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Rassegna del 25 Gennaio 2018
    

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Il mondo salvato dagli spazzini


“Qui, ogni giorno, lavoriamo insieme”. Almir ha il volto scavato, un berretto blu in testa e le idee molto chiare: quando durante una video-intervista (Südwind, 2015) gli chiedono di raccontare cosa fa la cooperativa di catadores (raccoglitori di immondizia) Coopmare di San Paolo, spiega come la vita di migliaia di persone è cambiata perché hanno smesso di lavorare da soli.

Coopamare – Cooperativa dos Catadores Autônomos de Papel, Aparas e Materiais Reaproveitáveis – è una delle esperienze più importanti di raccolta di rifiuti riciclabili dell’America latina. Nata a San Paolo trent’anni fa su spinta dell’organizzazione non governativa di ispirazione cristiana OAF (Organização de Auxilio Fraterno), ha riunito persone senzatetto che già autonomamente svolgevano un lavoro di raccolta di rifiuti e riciclaggio.

Il rifiuto di un’assistenza dall’alto

Il problema centrale di questi lavoratori, poveri e senzatetto, naturalmente era, ed è ancora in molti casi, la mancanza di capitali da investire. Capitali non solo finanziari, ma anche sociali e culturali. L’organizzazione collettiva nella forma della cooperativa, basata su principi di solidarietà e democrazia interne, ha permesso creare relazioni sociali diverse all’interno ma anche di ricevere sostegni da agenzie statali e organizzazioni non governative dall’esterno, come una sede, camion, una pressa per comprimere i rifiuti differenziati. Tuttavia, il cuore di questa esperienza resta la totale autogestione dei lavoratori e delle lavoratrici, il loro rifiuto di un’assistenza paternalistica dall’alto, il loro desiderio di riprendere in mano la propria vita.

La questione della sopravvivenza è una delle ragioni forti che portano molte persone a questo lavoro, dal momento che i catadores non sono accettati dal mercato del lavoro, finiscono per essere esclusi dalla società e restare “vite di scarto” (Bauman, 2005). Per questo, uno degli obiettivi di Coopamare, messa su inizialmente con un gruppo di venti spazzini, è rendere i raccoglitori, ma anche la società e le istituzioni, consapevoli dell’importanza di questo mestiere.

Molti catadores in questi anni sono stati in grado di migliorare la loro qualità di vita e di trovare un tetto, altri continuano a vivere in strada ma attraverso Coopamare possono soddisfare i loro bisogni di base come lavarsi, mangiare, studiare. Tutti hanno la possibilità di ricostruire relazioni di solidarietà, cooperazione e affetto.

Inoltre, a causa dell’esplosione del problema dei rifiuti, comune a tutte le grandi città del mondo, ong, istituzioni e perfino imprese sono state costrette ad ascoltare il loro punto di vista. Pur non essendo il loro principale obiettivo, resta sorprendente come nel giro di pochi anni i catadores sono stati in grado di incidere anche nelle leggi dello Stato brasiliano. Di certo, nella maggior parte delle metropoli di tutto il mondo, come racconta in un interessante reportage da Città del Messico Pietro Luppi, “il sistema di raccolta dei rifiuti si regge, sia dal punto di vista logistico che economico, in base a meccanismi non ufficiali che nel corso degli anni hanno raggiunto la perfezione di un orologio” (Luppi, 2012).

Cosa significa autogestione collettiva?

L’attività quotidiana di Coopamare consiste nella raccolta di rifiuti riciclabili nelle strade di San Paolo (tramite i raccoglitori, che lavorano in autonomia), differenziazione, compressione (con una pressa), immagazzinamento e vendita ad altre compagnie capaci di processare il materiale. Il logo scelto dai lavoratori per la cooperativa è un omino che trascina un carretto carico di oggetti recuperati.

Ma cosa significa che l’autogestione della cooperativa è collettiva? Ad esempio che tutti hanno la stessa paga oraria, inclusi coloro che non lavorano direttamente con i rifiuti, come i lavoratori del servizio di guardiania e quelli dell’amministrazione. L’organo sovrano è l’assemblea, che si riunisce almeno una volta a mese. Il consiglio di amministrazione si limita alla routine quotidiana e a preparare l’assemblea. Insomma, Coopamare resta innanzitutto una comunità tra pari (Susy, 2017).

