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È di nuovo il 5 giugno, una data che le Nazioni Unite hanno scelto come Giornata mondiale dell’ambiente. Una ricorrenza che non passa inosservata, considerata l’incredibile quantità e varietà di eventi, appuntamenti, festival, campagne di sensibilizzazione. Tutte iniziative necessarie e ben accette, purché contribuiscano a un reale cambio di passo.
Giornata mondiale dell’ambiente: storia, obiettivi e tema 2025
Se oggi è usuale sentir parlare della tutela del Pianeta, non si poteva dire altrettanto a dicembre 1972, quando l’Assemblea generale delle Nazioni Unite scelse il 5 giugno per celebrare la Giornata mondiale dell’ambiente. La data corrispondeva all’inizio della Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, tenutasi pochi mesi prima. Nello stesso periodo nasceva il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep). La prima edizione si tenne l’anno successivo, con lo slogan Only one Earth (solo una Terra). Di anno in anno, infatti, la ricorrenza è stata dedicata a un tema specifico, con l’obiettivo di consolidare la consapevolezza collettiva. Oggi la Giornata mondiale dell’ambiente riscuote una partecipazione enorme e trasversale, con migliaia di eventi di ogni genere in oltre 150 Paesi.
L’argomento di quest’anno è la lotta contro l’inquinamento da plastica. Un’emergenza tanto acclarata quanto lontanissima da una soluzione. Le Nazioni Unite riferiscono che la produzione globale di plastica si aggira attorno ai 430 milioni di tonnellate all’anno: per i due terzi è destinata a prodotti con un ciclo di vita brevissimo, come gli imballaggi e gli articoli monouso. Il riciclo è un rimedio molto parziale, perché si stima che risulti economicamente percorribile soltanto per il 21% del totale della plastica. E la percentuale che ad oggi viene effettivamente riciclata si ferma al 9%. Anche di questo si discuterà ad agosto, nella città svizzera di Ginevra, nel tentativo di riprendere le fila dei negoziati – rivelatisi finora fallimentari – per un Trattato globale sull’inquinamento da plastica.
Finanza e ambiente: le responsabilità dalla plastica al clima
L’industria della plastica è così fiorente anche perché è alimentata dai finanziamenti delle banche. Esiste uno strumento, chiamato Plastic Banks Tracker, che cerca di capire se e quanto 20 grandi istituti di credito abbiano maturato consapevolezza su questo tema e abbiano elaborato policy specifiche. Anche per via della severa metodologia applicata, il risultato è desolante: su una scala da zero a cento, la tedesca Pro Credit Group spicca – si fa per dire – con 56 punti. Segue, a quota 36, l’olandese Ing Group. Tutte le altre sono al di sotto degli 8 punti.
D’altra parte, la plastica è un derivato dei combustibili fossili, settore a cui le sessanta maggiori banche internazionali hanno elargito la vertiginosa cifra di 6.900 miliardi di dollari dal 2016 al 2023. Vale a dire dopo la firma dell’Accordo di Parigi sul clima. A rivelarlo è Banking on Climate Chaos, lo studio più completo e autorevole sul tema. Altrettanto pesanti le responsabilità dei fondi di investimento che continuano a detenere i titoli fossili nei propri portafogli. In alcuni casi, nemmeno l’attributo Esg (che dovrebbe contraddistinguere l’attenzione ad ambiente, società e governance) è una garanzia.
Insomma, le molteplici crisi ambientali a cui assistiamo sono così imponenti anche perché i grandi attori finanziari non hanno fatto nulla per risolverle, preferendo gonfiare i propri profitti nel breve termine. Ben vengano dunque le iniziative di sensibilizzazione. Ben venga l’impegno individuale per mangiare, viaggiare, vestirsi, abitare in modo più sostenibile. Per un cambiamento di sistema, però, il contributo della finanza è indispensabile.
Valentina Neri
photo: jcomp on freepik.com
Rassegna del 07 Giugno, 2025 |
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