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ISSUE 323

La possibile via italiana all'idrogeno

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La possibile via italiana all'idrogeno

Ogni paese europeo impegnato nella transizione all’idrogeno, nonostante l’attività di pressione e di lobby a livello locale ed europeo da parte dei soggetti interessati, non può prescindere dalle proprie condizioni infrastrutturali economiche ed industriali di partenza

 

I fondi destinati alla transizione ecologica del PNRR sono ingenti ed una quota importante è destinata ad individuare l’idrogeno come vettore energetico sostenibile. Tutti gli attori, ad ogni livello, privato e pubblico, dei paesi europei stanno dispiegando impegno e conoscenze per potere dotare le proprie economie di adeguati sistemi di produzione e stoccaggio dell’idrogeno.

 

La grande mole di sussidi che i paesi europei hanno messo a disposizione per le energie rinnovabili ha fatto virare la percezione iniziale di costo, in quella di opportunità.

 

In questa fase di assestamento ed individuazione del miglior metodo di produzione dell’idrogeno (grigio-blu-verde) è importante che ogni paese valuti con cura ed attenzione le proprie condizioni di partenza industriali ed economiche per evitare scelte infrastrutturali che potrebbero nel medio-lungo periodo rivelarsi errate o poco appropriate.

 

Una caratteristica propria dell’idrogeno è quella di essere un vettore molto versatile ed il blending (miscela di idrogeno e gas naturale) può rappresentare una possibile strategia per iniziare il processo di decarbonizzazione e verificare se il mercato viene sollecitato/orientato a creare a domanda.

 

Nello specifico l’Italia potrebbe essere in grado di sfruttare il vantaggio dovuto alla sua posizione geografica, oltre a disporre già di un’infrastruttura di trasporto (gasdotti) apace di rendere il trasporto almeno 10 volte più economico rispetto a quello via mare con navi cariche di idrogeno liquefatto.

 

La Germania che per diversi aspetti, non ultimo quello tecnologico, rappresenta un punto di riferimento anche per le scelte degli altri paesi europei, nel campo dell’idrogeno ha orientato le sue scelte attuali sulla produzione di idrogeno blu.

 

Secondo Marco Alverà Amministratore delegato di SNAM, anche in Italia la produzione di idrogeno blu potrebbe essere una strada percorribile in quanto è disponibile una tecnologia matura e perché risulta economico e possibile stoccare in sicurezza la CO2 derivante dalla lavorazione di estrazione di idrogeno miscelato con il gas naturale.

 

Idrogeno ed i siti “brownfield”

 

Un’ulteriore possibilità per la produzione di idrogeno, anche in questo caso blu, risulta essere l’uso di tecnologie mature per affrontare la transizione all’idrogeno. Si tratta di unire la disponibilità di Siti d’Interesse Nazionale - SIN, l’esistenza di domanda, la disponibilità di capitali, di capitali verdi, di credito, di rischio, per realizzare le fasi di avvicinamento alla transizione del vettore energetico. Occorre infatti ricordare che l’idrogeno non è una fonte di energia ma solo un veicolo energetico.

 

Date le condizioni di partenza del nostro paese sarebbe possibile avviare la realizzazione di distretti circolari verdi. Si rende in questo caso necessario mappare ed individuare i siti “brownfiled” e che per loro natura detengono già una connotazione industriale e di infrastrutture.

 

I terreni bruni o marroni sono aree/terreni precedentemente sviluppati a vocazione industriale, che non sono più in uso. Si tratta di siti inquinati e/o potenzialmente contaminati, nei quali gli interventi di riutilizzo o trasformazione d’uso, la valorizzazione delle caratteristiche e collocazione geografica, sono in grado di produrre benefici economici uguali o superiori ai costi relativi alle opere di trasformazione e alle opere di bonifica o messa in sicurezza. In queste aree sono presenti maestranze, competenze tecniche ed un indotto di imprese che opera con esperienza nei processi di trasformazione industriale come ad esempio raffinerie od ex-raffinerie, siti problematici o che lo potrebbero diventare. I siti accoppiati geograficamente con la disponibilità di rifiuti plastici ed altri tipi di rifiuto, che contengono carbonio, possono creare una base che funzioni da accumulazione nel portafoglio delle tecnologie verdi, che poi possono diventare mature e pertanto scalabili.

 

Se il progetto iniziale prevede di concentrare in un luogo fisico una serie di impianti e lavorazioni che sarebbero in grado di produrre idrogeno blu, in seguito, disponendo di tecnologie più aggiornate e performanti, sarebbero in grado di ottenere anche l’idrogeno verde. Si tratta di unire l’economia circolare e la chimica verde, la prima ha la caratteristica che il rifiuto può arrivare ad essere un prodotto evitando il costo di smaltimento, afferma Perroberto Folgiero - Chief Executive Officer di Maire Tecnimont.

 

L’economia circolare parte col vantaggio del conto economico rappresentato dal costo evitato dello smaltimento. Il problema dell’economia circolare è che il prodotto è sempre più povero, perché il ricircolo diminuisce le capacitò prestazionali del prodotto. L’economia circolare detiene si un conto economico vantaggioso, ma un prodotto impoverito. La chimica verde invece è esattamente il contrario, significa tanto prodotto ma a costi altissimi. L’unione di economia circolare (uso dei SIN, ed il riuso di plastiche ad alto contenuto di carbonio) con la chimica verde per estrarre, in questo caso, idrogeno blu, vedrebbe la realizzazione di un processo industriale innovativo, facilmente cantierabile, capace di avviare nel paese una reale economia dell’idrogeno.

 

 

Photo: Jan W

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