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Trasporto dei rifiuti da manutenzione: indispensabili veicoli autorizzati e formulari
Lo ricorda il Ministero dell’Ambiente, rispondendo a un quesito. Il riferimento interpretativo è costituito da una sentenza della Corte di Cassazione, che molti si ostinano a trascurare di Paolo Pipere, Consulente giuridico ambientale
I rifiuti prodotti dai manutentori nel corso dei loro interventi presso i clienti sono a tutti gli effetti rifiuti fin dal momento in cui vengono generati, nonostante la finzione giuridica - introdotta dall’articolo 266, comma 4, del D.Lgs. 152/2006 - secondo la quale: “I rifiuti provenienti da attività di manutenzione o assistenza sanitaria si considerano prodotti presso la sede o il domicilio del soggetto che svolge tali attività”. Lo riafferma, richiamando una sentenza della Corte di Cassazione Penale (sezione III, 10 maggio 2012, n. 17460) il ministero dell’Ambiente, rispondendo a un quesito posto da un Consorzio. In particolare, argomenta il ministero: «Per completezza trattandosi di interventi di manutenzione si rappresenta che al caso di specie possono trovare applicazione le disposizioni di cui all’articolo 266 del d.lgs. 152/06 il quale stabilisce che il luogo di produzione dei rifiuti da attività di manutenzione può coincidere con un luogo diverso rispetto a quello di effettiva origine. Ciò costituisce una fictio juris rispetto alla disciplina generale di cui all’articolo 183, comma 1, lettera bb) che fornisce precise indicazioni in merito al luogo di realizzazione del deposito temporaneo». Il deposito temporaneo, argomenta il ministero, “non viene ad essere realizzato presso il reale luogo di produzione del rifiuto (sede dell’intervento di manutenzione), bensì in quello giuridico (fittizio) rappresentato dalla sede o domicilio del soggetto che svolge tali attività. In quella sede verrà realizzato il deposito temporaneo, secondo le indicazioni di cui all’articolo 183, comma 1, lettera bb) del d.lgs.152/06, ma i rifiuti vi giungeranno nel rispetto della disciplina sul trasporto di cui all’articolo 193 del medesimo decreto, perché la movimentazione dal luogo effettivo di produzione al luogo giuridico di produzione del rifiuto avviene mediante trasporto su strada (Cassazione Penale sezione III 10 maggio 2012, n. 17460)”. Il dicastero dell’Ambiente conclude la risposta al quesito precisando che: «Pertanto, fermo restando quanto previsto dall’articolo 188-ter, tali rifiuti dovranno essere accompagnati durante la movimentazione dal formulario di identificazione dei rifiuti FIR oppure dalla copia cartacea della scheda di movimentazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), indicando, nella documentazione di trasporto, produttore del rifiuto, trasportatore e destinatario come coincidenti. Il registro di carico e scarico dovrà inoltre essere detenuto e conservato presso il luogo ove si realizza il deposito temporaneo. Infine, poiché il manutentore trasporta i rifiuti da se stesso prodotti deve essere iscritto all’Albo nazionale gestori ambientali, ai sensi dell’articolo 212 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.152, usufruendo eventualmente dell’iscrizione agevolata se soddisfa le condizioni di cui al comma 8 del summenzionato articolo 212». Una ricostruzione del tutto coerente con le ragioni che avevano spinto ad introdurre questa finzione giuridica fin dalla prima modifica del cosiddetto decreto Ronchi, il decreto legislativo 22/1997, e a confermarla anche nel decreto legislativo 152/2006, oggi vigente, che nella parte quarta disciplina la gestione dei rifiuti. L’obiettivo della semplificazione non è mai stato, infatti, quello di liberalizzare il trasporto dei rifiuti da manutenzione, consentendo che rifiuti speciali anche pericolosi, sia pure in quantità non superiori a 30 chilogrammi o litri al giorno, potessero essere trasportati senza alcun formulario da veicoli non iscritti all’Albo nazionale gestori ambientali, ma invece quello di evitare che i manutentori dovessero istituire e movimentare un registro di carico e scarico per ogni luogo di materiale produzione dei rifiuti che decadono dai loro interventi tecnici.
Interpretazioni fantasiose e illogiche Per anni una parte, ormai assolutamente minoritaria, della dottrina aveva sostenuto che i rifiuti si generassero “miracolosamente” solo in fase successiva al trasporto, cioè nell’unità locale del manutentore. Altri commentatori avevano ritenuto che il trasporto del rifiuto dal luogo di effettiva produzione a quello di deposito temporaneo si configurasse come “movimentazione nello spazio”, senza costituire trasporto. Altri ancora, infine, avevano illogicamente ritenuto che si trattasse di trasporto da effettuare con veicoli iscritti all’Albo nazionale gestori ambientali ma senza necessità di formulario, dimenticando che l’articolo 193, relativo ai formulari identificativi del rifiuto (FIR), non prevede alcuna esclusione per i trasporti abituali di rifiuti effettuati dal produttore dei medesimi.
L’interpretazione della Cassazione Vale la pena, quindi, non solo considerare le indicazioni del dicastero dell’Ambiente, ma soprattutto rileggere attentamente la sentenza della Cassazione: «non può affermarsi la decorrenza della gestione dei rifiuti in senso tecnico solo dopo l’inizio del deposito temporaneo: a) sia perché nulla è dato sapere circa l'effettiva osservanza delle prescrizioni imposte dalla legge per considerare legittima detta forma di deposito; b) sia perché non vi è stata movimentazione all'interno di uno stesso compendio nel luogo reale di produzione dei rifiuti, bensì trasferimento comportante instradamento da tale luogo a quello giuridico di produzione. In tale situazione il trasporto in sé va considerato già attività di gestione di rifiuti e per "rifiuto", ai sensi della normativa comunitaria e nazionale, deve intendersi qualsiasi sostanza od oggetto di cui il produttore o il detentore si disfi (o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi), restando irrilevante se ciò avvenga attraverso lo smaltimento del prodotto ovvero tramite il suo recupero».
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