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Rassegna del 30 Novembre 2017
    

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La sindrome Nimby influisce sulla green economy


La sindrome Nimby influisce sulla green economy

Dal 2004, l’Osservatorio del Nimby forum rappresenta l’unico database nazionale a monitorare le opposizioni contro opere di pubblica utilità e insediamenti industriali in costruzione o ancora in progetto, e il XII rapporto – presentato il 21 novembre, con dati 2016 – non offre molte riflessioni positive: la ricerca arriva a contare 359 impianti contestati (+5% rispetto all’anno precedente), «confermando un trend relativamente stazionario». Non per questo meno allarmante. «Dal piccolo insediamento da 10 milioni o anche meno, fino al grande progetto che sfiora e a volte supera il miliardo di euro. Stiamo parlando – commenta Alessandro Beulcke, presidente di Allea, la società che promuove l’Osservatorio Nimby Forum – di una mole impressionante di investimenti: parecchi miliardi, soprattutto privati, che stentano a essere messi in circolo nell’economia del Paese».

E il più grande paradosso è che si tratta in larga parte di investimenti che vorrebbero cambiare l’economia del Paese, puntando sulla green economy. Dal monitoraggio di oltre 1000 testate, il Nimby forum osserva che comparto energetico (56,7%) e quello dei rifiuti (37,4%) si contendono il podio dei No; il settore energetico vede le opposizioni orientarsi in maniera prevalente verso gli impianti da fonti rinnovabili (75,4% dei No), mentre l’economia circolare – si legge nel rapporto – è uno «slogan che piace a tutti ma che poi, quando si tratta di ‘convivere’ con un impianto per il trattamento biologico di scarti e rifiuti diventa ‘propaganda’ e l’impianto stesso diventa oggetto di opposizione e contestazione». Difatti, l’auspicata transizione alla green economy sta «concentrando un numero crescente di investimenti nella filiera del recupero dei rifiuti» ma anche «moltiplicando iniziative progettuali inevitabilmente contestate».

Ed è rilevante come il monitoraggio della stampa nel 2016 confermi il ruolo di predominanza della politica, che – tra enti pubblici e partiti politici – accende «le contestazioni nel 50% dei casi censiti». Contestazioni che spesso finiscono oltre che sui media o in piazza anche in tribunale. Un terzo degli impianti censiti nel 2015 ha subito almeno un'interruzione del suo iter autorizzativo «a causa – argomenta Beulcke – di almeno un ricorso all’ente competente (tipicamente il Tar). Ma chi sono i ricorrenti? Chiunque: amministrazioni pubbliche, e ancora più spesso comitati di cittadini associazioni, non per forza di matrice ambientalista. Perché la questione ambientale, in questa guerriglia continua di carte bollate, spesso c’entra nulla».

Perché allora il crescente numero di proteste Nimby? La risposta è complicata. Alla base c’è la sfiducia nei media come nelle istituzioni, che non riescono a pilotare il cambiamento.

Tra i motivi delle varie rimostranze, i principali restano l’impatto sull’ambiente e gli effetti sulla salute e l’inquinamento, ma si sottolinea in modo  esponenziale la mancanza di coinvolgimento e partecipazione come causa primaria, con un incremento progressivo ma costante: 14,6% nel 2014, 18,6% nel 2015, 21,3% nel 2016.

«Il desiderio delle comunità locali di dire la propria è lo specchio di una consapevolezza che è ormai solida tra i cittadini – commenta Beulcke – A disarmare questa consapevolezza è, tuttavia, il meccanismo dei social media, che mescola informazione e disinformazione, scienza e opinione, verità e post-verità. Che il Débat Public, introducendo nuove modalità di informazione e confronto pubblico, possa funzionare da antidoto possibile alle fake news e al dilagare della sindrome Nimby è quanto da tempo auspichiamo». Ma l’esperienza insegna che potrebbe anche non essere sufficiente.

Quella della sindrome Nimby non è una malattia che abbandonerà la nostra mente e la nostra società rapidamente, né facilmente. Serviranno metodo e investimenti in educazione, sarà necessario ricostruire un clima di fiducia tra istituzioni e cittadini – ormai sempre più teso. Forse però stiamo iniziando a cogliere i primi frutti del lavoro – è questa l’unica speranza che il rapporto del Nimby forum lascia intravedere –. Rispetto al 2015, passa infatti dal 15% al 20% il numero soggetti che si esprime a favore degli impianti: «Forse qualcosa nel modo di riportare fatti e notizie sta cambiando», ipotizzano dall’Osservatorio. E anche il fatto che le iniziative di comunicazione rimangano prerogativa degli oppositori (80%) fornisce «un’immagine distorta»; da una parte i media riportano con maggiore clamore le notizie e i fatti che si pongono come contrari, dall’altra è un dato di fatto che le persone che sono favorevoli alle opere si attivano di meno rispetto ai contrari, rimanendo spesso nel silenzio. Una maggioranza silenziosa che non si fa notare, ma che in una democrazia dovrebbe avere un peso.

 

 




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