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ISSUE 393

Meno merluzzo e tonno: perché mettere nel piatto un pesce diverso dai soliti aiuta il Pianeta

Replicare le stesse scelte alimentari aggrava pesca eccessiva, allevamenti ad alta intensità, emissioni di gas serra, rifiuti ittici. Ma basta portare in tavola altre varietà di pescato per avere un'alimentazione diversificata e sostenibile

repubblica.it

Meno merluzzo e tonno: perché mettere nel piatto un pesce diverso dai soliti aiuta il Pianeta

Muggine arrosto o alla brace per chi ci tiene alla linea. Oppure palamita al forno per chi ama i sapori decisi. O, ancora, moli fritti, croccanti e saporiti, per i più golosi. Pesci che, oltre a essere una delizia per il palato, sono sostenibili per il pianeta. Ma pochi di noi li conoscono e pochissimi li portano in tavola, preferendo optare per le solite varietà di pescato.

 

Le cinque specie più popolari

 

Nell'Unione europea, secondo Eit Food, cinque specie (merluzzo, merluzzo giallo, salmone, tonno, gamberi) rappresentano da sole ben il 44% del consumo. Negli Stati Uniti, a queste si aggiungono tilapia, vongole, pesce gatto: otto specie che costituiscono il 76% del pesce consumato.

 

Nel Mediterraneo vivono oltre 500 tipi di pesci, ma solo una ventina rientra tra gli acquisti abituali dei consumatori.

 

Emblematico ciò che accade nel Regno Unito. Nonostante ci siano più di 300 specie di pesce nelle acque costiere, quelli che gli inglesi consumano si contano sulle dita di una mano. Secondo Seafish, l'ente pubblico britannico che sostiene l'industria ittica, i big five costituiscono il 62% del totale. Il Marine Stewardship Council stima che il loro consumo possa sfiorare addirittura l'80%, includendo le porzioni servite nei ristoranti e nei negozi di fish&chips. Comunque sia, la maggior parte del pesce consumato sull'isola viene importato, mentre quello pescato nelle acque inglesi viene venduto all'estero.

 

La comodità prima di tutto

 

Alla base di queste scelte ripetitive ci sarebbero soprattutto ragioni commerciali. "L'omogeneizzazione dell'alimentazione, soprattutto per quanto riguarda i prodotti del mare, è probabilmente causata dalla nostra eccessiva dipendenza dai supermercati", sostiene Jack Clarke, seafood engagement manager della Marine Conservation Society. Le grandi catene devono, infatti, garantire forniture consistenti di pesci facili da lavorare e veloci da preparare, il che fa propendere per una limitata varietà, con predilezione per le specie più grandi. I consumatori preferiscono un bel filetto senza lische rispetto a decine di piccoli pesci da diliscare.

 

Gamberi a basso costo

 

Comodità, quindi, ma non solo. Anche la pretesa di mangiare di continuo pesci considerati di qualità, come i gamberi, senza spendere troppo. Negli Stati Uniti questi crostacei costituiscono oltre il 30% del consumo ittico annuale: circa il 90% viene importato da Paesi come Indonesia e India, dove il loro allevamento è stato correlato ad abusi di manodopera e alla distruzione delle mangrovie.

 

Un'altra specie particolarmente apprezzata è il salmone norvegese, ormai onnipresente a livello globale. Basti pensare che, fino ad alcuni decenni fa, questo tipo di pesce non veniva utilizzato in Giappone per la preparazione del sushi. Ora, invece, lo si trova ovunque, arrotolato con riso, alghe, avocado.

 

Dalla pesca eccessiva alle emissioniUn menù selettivo alimenta, però, vari problemi, a cominciare dalla pesca eccessiva di determinate specie. Secondo un recente report delle Nazioni Unite, infatti, i Paesi che pescano a livelli biologicamente insostenibili sono in aumento in tutto il mondo. Una criticità a cui si sommano allevamenti ad alta intensità, emissioni di gas serra, rifiuti ittici.

 

Per questo, nella scelta di quale pesce mettere nel piatto occorre tenere conto di vari fattori: tipo di pesca o di acquacoltura, importazioni ed esportazioni, impatto sul contesto locale, spreco di pescato, diritti dei lavoratori, sussistenza dei pescatori. "Se selezionato e consumato con attenzione, il pesce può essere molto sostenibile, soprattutto se paragonato ad altri alimenti di origine animale terrestre", afferma Jessica Gephart, docente alla Scuola di scienze acquatiche e della pesca dell'Università di Washington, negli Stati Uniti.

 

L'idea virtuosa di Itticosostenibile

 

Per andare verso una maggiore sostenibilità è, dunque, necessario che gli acquirenti abbandonino le abitudini dettate dalla pigrizia per abbracciare nuovi sapori e qualche sperimentazione culinaria. "Chi volesse un'alternativa al salmone può provare la trota d'allevamento, che presenta meno problemi di inquinamento e utilizza meno pesce nel mangime", suggerisce Clarke. "Ed è davvero gustosa, oltre che semplice da cucinare". Il consiglio è anche quello di orientarsi verso specie di taglia più piccola, come sardine e acciughe, che possono essere consumate intere, contribuendo così a contrastare gli sprechi. Ottima scelta anche le cozze, che hanno un basso impatto ambientale e livelli proteici simili a quelli della carne bovina.

 

In Veneto, a Mestre, ha aperto i battenti nel 2018 Itticosostenibile, una pescheria 2.0 il cui intento sta già nel nome. Al banco si possono trovare boseghe, volpine, ghiozzi di laguna, ma anche cefali e tonni alletterati. "Ogni prodotto ha un'etichetta in cui un semaforo di vari colori indica il grado di sostenibilità", spiega Federico Riccato, fondatore della bottega, oltre che esperto di monitoraggio ambientale ed ecologo della pesca. "Vogliamo che il consumatore sia consapevole di ciò che sceglie". Oggi, grazie ai Gruppi di acquisto, il pesce di Itticosostenibile arriva sulle tavole di tutto il Nord Italia. Forse i venti, anzi le onde, stanno iniziando a cambiare. 

 

Paola Arosio

 

 

Photo: congerdesign

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