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ISSUE 308

Si fa largo l’usato, la seconda chance degli oggetti convince 7 italiani su 10

L’indagine ‘La second hand ai tempi di Covid-19’ per ‘Subito’

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Si fa largo l’usato, la seconda chance degli oggetti convince 7 italiani su 10

L’indagine ‘La second hand ai tempi di Covid-19’ per ‘Subito’

Un nuovo rapporto mette in evidenza come il 67% degli italiani abbia acquistato o venduto almeno un oggetto usato nel 2020. Pasceri (Subito): “I cambiamenti delle abitudini di vita nel corso di quest’anno hanno portato a riconsiderare le proprie priorità, i dati dell’indagine confermano come la ‘second hand’ sia un’opportunità per molti italiani in questo periodo critico e abbia avuto un ruolo importante grazie a una maggiore consapevolezza del valore delle cose, in un concetto di economia circolare sempre più importante nel mondo in cui viviamo”

 

Con il lockdown, molti italiani hanno colto l’occasione per riorganizzare la propria vita e rivedere le priorità, a partire dagli spazi in casa, che sono stati vissuti come mai prima. E’ stata anche un’occasione per mettere da parte gli oggetti che non servivano più e cercarne altri maggiormente adatti, con l’usato come opportunità concreta di risparmio; ma anche di guadagno per 7 italiani su 10. E’ questo quello che emerge dall’indagine ‘La second hand ai tempi di Covid-19’, condotta a novembre 2020 da Bva Doxa per ‘Subito’, la piattaforma utile a vendere e comprare con oltre 13 milioni di utenti unici mensili.

 

Il rapporto mette in evidenza come il 67% degli italiani abbia acquistato o venduto almeno un oggetto usato da marzo a oggi; si tratta di un dato in forte aumento rispetto al 49% del 2019.

 

“I cambiamenti delle abitudini di vita nel corso di quest’anno hanno portato a riconsiderare le proprie priorità – osserva Giuseppe Pasceri, ceo di Subito – i dati dell’indagine confermano come la ‘second hand’ sia un’opportunità per molti italiani in questo periodo critico e abbia avuto un ruolo importante nel supportarli nella ricerca di soluzioni e nuove alternative per gestire le proprie esigenze, diventando una nuova abitudine che continuerà ad essere utilizzata anche nei mesi a venire. Oltre alle possibilità di guadagnare o risparmiare, la ‘second hand’ ha ampliato la sua diffusione grazie a una maggiore consapevolezza del valore delle cose, in un concetto di economia circolare sempre più importante nel mondo in cui viviamo”.

 

Rispetto alle esigenze che hanno spinto gli italiani a fare la scelta di puntare sulla ‘seconda mano’ in questo particolare periodo, si trova anche a fare i conti con l’incertezza economica: se per un 39% era già un’abitudine, il 28% l’ha fatto per risparmiare; si arriva al 33% se si prende in considerazione il punto di vista di chi invece ha acquistato. Inoltre, il mercato dell’usato si è rivelato un modo per poter comprare un modello superiore o più evoluto per il 20% del campione (dato che sale al 29% per i venditori), oppure il modo migliore per trovare pezzi unici, d’antiquariato o da collezione (16%) o di fare fronte a cambiamenti emersi con l’emergenza (15%).

 

Secondo il rapporto la modifica delle abitudini quotidiane e il contesto di emergenza degli ultimi mesi hanno infatti fatto crescere la motivazione economica: il 47% delle persone è ricorso al ‘second hand’ per risparmiare o per guadagnare dalla vendita. Tra le ragioni si ritrovano poi anche il contributo all’abbattimento degli sprechi attraverso il riutilizzo degli oggetti (34%), la riduzione del proprio impatto ambientale (19%) ma anche, a pari merito, la convenienza e una revisione delle priorità, con una nuova consapevolezza di cosa serve e di quello di cui invece si può fare a meno (15%). 

