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Il rapporto annuale di Global Witness segna un nuovo, triste primato. Mai così tante le uccisioni dal 2012. Il 30% sono indigeni, colpiti in modo del tutto sproporzionato. E 7 attivisti su 10 lottavano contro la deforestazione. Il paese più pericoloso è la Colombia
Una strage silenziosa, poco appariscente, lontana dalle cronache. Eppure conta 20 morti ammazzati ogni mese, per un anno intero. Quattro cadaveri a settimana. In tutto sono 227, quelli contati dalla ong Global Witness. Stiamo parlando delle uccisioni di attivisti ambientali in tutto il mondo nel 2020. Numeri che consegnano un nuovo record assoluto all’anno della pandemia: mai fare campagne per la tutela del territorio e delle sue risorse naturali è stato così pericoloso.
“Con l’aggravarsi della crisi climatica, gli incendi boschivi infuriano in aree del pianeta, la siccità distrugge i terreni agricoli e le inondazioni provocano migliaia di morti, la situazione per le comunità in prima linea e per i difensori della terra sta peggiorando”, nota Global Witness, aggiungendo che la conta è molto probabilmente da intendere per difetto: sempre più restrizioni al giornalismo in molte aree del globo rendono difficile comunicare al mondo questi omicidi.
La strage degli attivisti ambientali è un affare globale. Il paese più pericoloso è la Colombia con 65 omicidi, seguita dal Messico con 30 e poi Filippine (29) e Brasile (20). Un morto anche per il Canada, l’Iraq e Kiribati, 2 uccisioni in Sudafrica e Tailandia. Honduras, Guatemala e Nicaragua restano ai posti alti della classifica con 17, 13 e 12 assassinii rispettivamente.
L’America Latina è il continente dove le lotte ambientali pagano il prezzo più alto: 7 dei primi 10 paesi della lista si trovano qui. E il 75% degli omicidi avviene nelle Americhe. È la battaglia contro la deforestazione a costare la vita agli attivisti ambientali più spesso: quasi il 70% delle morti ricade in questo ambito. Percentuale confermata da quella delle morti che sono state registrate nell’area del bacino dell’Amazzonia di Brasile e Perù: il 75%.
Anche quest’anno, il rapporto di Global Witness conferma che le comunità indigene continuano a patire un numero del tutto sproporzionato di attacchi rispetto alla loro popolazione. Infatti, un assassinio su 3 riguarda attivisti indigeni.
“Un giorno, speriamo di segnalare la fine della violenza contro coloro che difendono il nostro pianeta e la loro terra, ma finché i governi non prenderanno sul serio la protezione dei difensori e le aziende inizieranno a mettere le persone e il pianeta prima del profitto, sia il crollo climatico che le uccisioni continueranno”, spiega Chris Madden di Global Witness. “Questi dati sono un altro duro promemoria del fatto che combattere la crisi climatica comporta un onere insopportabile per alcuni, che rischiano la vita per salvare le foreste, i fiumi e le biosfere che sono essenziali per contrastare l’insostenibile riscaldamento globale. Questo deve finire”.
Photo: Randall Billings
Rassegna del 17 Settembre, 2021 |
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