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ISSUE 349

Ci entrerà il mare in casa - di Sofia Spagnoli

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Ci entrerà il mare in casa - di Sofia Spagnoli

Ci entrerà il mare in casa. Ogni doccia dovrà essere celere e una bibita costerà meno di una bottiglietta d’acqua. Le aiuole non saranno più rigogliose di fiori colorati, perché quell’acqua verrà impiegata per attività più essenziali. Ne uscirà sconfitta anche la nostra cultura gastronomica, perché meno acqua significa meno varietà. L’acqua diverrà a tutti gli effetti un bene di lusso. Tante volte l’abbiamo data per scontata, sperperata, non ne abbiamo compreso il valore, ma ora, l’unico patrimonio che non era mai mancato al Bel Paese, sta iniziando a scarseggiare. L’oro blu ha voce fioca e lo spettro del razionamento idrico sembra sempre più vicino.

Il paradosso è che la crisi idrica stia avvenendo proprio in Italia, un paese che per la propria conformazione geografica, è ricco d’acqua. Abbiamo più piogge e più corsi d’acqua di ogni altro paese europeo: 1242 fiumi e 342 laghi. Anche le piogge medie sono superiori al resto del continente: in contrasto con l’immaginario comune, a Roma piovono ogni anno in media 800 millimetri di pioggia, a Londra 760. Ma ad oggi un numero consistente di fiumi è ridotto a polvere. Questo dipende anche dalla natura stessa dei corsi d’acqua italiani, che sono per lo più torrentizi, ciò significa che la loro portata è molto variabile nel corso dell'anno, perché il loro flusso dipende dalla frequenza delle precipitazioni, che ad oggi sono irrisorie.

 

Così la scarsità idrica, che prima caratterizzava solo il Sud Italia, non è un più un fenomeno circoscritto, ma endemico, che sta prendendo piede sull’intero territorio. Il Trentino, regione in cui l’acqua non è certamente mai scarseggiata, sta subendo gli effetti del cambiamento in atto. La tragedia della Marmolada parla chiaro e mette in evidenza come l’ecosistema alpino stia cambiando radicalmente. Anche la grande sete del Po, ci esplicita il dovere di cambiare le nostre abitudini ambientali. La siccità che sta mettendo in ginocchio l’agricoltura delle regioni con cui confina il fiume, è il risultato della desertificazione in atto nella penisola, che coinvolge circa il 20% del territorio nazionale con un picco del 70% per quanto riguarda la Sicilia.

 

La crisi idrica in atto non viene però tamponata e attutita nel modo giusto. La politica italiana resta vicina alle missioni ambientali di qualche decennio fa, e questa visione vetusta traspare nelle stesse mission del Pnrr legate alla rivoluzione verde e la transizione ecologica. Si parla di rifiuti, si parla di idrogeno, si parla di innovazione e meccanizzazione del settore agricolo, ma l’acqua non viene mai contemplata. Nel Pnrr non si parla di crisi idrica e desertificazione, perché il Piano resta legato a progetti vecchi, dimostrandosi poco lungimirante. Adottare un approccio pragmatico, che non sia basato soltanto sull’ hic et nunc ma che abbia uno sguardo più ampio sull’orizzonte del futuro, si dimostra essere l’unica chiave risolutrice. La siccità rischia, infatti, di passare dall’essere una crisi saltuaria a una problematica cronica. A livello mondiale oggigiorno colpisce già 1,5 miliardi di persone, con stime delle Nazioni Unite che prevedono che nel 2030 il 47% della popolazione vivrà in condizioni di stress idrico.

 

Ma l’Intelligente e perspicace prontezza nell'intuire e valutare una situazione con una certa avvedutezza, può offrire delle soluzioni che contrastino tale tendenza: rendere potabile l’acqua marina, per mezzo dei dissalatori è una soluzione pratica, lungimirante e amica del futuro. Questa tecnologia è ormai consolidata e diffusa in diverse parti del mondo, ma in Italia la produzione di acqua dissalata è oggi solo lo 0,1% del prelievo di acqua dolce. Lo sviluppo dei dissalatori è stato finora limitato a impianti di dimensioni medio-piccole, che si trovano prevalentemente in Sicilia, Toscana e Lazio.

 

Anche il potenziamento del riutilizzo dell’acqua piovana – che ad oggi si attesta all’11% – e la ristrutturazione della rete idrica nazionale, sono soluzioni ottimali. Del viaggio seguito dall’oro blu conosciamo solo il segmento finale, quello dell’acqua che arriva ai nostri rubinetti. Ma nei 600 mila km di rete idrica italiana noi perdiamo il 42% di acqua. Se riflettiamo poi sugli strumenti utilizzati nel comparto agricolo, settore che più dipende e più consuma acqua (circa il 70% del totale), risulta necessario trovare soluzioni che vadano a sostituire l’irrigazione a pioggia. Si tratta di una tecnica particolarmente usata nel Nord Italia, zona in cui l’acqua negli anni passati non è certamente mai mancata. La pioggia artificiale cade in modo indistinto su tutto il terreno, comportando un grande dispendio idrico. Al contrario l’irrigazione a goccia, pratica più individualizzata, consente di bagnare il terreno solo in prossimità della pianta, evitando un uso sconsiderato d’acqua.

 

Le soluzioni esistono, ma come spesso accade nel nostro paese, manca una visione che sia a lungo termine. A pagarne le conseguenze saremo noi, generazioni più giovani, che ci ritroveremo ad affrontare un problema troppo grande e insidioso, che a quel punto sarà già alla deriva. Servono ora investimenti, progetti, che abbiano il coraggio di attuare un cambiamento paradigmatico, che siano pronti a mettere in discussione ciò che si è sempre fatto. Ma ciò che più urge è concordia, una visione che sia comune, che muova le persone verso una stessa direzione, in funzione del bene altrui. La soluzione ancora una volta è l’empatia. “En” e “pathos” ossia, “dentro al sentimento altrui”, dobbiamo fare questo, metterci nei panni di chi vedrà il mondo dopo di noi. Come ci piacerebbe presentare loro la signora terra? O Come noi l’avremmo voluta trovare? Di certo con più acqua, più colore, meno ingiustizia, meno divari economici e più rispetto per le persone e per la terra su cui viviamo.

 

Sofia Spagnoli
Studentessa di giornalismo e collaboratrice esterna per testate giornalistiche

 

Photo: Arek Socha

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