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Rassegna del 24 Gennaio 2019
    

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A tavola nell'Antropocene


Poca carne, molta verdura e legumi: la dieta per sfamare 10 miliardi di persone

È necessario ripensare in modo radicale all'alimentazione globale, se vogliamo evitare milioni di morti e un impatto catastrofico sul Pianeta che ci sfama: è la conclusione di un importante (e già contestatissimo) studio pubblicato il 17 gennaio sul Lancet, a firma della EAT-Lancet Commission on Food, Planet, Health, che riunisce 37 esperti di agricoltura, nutrizione e cambiamenti climatici provenienti da tutto il mondo.

Attualmente, 820 milioni di persone non hanno cibo a sufficienza, mentre oltre 2 miliardi di persone sono obese o in sovrappeso, e l'incidenza globale di diabete è quasi raddoppiata negli ultimi 30 anni. Allo stesso tempo il settore della produzione alimentare è il singolo maggiore emettitore di gas serra, e principale fautore della perdita di biodiversità. Per nutrire i 10 miliardi di terrestri previsti per il 2050 i ricercatori suggeriscono una dieta... flexitariana: principalmente a base di verdura e legumi, ma che non disdegni ogni tanto proteine animali.

La tavola, ribaltata. Il nucleo dello studio è la proposta di un modello di alimentazione umana che contempli circa 2500 Kcal giornaliere, il dimezzamento della quantità media di zuccheri e carne rossa, e il raddoppiamento di quella di vegetali, legumi e frutta secca. Il cambiamento più evidente sarebbe nella quantità di carne rossa "permessa" - circa 7 grammi al giorno, fino a un massimo di 14 - in pratica un hamburger a settimana, che per la maggior parte dei Paesi occidentali vorrebbe dire una riduzione da cinque a dieci volte le porzioni medie attuali.

Un paio di porzioni di pesce e di pollo a settimana, poco più di un uovo ogni 7 giorni, e un bicchiere di latte al dì (250 g, o l'equivalente in peso di latte o formaggio): il resto del piatto andrebbe riempito di verdura, frutta, legumi, e pochissimi cereali o ortaggi amidacei, come la patata.

I benefici. Le linee guida tracciate chiederebbero una trasformazione globale - Europa e Stati Uniti dovrebbero ridurre il consumo di carne, l'Asia quello di pesce, l'Africa quello di verdure amidacee, come la manioca. Secondo i ricercatori, una simile rivoluzione nella dieta preverrebbe circa 11,6 milioni di morti precoci all'anno dovute a una cattiva alimentazione, ma ulteriori vantaggi verrebbero dall'impatto di questo stile di vita sull'ambiente.

Le risorse mangiate. L'uso di terre per la produzione di cibo è responsabile di un quarto delle emissioni globali di gas serra (più di quelle prodotte da treni, automobili e aerei in tutto il Pianeta).

Il settore dell'allevamento è responsabile, da solo, del 14,5-18 per cento dei gas serra prodotti da attività umane, mentre l'agricoltura è uno dei principali contributori al mondo di metano e ossidi d'azoto. Circa il 70% delle riserve mondiali d'acqua dolce è utilizzato per l'irrigazione dei campi o nella catena di produzione di cibo.

Per ottenere un kg di carne di manzo servono 5 kg di cereali, e quando una bistecca arriva in tavola, 30 grammi finiscono in pattumiera come scarto. Da qui l'intento dello studio di creare un modello produttivo e di consumo più rispettoso delle risorse che abbiamo, e che preveda un dimezzamento degli sprechi di cibo.

Le critiche.
Ma se le premesse della proposta sono condivisibili, la sua declinazione non ha mancato di suscitare critiche. I produttori di carne e latticini rivendicano il valore nutrizionale delle proteine animali e ritengono lo studio un diversivo, che sposta il problema sul settore alimentare senza occuparsi delle emissioni dovute a trasporti e settore energetico. Per questa categoria, il report attacca i principi base di regimi alimentari tradizionali e sani come la dieta mediterranea, e agricoltori e allevatori dovrebbero essere parte della soluzione, e non del problema.

Un'altra questione riguarda le riserve mondiali di fosforo, fondamentale per la produzione di fertilizzanti agricoli. Già oggi scarseggiano, e se dovessimo aumentare la produzione di ortaggi, non è detto che potremo contarci a lungo. Più terre da coltivare implicherebbero inoltre un maggiore utilizzo del suolo, deforestazione, ulteriori consumi idrici... insomma, sembra che ci troviamo stretti tra due fuochi, o molti di più.

 

Fonte: Focus, 22 gennaio 2019




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Rassegna del 24 Gennaio 2019
 
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