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ISSUE 384

In Senegal la baia di Hann è diventata una discarica

repubblica.it

In Senegal la baia di Hann è diventata una discarica

Era uno dei luoghi incontaminati dell'Africa, oggi lo sviluppo industriale del Paese lo ha stravolto. Un disastro alle porte di Dakar ambientale e umano: oltre ai problemi di salute la popolazione vede sparire la fonte primaria del reddito, la pesca. Il progetto di risanamento bloccato da anni.

 

 

Il nome Baia di Hann in Senegal un tempo evocava un luogo incontaminato, una lunga spiaggia su cui si affacciavano villaggi di pescatori. Oggi, quella che era considerata una delle insenature tra le più belle dell'Africa occidentale, non esiste più. Negli ultimi due decenni la baia a 20 chilometri dal porto di Dakar è diventata il centro dello sviluppo industriale del Paese trasformandosi nel polo produttivo di almeno l'80% delle imprese menufatturiere senegalesi. Liquami grezzi e sostanze chimiche invadono spiaggia e oceano tappezzando la sabbia di plastica e di scarti di ogni genere. Un disastro ambientale e umano. Perché, oltre alla diffusione di patologie gravi della pelle e della respirazione, a causa dell'alto livello di contaminazione del mare sta venendo meno la fonte primaria di reddito: la pesca. 

 

Il governo promette da oltre vent'anni di bonificare la baia di Hann. Un progetto di risanamento lanciato nel 2018 con il sostegno finanziario sia dell'Agenzia francese per lo sviluppo, sia di Invest International, della Banca cinese per lo sviluppo (CDB) e dell'Unione europea è però in fase di stallo. L'Office national de l'assainissement (ONAS) ha appena annunciato la ripresa dei lavori che erano stati interrotti per mesi. Gli abitanti implorano da tempo un cambiamento. In alcuni punti è quasi impossibile vedere la sabbia sotto i rifiuti. A intervalli regolari di qualche centinaio di metri i tubi delle acque reflue si riversano in mare, rosso sangue dal mattatoio, nero dalle industrie chimiche e dalla conceria Senta. 

 

Il ricercatore Amidou Sonko, che lavora per l'Institut de recherche pour le développement (IRD), ha dimostrato l'"alta tossicità" del sito. Le sue analisi mostrano concentrazioni di batteri Escherichia Coli (E. Coli) da 13 a 100 volte superiori al limite autorizzato e la presenza di salmonella. Ha inoltre osservato quantità di enterococchi, microplastiche, alluminio, cromo e zinco di gran lunga superiori agli standard. Si tratta di minacce per la pelle, i polmoni e gli occhi dell'uomo, ma anche per la biodiversità. Lo sviluppo di alcune specie è compromesso in questo luogo naturale di riproduzione dei pesci. "Eppure, nessuno può impedire ai bambini di nuotare qui", lamenta Mbacké Seck, che da oltre 25 anni si batte per la bonifica dell'inquinamento. "Non capiamo il ritardo. La necessità c'è, i soldi ci sono. L'impatto negativo sulla nostra vita quotidiana è evidente. Cosa impedisce a questo progetto di andare avanti?". 

 

Sospesi i lavori per l'impianto di trattamento delle acque

 

Il gruppo francese Suez sta costruendo un impianto di trattamento delle acque reflue sulla costa che dovrebbe trattare 26mila metri cubi al giorno per 500mila abitanti. Secondo l'AFD, uno dei principali finanziatori, dovrebbe entrare in funzione all'inizio del 2025. Ma il resto dei lavori è stato sospeso per più di un anno e mezzo a causa del fallimento della società incaricata di posare la tubatura principale che collega l'area portuale all'impianto di trattamento, spiega Alassane Dieng, coordinatore del progetto presso l'ONAS.

 

"La grande difficoltà è convincere le industrie a partecipare", afferma Dieng, nonostante occupino il 63% dell'area urbana, secondo uno studio di impatto del 2018. Saranno collegate alla rete a condizione che installino unità di pretrattamento e paghino una tariffa industriale. Se non rispetteranno le regole, è prevista una tassa sull'inquinamento "molto dissuasiva", molto più alta di quella in vigore oggi, afferma. Alassane Dieng promette che l'intero progetto, con un costo totale di circa 95 miliardi di franchi CFA (145 milioni di euro), sarà completato entro la fine del 2025.

 

L'appello del Papa per l'Africa

 

Di fronte a tutto questo, risuona ancora più forte il grido lanciato da papa Francesco durante il suo viaggio apostolico nella Repubblica Democratica del Congo, lo scorso gennaio: "Giù le mani dall'Africa! - ha invocato il Pontefice, deplorando il "colonialismo economico". "Basta soffocare l'Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare. L'Africa, sorriso e speranza del mondo, conti di più e sia protagonista del suo destino".

 

Fiammetta Cupellaro

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