La Newsletter di ESO
ISSUE 336

Green e digitali, le imprese scommettono sulla sostenibilità

Dopo l'emergenza Covid, quest'anno secondo l'Istat la maggioranza delle aziende italiane dedicherà buona parte delle risorse alla transizione energetica, cavalcando le nuove tecnologie

repubblica.it

Green e digitali, le imprese scommettono sulla sostenibilità

La metà delle imprese italiane quest’anno destinerà una parte dei propri investimenti alla sostenibilità ambientale: il 41,4% lo farà con modesta intensità e l’8,4% con alta intensità. Il risultato che emerge dall’indagine dell’Istat intitolata “Situazione e prospettive delle imprese dopo l’emergenza sanitaria Covid-19” è tutt’altro che scontato, considerate le numerose incognite che incombono sul mondo del business, tra il persistere dell’esperienza pandemica e la fiammata inflazionistica che mette a rischio la sostenibilità della ripresa economica. Segno evidente di come il mondo del business abbia colto l’importanza di investire nella transizione ambientale per non essere tagliata fuori dalla ricomposizione delle filiere che si va profilando tanto a livello internazionale, quanto sul mercato interno. 

 

Doppio profilo

 

Dunque, investire su questo fronte è una necessità, ma al tempo stesso una strada per accrescere la propria competitività sul mercato e cavalcare la domanda emergente che arriva dai consumatori, dagli investitori e dagli altri operatori economici. A questo ha fatto riferimento John Kerry, l’inviato speciale degli Stati Uniti per il clima, quando in occasione di COP26 (la conferenza Onu sul clima) ha definito la transizione energetica e ambientale “non solo un imperativo planetario, ma anche una grande opportunità commerciale”.

 

Per citare un esempio vicino a noi, i bandi del Pnrr fissano stringenti criteri di sostenibilità in capo alle imprese partecipanti e lo stesso accade per poter entrare nelle catene di fornitura delle grandi imprese, le cui scelte green inevitabilmente producono effetti a cascata su tutti i partner di business. L’approccio sostenibile ha anche un’implicazione positiva sul versante dei rischi: mettere in atto azioni che minimizzano la possibilità di incidenti, scandali o conseguenze economiche negative in caso di eventi atmosferici estremi significa salvaguardare i conti aziendali, proiettando al tempo stesso un’immagine positiva dell’azienda sul mercato. Questo vale soprattutto nei rapporti con il mondo del credito, chiamato dalle normative di settore ad adottare politiche di finanziamento sempre più selettive non solo in base ai parametri finanziari dei richiedenti, ma anche al profilo di rischio degli stessi.

 

Il digitale accelera il cambiamento

 

L’altra grande transizione in corso, quella digitale, agisce come acceleratore verso un modello di sviluppo sostenibile. L’analisi dei dati, i sensori, la possibilità di rafforzare le reti di dispositivi consentono di ottenere enormi risparmi nell’impiego di risorse naturali e per questa strada consentono di abbattere le emissioni di gas serra. Le nuove tecnologie permettono di accelerare la resa degli impianti di produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili e di abbattere i consumi dei dispositivi aziendali a parità di resa.

 

“Il settore digitale darà il suo contributo al Green Deal europeo sia come fonte di soluzioni tecnologiche pulite, sia riducendo la propria impronta di carbonio”, scrive la Commissione europea nel suo manifesto per lo sviluppo industriale del Vecchio Continente. Uno studio dell’Università di Padova si sofferma proprio sulle relazioni tra i due grandi motori del cambiamento, rilevando che al crescere delle tecnologie digitali nell’ambito della produzione, migliora la performance aziendale in termini di economia circolare. Inoltre, aggiunge, l’adozione di tecnologie di produzione intelligente migliora l’integrazione tra l’azienda e i suoi clienti e fornitori, nonché tra le funzioni all’interno dell’organizzazione. 

 

Non solo la manifattura. Lo studio del Mit intitolato “Decarbonizing industries with connectivity and 5G” evidenzia il contributo che la nuova era della connettività può dare agli sforzi in direzione della decarbonizzazione soprattutto per quel che riguarda settori a grande impatto ambientale come l’energia e i trasporti. Questo grazie alla velocità di implementazione (non è necessario raggiungere gli edifici con i cavi), alla minore latenza e alla possibilità di connettere innumerevoli risorse anche da remoto. Tutto questo permette infatti di ottimizzare le risorse e guadagnare in termini di efficienza.

 

Nuovi spazi di mercato

 

Oltre a incidere su costi e redditività dei business esistenti, la digitalizzazione crea poi nuovi mercati, che possono essere penetrati dalle aziende strutturate per intercettare i bisogni emergenti. Il sistema imprenditoriale italiano negli ultimi anni ha investito molto in questa direzione: il rapporto “Imprese e Ict” dell’Istat segnala che nel 2021 il 60,3% delle piccole e medie imprese della Penisola ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale, contro il 56% della media Ue, anche se d’ora in avanti occorrerà accelerare per non mancare l’obiettivo del 90% fissato a livello europeo. Inoltre, tra le imprese con almeno dieci addetti, il 51,9% ha acquistato servizi di cloud computing di livello intermedio e sofisticato (35% la media Ue).

 

Laddove il nostro Paese resta in forte ritardo secondo le classifiche internazionali è sul fronte delle competenze. Già oggi molte imprese faticano a coprire numerose posizioni legate alle nuove frontiere del business e la situazione è destinata ad aggravarsi negli anni a venire. Un tema che pone la necessità di mettere la formazione al centro dell’agenda politica perché in una stagione in cui le macchine e i software acquisiscono un peso sempre più rilevante nei processi aziendali, sono proprio le competenze delle persone che le governano a fare la differenza.

 

Saldo positivo per l'occupazione

 

Non costi, ma investimenti con ritorno positivo, sempre a patto di procedere con ordine. Ai dubbi crescenti sulla sostenibilità economica della transizione verso un’economia a emissioni zero (basti pensare all’impennata dei costi che sta caratterizzando da mesi le materie prime decisive in questa direzione), risponde uno studio di McKinsey & Company dal titolo ”The net-zero transition: What it would cost, what it could bring”.

 

Analizzando la portata dei cambiamenti economici necessari a raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni nette, gli analisti arrivano alla conclusione che in caso di azione coordinata tra istituzioni, cittadini e aziende, questa sfida potrà generare un saldo positivo di occupati nell’ordine di 15 milioni di unità a livello globale entro il 2050. Sarà importante che tutti si sentano coinvolti e che si adotti la necessaria flessibilità per adattarsi a un contesto molto diverso da quello che abbiamo conosciuto per decenni.

 

Luigi dell''Olio

 

 

Photo: andreas160578

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