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Rassegna del 4 ottobre 2018
    

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La vita oceanica prospera nei fondali destinati ad estrazioni minerarie


In un tratto del Pacifico orientale considerato deserto si stanno scoprendo specie abissali in grandi quantità, nonché fossili di balene di milioni di anni fa. Occorre intervenire prima che questa ricchezza venga distrutta per estrarre materie prime.

Anemoni marini dai tentacoli sottili come fili, cetrioli di mare, organismi unicellulari grandi come palle da tennis: sono alcune delle decine di nuove specie scoperte in un'area del Pacifico orientale a lungo considerata disabitata, eletta come possibile sito di esplorazione per le compagnie che si occupano di estrazione mineraria dai fondali.

In questo tratto di oceano che si estende tra Hawaii e Messico lungo sei milioni di km quadrati, tra i 4.000 e i 5.000 metri di profondità, ricercatori di diverse spedizioni stanno osservando organismi sconosciuti più in fretta del tempo necessario per assegnare loro un nome. Non solo: su questi fondali sono anche stati individuati fossili di balene di milioni di anni fa.

Tutte queste scoperte, recentemente descritte al Deep-Sea Biology Symposium (Monterey, California), "fanno rumore" perché l'area, nota come zona di frattura di Clipperton, è da tempo nel mirino delle compagnie minerarie oceaniche, che sperano di estrarre, da questi fondali, cobalto, manganese e altri elementi preziosi per la produzione di smartphone e auto elettriche.

Comunità sommersa. A lungo questa fetta di pavimento oceanico è stata considerata un deserto. Ma una serie di spedizioni sta iniziando a mapparne le caratteristiche e censirne gli abitanti, tutt'altro che sporadici. Nel 2013 e nel 2015 Craig Smith, un oceanografo dell'Università delle Hawaii di Manoa, vi ha trovato colline e montagne sommerse, brulicanti di vita oceanica rispetto ad altri fondali di analoga profondità. Qui sono state filmate 154 specie di vermi marini, il 70% delle quali finora sconosciute; cetrioli marini (oloturie) soprannominati "scoiattoli di gomma", nonché una nuova specie di Relicanthus, una creatura affine agli anemoni di mare, che si attacca alle spugne ed estende i lunghi tentacoli nella corrente. In queste acque nuotano anche vermi marini dalle sembianze di calamari.

Metallo conteso. Adrian Glover, un biologo marino del Natural History Museum di Londra, ha guidato un'altra spedizione che ha rintracciato nella stessa zona noduli di manganese e altri metalli cruciali per la sopravvivenza di piccole forme di invertebrati oceanici: il timore è che l'estrazione di queste strutture dal fondale possa avere un impatto devastante sulla sua biodiversità. Glover ha anche trovato diversi tipi di protisti della classe degli Xenophyophorea - organismi unicellulari grandi come palline di 10 cm, che accumulano metalli pesanti ed emettono muco quando si nutrono.

Il cimitero delle balene. Nella zona di frattura di Clipperton riposano inoltre, tra incrostazioni di residui metallici, i fossili di almeno sei specie di balene estinte, scomparse tra 1 e 16 milioni di anni fa. Sono rimasti lì finora, e un'attività mineraria rischierebbe di farli sparire per sempre dalla nostra conoscenza. Senza contare che, come riporta Nature, uno studio pubblicato ad agosto ha descritto gli zifidi o balene dal becco nutrirsi proprio delle concrezioni minerali presenti sul fondale: l'ipotesi è che le balene ingoino i noduli metallici per regolare le loro capacità di galleggiamento sott'acqua.

Una fase delicata. I ricercatori stanno ora facendo pressioni affinché l'International Seabed Authority (ISA), l'organismo che regola le estrazioni minerarie in acque internazionali, limiti il danno ambientale delle future attività in queste acque. Le regole finali per le attività, insieme al "via libera" per iniziare, dovrebbero arrivare nel 2020: per ora l'agenzia ha dato a 29 compagnie il permesso di esplorare alcune aree di fondale, inclusi 17 diversi siti della zona di frattura di Clipperton. Le aziende dovranno produrre valutazioni ambientali del loro intervento prima di ottenere l'autorizzazione a procedere, dimostrando l'intenzione di preservare la vita oceanica.

Secondo gli scienziati, i detriti liberati dalle attività di estrazione impedirebbero a parte degli organismi marini di respirare e di nutrirsi correttamente, e ne bloccherebbero la bioluminescenza e le capacità riproduttive e predatorie, finendo per interferire irrimediabilmente con la catena alimentare oceanica.

 

Fonte: Focus, 26 settembre 2018




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