Il ruolo delle donne

Chiaramente esistono ancora grandi problemi da gestire e risolvere: lavorare con l’immondizia è visto sempre come un lavoro non desiderabile e come un impiego temporaneo, ciò spiega l’alto turn-over di lavoratori. Inoltre le donne sono il 70 per cento e rimangono nella cooperativa più a lungo, di fatto è grazie a loro se Coopamare è stata sostenibile nel tempo. Essere lavoratrici della Coopamare permette probabilmente di coniugare cura della famiglia e lavoro fuori casa: il che vuol dire che donne casalinghe ottengono un ingresso e si rendono più autonome, ma dall’altro è segno di una società che scarica tutto il peso della casa sulle donne, mentre gli uomini cercano lavori più “prestigiosi”.

Ma soprattutto le paghe sono ancora basse, per quanto migliorate con la cooperativa, del resto si basano solo sulla vendita di rifiuti differenziati a industrie di riciclaggio (la municipalità non paga per l’opera di pulizia che compiono). E con queste paghe, e con la scarsità di capitali da investire, è difficile rimanere competitivi sul mercato.

Oficina Escola

Uno dei progetti più nuovi a cui Coopamare tiene di più è senza dubbio l’Oficina Escola, cioè il Laboratorio-Scuola di Arti e riciclaggio dedicato agli adolescenti. Con la collaborazione di un gruppo di artisti, i giovani imparano a produrre carta a mano, creare prodotti e sviluppare oggetti d’arte e decorazione da materiale riciclabile. “Ci sono due tipi di corsi – spiegano on line (Coopamare.wordpress.com, 2017) – Ci sono corsi per la formazione di manodopera qualificata (riservata ai figli e alle figlie di spazzini e basso reddito, i giovani di età compresa tra i quattordici e diciassette anni), che insegna la produzione di carta fatta a mano. Il secondo tipo è aperto invece al pubblico: utilizzando lo spazio fisico e l’esperienza pratica del Laboratorio-Scuola, gli studenti partecipano al processo di produzione della carta realizzato dalla cooperativa”.

Economia solidale

Come diverse altre esperienze brasiliane, la storia di Coopamare si nutre soprattutto di autogestione, democrazia interna e principi di solidarietà. La cooperativa di San Paolo è dunque uno dei numerosi esempi della cosiddetta Economia sociale e solidale (ESS) che in Brasile, tra inevitabili limiti e contraddizioni, continua a essere comunque un fenomeno vasto, cresciuto negli anni ’90, nato dai poveri e i poverissimi. Quando parliamo di Economia sociale e solidale in Brasile, la differenza principale tra le imprese tradizionali e quelle solidali è che i lavoratori ne sono i proprietari: insomma, la distinzione tra padroni e lavoratori termina di esistere. Il principio guida è quindi l’auto-organizzazione collettiva attraverso l’esplicito requisito di un processo decisionale democratico. Come accennato, tutti i lavoratori coinvolti hanno pari diritto di voto, e le differenze di salario sono minori rispetto alle convenzionali imprese capitaliste.

Guardando il rapporto 2013 del SENAES – Segreteria Nazionale dell’Economia Solidale – appare evidente come il fenomeno dell’ESS sia ampio (33,518 imprese censite, stima al ribasso, visto che le più piccole potrebbero non essersi registrate) e riguardi soprattutto i poveri: infatti il 40 per cento delle imprese è nel nord-est (più povero), è prevalentemente rurale (55 per cento a livello nazionale, tranne nella regione fortemente urbanizzata di San Paolo dove è il contrario, 61 per cento sono in città), e chi ci lavora ha un grado di istruzione basso (47 per cento non ha completato nemmeno la scuola primaria, il 13 per cento ha solo completato la scuola primaria, il 24 per cento le superiori – “ensino médio completo” – e solo il 7 per cento ha una laurea, sotto la media del Brasile).

Se nelle campagne l’ESS è costituita da agricoltura familiare, nelle città l’attività più importante è proprio quella delle cooperative di raccoglitori di immondizia.

Dal 2003 con l’arrivo al potere del Pt anche i governi nazionali hanno cominciato ad appoggiare alcune esperienze dell’ESS: Lula nel 2003 ha istituito la Segreteria Nazionale all’Economia Solidale (SENAES, con Paul Singer sottosegretario), che anche se con un budget piccolo, ha promosso un lavoro di rete tra le tante esperienze di economie solidali, creando anche vari forum di partecipazione.

