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Rassegna del 30 Novembre 2017
    

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Se continuiamo a consumare come facciamo oggi, presto ci servirà un pianeta e mezzo


Se continuiamo a consumare come facciamo oggi, presto ci servirà un pianeta e mezzo. Ma per superare il modello lineare «estrarre, commercializzare, gettare», qualche chance c’è. Cominciando dalle scelte dei consumatori. Parla il guru della Fondazione Ellen MacArthur, che l’Europa ha voluto al tavolo per ridisegnare il paradigma produttivo

Per continuare a consumare come facciamo oggi, avremmo bisogno di un pianeta e mezzo. Perché il gap fra i nostri consumi e le risorse naturali che la Terra è in grado di rigenerare da sola si allarga sempre più. «La buona notizia è che abbiamo i mezzi per correggere la rotta: con la tecnologia oggi è più facile passare dal modello economico lineare — in cui si estrae, si confeziona, si consuma e si butta — al modello circolare, in cui le risorse estratte si mantengono nel ciclo d’uso il più a lungo possibile, con l’obiettivo di minimizzare la quantità di materiale che sfugge a questo flusso come scarto», sostiene Joss Blériot, 47 anni, numero due della Ellen MacArthur Foundation, che ha portato l’economia circolare al centro delle politiche europee, puntando sui vantaggi economici del cambio di modello.

Per la MacArthur, grande velista inglese, famosa per aver battuto il record della più rapida circumnavigazione del globo in solitaria a meno di trent’anni, la salvaguardia dell’ambiente è sempre stata più che una passione. L’esperienza in mare, dove i mezzi a disposizione sono ristretti, e anche una cimetta è preziosa, le ha insegnato il valore del riciclo. Da qui la scelta di dedicarsi completamente alla promozione dell’economia circolare.

Dal singolo al sistema

Blériot ha partecipato fin dall’inizio all’avventura della fondazione e ha contribuito, fra il 2012 e il 2014, alla nascita del pacchetto sull’economia circolare dell’Unione Europea, chiamato dall’allora commissario Janez Potocnik. «Ora si tratta di applicare quelle linee guida: vanno nella direzione giusta ma c’è ancora una lunga strada da fare», commenta il guru. Blériot cita l’agricoltura, settore a più alto impatto sia per la terra che per le acque. «In Europa, fino ad oggi, non esisteva un mercato dei fertilizzanti naturali: sono poco diffusi e invece dovrebbero essere sostenuti per riconvertire alla circolarità le coltivazioni. Un’assurdità, che favorisce i grandi inquinatori e che ora la Commissione europea si appresta a correggere», sostiene Blériot. Ma per convertire l’economia europea al modello circolare, in cui i rifiuti non esistono e anzi sono da valorizzare come risorse preziose nel ciclo produttivo, il primo a cambiare mentalità dovrà essere il consumatore. «Si parla molto della riconversione del sistema energetico e della transizione verso le fonti rinnovabili — ragiona Blériot —, che le società del settore hanno già avviato, con un grande flusso d’investimenti, ma manca ancora un dibattito vero sullo sfruttamento delle materie prime e sull’uso di materiali inquinanti nei prodotti di massa, a cui i consumatori in questi decenni ‘rilassati’ si sono abituati, senza pensare alle conseguenze per l’ambiente». Prodotti sintetici, pieni di elementi tossici, che spesso vincono sui rivali più naturali e meno inquinanti perché sembrano più belli, più efficaci o più comodi da utilizzare. Eppure, «la pressione dei consumatori sulle imprese, per spingerle a emanciparsi da modelli produttivi devastanti, è centrale— incalza l’esperto —, ma sarà difficile che l’azione dal basso sia sufficiente per cambiare strada». Fondamentale sarà l’intervento legislativo. «Prendiamo il caso dei sacchetti di plastica: se il legislatore non li bandisce con un provvedimento, è improbabile che escano dal mercato solo grazie alla buona volontà dei singoli», precisa. Stesso discorso per gli altri prodotti che sfruttano le risorse del pianeta in modo dissennato: «I vincoli derivanti dalla scarsità delle risorse andrebbero recepiti nelle legislazioni nazionali», suggerisce Blèriot. L’imposizione dall’alto di questi vincoli è importante anche perché i tempi sono stretti: «Ci vuole un intervento regolatorio rapido e radicale, per contenere il riscaldamento del clima entro il limite dei 2 gradi centigradi, come indicato nell’Accordo di Parigi».

«Follow the money»

Di pari passo, va sostenuta la digitalizzazione, che consente di rinunciare a un prodotto in favore di un servizio, favorendo l’efficientamento dei consumi grazie alle piattaforme di condivisione e ai sistemi di geo-localizzazione. Molti elementi di sostenibilità introdotti nei sistemi produttivi, come la tracciabilità dei prodotti, dipendono dallo sviluppo delle nuove tecnologie. Un altro tassello fondamentale per la riconversione del sistema produttivo è la crescita di una comunità d’investitori preoccupati dai rischi futuri che si assumono le aziende con un’impronta ambientale negativa. «Che ne sarà domani degli asset delle società petrolifere e minerarie che estraggono combustibili fossili, se le centrali a carbone o a gas dovranno chiudere? Chi finanzia queste società si assume un rischio molto alto, che va contabilizzato nei parametri alla base delle scelte d’investimento di fondi pensione e istituti di credito», fa notare Blériot. In ultima analisi, tutte le aziende dipendenti dallo sfruttamento delle materie prime e delle fonti fossili sono esposte alla forte volatilità dei prezzi di questi mercati, mentre il business di chi utilizza solo materie prime seconde, che hanno già avuto una vita precedente, e fonti rinnovabili come il sole e il vento, che generano energia in loco, è molto sicuro e meno esposto agli sbalzi di prezzo. «Un sistema produttivo basato su catene di approvvigionamento così lunghe e complesse da diventare imponderabili comporta fattori di rischio importanti, di cui gli investitori dovrebbero tener conto», fa notare il guru. Se fosse per lui, i flussi finanziari dovrebbero premiare gli altri, quelli che basano la produzione su una circolarità virtuosa, in stretta collaborazione con il territorio. Ma non sempre è così.

La fondazione

La Ellen MacArthur Foundation è nata nel 2010: è un ente di beneficenza che divulga i principi dell’economia circolare, basata sul design rigenerativo, ovvero la progettazione dei prodotti partendo dal fine vita, per renderli riciclabili. Lavora con aziende e istituzioni in tutto il mondo; tra i suoi programmi di innovazione c’è CE100, dove vengono «accelerate» imprese meritevoli che vogliono spingere sulla sostenibilità.

Fonte: corriere.it, 17Novembre 2017




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