 

In questo senso il web offre un aiuto. A guidare la compravendita dell’usato in Italia infatti da marzo ad oggi c’è sicuramente il canale on-line, utilizzato dal 77% degli acquirenti (contro il 58% del 2019) e dall’81% dei venditori (contro il 66% del 2019). Una crescita a doppia cifra dettata sicuramente dalla difficoltà della compravendita fisica in questi mesi, ma anche dalla digitalizzazione forzata per via delle misure restrittive per combattere la diffusione del coronavirus. In cima alla classifica dei desideri, in questi mesi, da chi acquista soprattutto gli articoli legati alla casa e alla persona (con il 72%), seguiti dallo sport e dagli hobby (con il 58%), l’elettronica (con il 56%) e i veicoli (con il 32%). Analizzando gli articoli più comprati spiccano libri e riviste (al 31%), arredamento e casalinghi (al 28%), articoli informatici (al 27%), telefonia (al 18%) e elettrodomestici (al 17%). Sul versante opposto, quelle delle vendite, gli italiani hanno dato via principalmente oggetti della categoria casa e persona (68%), elettronica (52%), sport e hobby (48%) e veicoli (24%). Tra le categorie di articoli più venduti si trovano: abbigliamento e accessori (28%), arredamento e casalinghi (25%), libri e riviste (22%), informatica (20%) e elettrodomestici (17%). Per il 67% delle persone che hanno preso la strada dell’usato in questi mesi dice che diventerà un’abitudine anche in futuro, mentre per il 29% sarà un aiuto economico finché continuerà questa situazione di emergenza. Soltanto il 4% non la utilizzerà più. 

 

Se l’inquinamento non conviene all’economia

 

Inquinare costa. Secondo il rapporto annuale sulla qualità dell’aria (Air Quality in Europe) pubblicato dalla European Environment Agency (Eea), nel 2018 l’inquinamento atmosferico ha provocato solo in Europa più di 400mila decessi. L’imputato principale sono le polveri sottili o particolato (PM2.5), seguite dal biossido di azoto (NO2) e dall’ozono troposferico, ovvero quello a livello del suolo (O3).

 

Il rapporto Health at a Glance pubblicato dall’Ocse mostra che il costo dell’inquinamento non è solo in termini di vite umane stroncate dall’aria che respirano, ma anche economico e di benessere: comporta infatti minore qualità della vita, minore produttività lavorativa a causa delle assenze per malattia, maggiore spesa sanitaria. Le patologie derivanti dall’inquinamento atmosferico sono malattie cardiovascolari, respiratorie, maggiore rischio di tumori. 

 

Dai dati dell’Ocse, risulta che i più colpiti economicamente dalle conseguenze dell’inquinamento atmosferico sono i Paesi dell’Europa dell’Est (considerando il Pil). Se invece prendiamo in esame il costo in miliardi di euro al primo posto troviamo la Germania, seguita da Regno Unito e dall’Italia.

 

Anche la European Public Health Alliance ha pubblicato uno studio sull’inquinamento da cui emergono dati altrettanto sconfortanti. Le città, ovviamente, sono le più colpite dall’inquinamento; i Paesi dell’Est sono ancora ai primi posti per il danno sul Pil dovuto all’inquinamento, ma la maglia nera in assoluto tocca a Londra che, nel 2018, ha subito un danno di 11,4 milioni di euro. Analizzando i costi pro capite, la perdita media di reddito annuo a persona è di circa 1276 euro, cifra che sale a 2843 euro per gli abitanti di Milano.

 

Uno studio di Clean Air Fund, Breathing Life into the UK Economy, offre una dimensione economica dell’inquinamento atmosferico nel Regno Unito. Cifre alla mano, dimostra che con una migliore qualità dell’aria il Regno Unito risparmierebbe circa 1,75 miliardi di euro l’anno.

 

Adottare un approccio ambientale nel pianificare le politiche economiche e industriali di un paese dovrebbe diventare prassi comune: ancora si incontrano resistenze al cambiamento, ma sicuramente si sta cominciando a capire che l’inquinamento atmosferico ha costi ingenti anche dal punto di vista sanitario. Nel 2021 l’Unione Europea dovrebbe adottare il piano d’azione “Verso l’obiettivo di inquinamento zero dell’aria, dell’acqua e del suolo: per un pianeta e persone più in salute” che rientra nel quadro del Green Deal. Un’occasione in più per ribadire che indietro non si deve tornare.

 

Tommaso Tetro

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Rassegna del 08 Gennaio, 2021

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