Nel 2011 inoltre continuerà la sua opera, distribuendo verso l’economia solidale (soprattutto il settore dell’agricoltura familiare) parte dei finanziamenti del piano “Brasile senza miseria”, ideato da Dilma Roussef per l’inclusione sociale.

È interessante osservare, infine, come il movimento dell’ESS sia cambiato negli ultimi anni. Oggi rispetto agli anni ’90 per esempio hanno preso molta importanza i concetti di “Buen Vivir” e “Vivir Bien”, promosso dai movimenti indigeni boliviani ed ecuadoriani, avvicinandosi e influenzando i movimenti ecologisti (Susy, 2017).

Mettersi in rete

Di certo fondamentale, per esperienze come Coopamare, è stato mettersi in rete: nel 2001 è nato il Movimento Nazionale dei Raccoglitori di Materiali Riciclabili (MNCR), attraverso il quale si intessono anche relazioni internazionali, in particolare durante i Forum sociali, momenti importanti di condivisione di saperi e “co-educazione”.

Tramite la rete di cooperative sociali e solidali raccolte nel MNCR, “i più esclusi tra gli esclusi” hanno acquisito un ruolo politico importante, soprattutto con i governi del Pt. Nel 2002, per esempio, una legge riconosce la categoria lavorativa dei raccoglitori di rifiuti riciclabili: non più “poveri” che hanno bisogno di assistenza (paternalistica), ma lavoratori che svolgono un lavoro essenziale per la società brasiliana e la sostenibilità ambientale. Nel 2003, l’MNCR viene inclusa nella commissione interministeriale per l’inclusione dei raccoglitori (CIISC). Nel 2010 il MNCR partecipa alla stesura della nuova legge sui rifiuti solidi PNRS, legge che testualmente prevede “l’incentivo alla creazione e allo sviluppo di cooperative di raccoglitori di materiali riutilizzabili o riciclabili” tra gli strumenti politici a disposizione.

Per un punto approfondimento più generale e per un punto vista critico sugli ultimi anni della vita politica e sociale in Brasile rimandiamo ad alcuni articoli dello scrittore e giornalista Raúl Zibechi, pubblicati su Comune e segnalati nella bibliografia (Zibechi, 2016; Zibechi, 2017).

Qualcosa di buono per il pianeta

Ma l’insieme di azioni che accrescono la capacità di controllare e migliorare la propria vita di queste lavoratrici e lavoratori non passa soltanto per la democrazia interna e per la capacità di farsi ascoltare dai governi; passa, prima di tutto, attraverso per la consapevolezza di fare un lavoro essenziale per la sostenibilità della società brasiliana: l’agenzia governativa IPEA calcola che l’80 per cento dei rifiuti riciclati sono raccolti dai raccoglitori di materiali riciclabili. “Oggi sappiamo che facciamo qualcosa di buono per la società e per il pianeta”, dice sorridendo Maria Dulciniera Silvia, tesoriera di Coopamare, in un’intervista (Südwind, 2015)”.

Già, il pianeta soffoca per la quantità di rifiuti prodotti. Non si tratta soltanto di incentivare la riduzione della produzione dei rifiuti alla fonte e la raccolta differenziata e dunque il riuso e riciclo, ma più in generale di ripensare il rapporto con gli oggetti. Del resto, da sempre donare, scambiare, condividere, recuperare, riutilizzare, riciclare sono azioni della vita di ogni giorno che possono aiutare a svelare la realtà del nostro rapporto con le cose (la cui importanza non dipende solo dal valore d’uso o di scambio). Quel rapporto è quasi sempre carico di senso e affetti ben più delle pulsioni o dei ragionamenti che guidano all’usa e getta, all’acquisto del nuovo (diventato sinonimo di bello, migliore, importante…), dove prevalgono invece sensazioni e scelte imposte dal mercato. È evidente a tutti ovunque: abbiamo bisogno di una cultura dell’usato, di una “civiltà del riuso”, per dirla con Guido Viale, e questa sarà tanto più in grado di agire in profondità quanto più sarà promossa da esperienze del basso come Coopamare. “Una vera promozione dell’usato richiede una grande operazione culturale: riportare al centro delle attenzioni di tutti il valore della memoria, della continuità, con il passato o con contesti sociali e culturali diversi dal nostro… Sono gli stessi oggetti che ci sono stati lasciati o ceduti a offrirci una testimonianza non scritta ma loquace del loro mondo e promuovere una contaminazione di gusti, culture e abitudini” (Viale, 2010).

 

Fonte: COMUNE INFO, 25 gennaio 2018




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