nata a Parma dall’intuizione di due giovani amici - un fisico romano e un ingegnere messicano - la startup Pagurojeans punta a trasformare uno degli indumenti più amati dai ragazzi e non solo in un prodotto a vocazione “green”.

Tra le industrie più inquinanti al mondo, d’altronde, quella tessile occupa un poco onorevole secondo posto: per dare vita ai capi di abbigliamento occorrono grandi quantità di acqua, energia ed agenti chimici. Per un solo paio di jeans si utilizzano circa 8.000 litri di acqua, ai quali vanno aggiunti i pesticidi e i fertilizzanti utilizzati nella coltivazione del cotone, oltre all’energia consumata nella fase di trasporto. “Spesso non ce ne rendiamo conto - spiegano Andrea Scaparro e Guillermo Hernandez - ma quando buttiamo un vecchio jeans, stiamo buttando tutto questo”.

Il riuso e l’abbattimento dei consumi sono così diventati i due capisaldi del progetto. Pagurojeans ha chiuso un accordo con l’azienda milanese Italdenim e ha dato vita a una linea di tessuto 100% cotone, riciclato al 40%. “Utilizzando questo denim - sottolineano - consumiamo il 60% in meno di acqua ed il 40% in meno di energia rispetto allo stesso indumento prodotto in modo tradizionale”. Tutti gli elementi accessori come tasche, etichette e confezione esterna sono inoltre realizzati con cotone derivante da camicie riciclate.

E c’è di più: i clienti possono inviare alla società sono solo le misure, ma anche il proprio jeans preferito, e grazie a un algoritmo di loro invenzione i due ragazzi sono in grado di realizzarne una copia digitale, riducendo i metri di tessuto necessari per produrre ogni singolo capo. La startup si fonda insomma su un particolare connubio tra innovazione informatica e qualità artigianale, in netta controtendenza con il fenomeno imperante del “fast fashion” per il quale si compra un numero sempre maggiore di abiti a basso costo, per poi disfarsene in breve tempo ed acquistarne di nuovi. “Se un cliente decide di cederci il suo vecchio capo usurato, riusciamo ad ottenere già oggi il nostro obiettivo finale, che è quello di un prodotto riciclato al 100%”.

Sostenibilità ambientale dunque, ma non manca una forte attenzione al sociale e quindi al rispetto delle condizioni di lavoro, attraverso una filiera di produzione corta, etica e controllata. Questo perché “nel Mondo una persona su sei che lavora in questo settore non ha garantiti i più elementari diritti, e persistono i casi di manodopera infantile”. Il viaggio di ogni capo Pagurojeans è lungo appena 200 chilometri; parte da Inveruno (sede di Italdenim), passa da Carpi per lampo e bottoni e termina a Reggio Emilia, alla sartoria sociale Filo Rosa; qui lavorano donne in situazioni di difficoltà che, affiancate da esperti nel settore della moda, hanno intrapreso un progetto di crescita personale e professionale. Qualità artigiana, valorizzazione del riuso e riscatto sociale: la startup parmense dimostra che dietro a un semplice paio di jeans possono intrecciarsi tante belle storie.

 

Fonte: LA STAMPA, 28 settembre 2018




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