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Cosa dobbiamo fare per salvare la biodiversità ed evitare che il pianeta vada incontro alla sesta estinzione di massa – che secondo alcuni studi è già corso? Non esiste una risposta univoca a questa domanda, ed è proprio questo il problema con tutte le nostre strategie di conservazione: sono troppo semplici e non tengono conto della complessità della questione. È la tesi che sta alla base di questo documento pubblicato dalla Convention of Biological Diversity (CBD), una sorta di antipasto di tutto quello che verrà presentato in aprile in Cina, alla quindicesima conferenza delle parti organizzata dalla CBD.
Cos'è la CBD
Stabilito nel 1992 durante l'Earth Summit di Rio de Janeiro e firmata da 196 Paesi del mondo (tra i pochissimi non firmatari ci sono anche gli Stati Uniti), la Convention of Biological Diversity è un trattato multilaterale che impegna tutti i partecipanti a lavorare per preservare la biodiversità, la sostenibilità e una più equa distribuzione delle risorse nel mondo. Per ora la CBD si è riunita 14 volte in altrettanti eventi chiamati Conference of the Parties, in breve COP - da non confondere con le altre COP che si sono tenute in questi anni, per esempio quelle del Protocollo di Kyoto o quelle della Convenzione quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici, la cui prossima edizione, la COP27, si terrà a novembre di quest'anno. Quella della CBD è la quindicesima riunione della sua storia (COP15, quindi), e originariamente si sarebbe dovuta tenere nel 2019. La pandemia ha ovviamente costretto a diversi rinvii: la nuova data è fissata per il prossimo 25 aprile. Il documento pubblicato in questi giorni non è ancora quello che sarà presentato a Kunming, in Cina, ma una sua sintesi, che è già stata spedita alle istituzioni dei Paesi membri della CBD e che contiene una serie di linee guida su come affrontare la sfida della conservazione della biodiversità.
Agire ora
Il documento si può sintetizzare in questo modo: le nostre attuali strategie di conservazione non sono sufficienti. Come spiegato da Lynne Shannon, docente all'università di Cape Town e presidente di bioDISCOVERY (uno dei due gruppi di ricerca che hanno lavorato alla stesura del documento), «non c'è un rapporto diretto tra la singola azione e il singolo obiettivo, le relazioni sono complesse». In altre parole, questo significa che non basta istituire un'area protetta per preservarne la fauna, e soprattutto che non si può pensare di agire solo a livello locale: è necessaria coordinazione internazionale, sia in termini di azioni concrete sia di monitoraggio. Quest'ultimo in particolare è un punto dolente: la maggior parte dei dati a nostra disposizione relativi alla biodiversità sul pianeta sono stati raccolti in Paesi sviluppati e nelle vicinanze di strade o insediamenti; più in generale, meno del 7% della superficie terrestre è attualmente monitorata.
Secondo Paul Leadley, ex presidente di bioDISCOVERY, «i governi mondiali faticano ancora a capire quanto profondi siano i cambiamenti che ci attendono, e a volte sembra che non vogliano neanche pensarci». La COP15 di quest'anno sarà quindi anche un'occasione per un nuovo, ennesimo ultimatum. Non a caso, l'ultima (ma non ultima) delle indicazioni contenute nel documento inizia con due semplici parole: "Act now", agire ora.
Gabriele Ferrari
Rassegna del 4 Febbraio, 2022 |
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