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Rassegna del 30 Novembre 2017
    

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Seme di Buon Antropocene: il modello di business rigenerativo sta sostituendo quello usa e getta


Il modello di business rigenerativo sta sostituendo quello usa e getta. L’estensione del ciclo di vita degli oggetti e un utilizzo più efficiente di materiali, acqua ed energia sono i cardini del cambiamento. Sul quale l’Europa sta puntando molto. Perché oltre a preservare il Pianeta, fa crescere il Pil. E può creare milioni di posti di lavoro.

Non più usa e getta, ma usa e ricicla

Dopo la rivoluzione dei prodotti monouso, partita dalle lamette Gillette all’inizio del secolo scorso, oggi estesa a vaste fette del mercato dei beni di consumo, il pendolo torna indietro. Verso l’economia circolare. La popolazione mondiale cresce al ritmo di 80 milioni di individui all’anno e potrebbe toccare gli 11 miliardi alla fine di questo secolo, a partire dai 7,6 miliardi di oggi. Da qui al 2030 ben tre miliardi di nuovi consumatori entreranno nella classe media e spingeranno la domanda di beni e servizi a livelli senza precedenti. Negli ultimi sessanta-settant’anni, i consumi sono esplosi: gli scienziati la chiamano la Grande Accelerazione. In questo breve lasso di tempo, non più lungo della vita di una persona, la popolazione mondiale è cresciuta del 180%, i consumi di acqua del 215% e quelli di energia del 375%. La concentrazione di metano nell’atmosfera è raddoppiata e quella di anidride carbonica è aumentata del 30%, a livelli mai visti negli ultimi 400mila anni. La concentrazione di azoto e fosforo nel terreno è raddoppiata per l’uso estremo di fertilizzanti. L’erosione del suolo dovuta all’agricoltura, alle costruzioni e alle dighe è aumentata di dieci volte rispetto ai ritmi naturali. La coperta delle risorse, dunque, è sempre più corta, perciò il sistema industriale deve ripensare i suoi modelli di produzione, per entrare nel circolo virtuoso dell’economia rigenerativa, che trasforma i rifiuti in una risorsa.

Imparare (daccapo)

Mantenere il modello lineare, con la logica seguita finora di scavare, confezionare, consumare e buttare, significa confrontarsi con una sempre maggiore scarsità di materie prime, che già oggi manifestano una preoccupante volatilità dei prezzi, con un incremento medio del 150% nell’ultimo decennio. Nel frattempo, però, i saperi si sono persi, la nonna non è più capace di rammendare i calzini e il riso non si compra più sfuso nei sacchi al mercato. Bisogna ricominciare daccapo — facilitati dalle nuove tecnologie e dai nuovi materiali — imparando di nuovo le buone pratiche, partendo dalla fine vita dei prodotti e non dalla facilità di consumo, sia nei processi industriali che negli acquisti al supermercato: è un impegno ormai richiesto dagli standard sempre più stringenti imposti all’industria, ma anche ai consumatori. Il loro ruolo? Votare con il portafoglio per i marchi più virtuosi e rispettosi dell’ambiente. Da qui, l’attualità crescente dell’economia circolare, modello capace di rallentare la spoliazione delle risorse del pianeta. Le scuole di pensiero per arrivare alla circolarità sono varie e riguardano i più diversi ambiti. L’obiettivo, però, è sempre lo stesso: valorizzare gli scarti e farli rientrare nel «cerchio» della vita. Il modello cradle to cradle (dalla culla alla culla, invece che dalla culla alla tomba) è storicamente il primo sistema di questo tipo, concepito dal visionario chimico tedesco Michael Braungart già negli anni Ottanta del secolo scorso, per la riconversione dei processi industriali da lineari a circolari.

Punti di vista

Chi entra nell’ottica della produzione rigenerativa deve creare dei prodotti senza sostanze tossiche, che si possano facilmente scomporre per riutilizzarne i materiali tecnici di cui sono costituiti, mentre i materiali organici ritornano alla terra. Non è un processo facile, perché bisogna ristrutturare i processi produttivi e costruire una nuova supply chain, in cui tutti i materiali usati per i nuovi prodotti abbiano già avuto una vita precedente. Centinaia di aziende, in questi anni, hanno ottenuto la certificazione C2C per determinati prodotti, seguendo un processo di riconversione rigorosa, che ha portato i suoi frutti. «Molte altre imprese hanno raggiunto questa consapevolezza, ora si tratta di colmare il divario fra idea e azione», commenta Joss Blériot, numero uno della Ellen MacArthur Foundation, la società che ha portato l’economia circolare al centro delle politiche istituzionali europee, puntando sui vantaggi economici del cambio di modello, a partire dal famoso rapporto di McKinsey uscito nel 2012 su commissione della Fondazione, il primo nel suo genere a considerare le opportunità economiche e di business per la transizione verso un modello circolare. «La produttività delle risorse nella Ue è cresciuta del 20% nel periodo 2000-2011», si legge nella comunicazione della Commissione europea Verso un’Economia Circolare, alla base della normativa europea in via di definizione. «Se questa evoluzione si manterrà costante, entro il 2030 avremo un ulteriore aumento del 30%, corrispondente a un incremento del Pil quasi dell’1% e alla creazione di oltre due milioni di posti di lavoro in più rispetto allo status quo».

 

Fonte: corriere.it, 17 novembre 2017




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